«Dalle correnti di sinistra un uso politico dell’Anm».
Il segretario di Magistratura indipendente, gruppo “moderato”, Galoppi, spacca la magistratura e impallina i colleghi progressisti.
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Incredibile a dirsi, le toghe procedono divise verso la meta, il referendum fin-du-monde sulla separazione delle carriere. Con un’intervista al Giornale di ieri destinata a squassare l’associazionismo giudiziario, il segretario di Magistratura indipendente Claudio Galoppi spara a palle incantenate contro gli alleati/rivali, Area e Md. Una frase dice tutto: «Si è fatto dell’Anm uno strumento di contrapposizione politica al governo», ma così si è persa l’occasione di «incidere concretamente nel percorso della riforma», la modifica costituzionale sul “divorzio” tra giudici e pm. Colpa loro, è la convinzione di Galoppi, se la separazione delle carriere verrà approvata così com’è.
È clamorosa, la presa di posizione del leader di Mi, giacché proviene dal leader della corrente che esprime lo stesso attuale vertice dell’Anm, Cesare Parodi, e che ha indicato quel presidente in accordo proprio con Area e Md, oltre che con Unicost. Un rebus. Ma in realtà si è di fronte al precipitato di una contrapposizione irriducibile, quasi antropologica. Da una parte la magistratura “di sinistra”, storicamente più ideologizzata, dall’altra la corrente moderata, più vicina al centrodestra, a propria volta accusata di collateralismo ma, nella sostanza, più orientata al puro sindacalismo che faziosa.
E così ieri Galoppi ha eruttato in un colpo solo tutte le accuse, concentrate sul predecessore di Parodi, cioè Giuseppe Santalucia, ma soprattutto sugli attuali vertici di Area, e in particolare su Rocco Maruotti, che il gruppo progressista ha voluto come segretario dell’Anm, quasi un altero ego di Parodi, pronto a correggerne gli eventuali “eccessi di diplomazia”. «Il segretario Maruotti farebbe bene a specificare se parla a titolo personale o dell’Anm», silura Galoppi nel colloquio col Giornale.
Nessuna replica “urbi et orbi” da parte dei due alleati/nemici di Mi. Solo un paio di segnali sibillini. La presidente di Area Egle Pilla conferma l’adesione del proprio gruppo alla manifestazione in programma oggi contro il decreto Sicurezza, promossa da giuristi e accademici: «Non servono più reati e più pene ma, è la linea espressa dal coordinamento nazionale dell’associazione (la corrente Area, appunto, ndr), più sicurezza sui luoghi di lavoro, più attenzione ai bisogni primari delle persone, maggiore vivibilità delle nostre città», dice Pilla. Che sembra rivendicare, “alla faccia” di Galoppi, il diritto dei magistrati progressisti a condurre battaglie politiche.
Ancora più esplicito il messaggio proveniente da Magistratura democratica, gruppo storico della sinistra giudiziaria, avversario irriducibile del centrodestra negli anni ruggenti del berlusconismo, che poche ore dopo la pubblicazione sul Giornale dell’intervista a Galoppi diffonde un comunicato per annunciare l’adesione al comitato promotore dei referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno: «Intendiamo partecipare al dibattito pubblico sui temi referendari, cercando di contribuirvi, come associazione di magistrati, con il nostro specifico sapere tecnico». E qui più che di messaggio subliminale si può parlare di avvertimento: le toghe “di sinistra” fanno sapere al loro dirimpettaio, sempre Galoppi, che quando si tratterà di formalizzare l’adesione ai comitati per il No, nella campagna referendaria sulle carriere separate, se ne infischieranno delle pruderie moderate, e si iscriveranno con ancora maggior convinzione al fronte della militanza attiva.
Ma per Galoppi, ça va sans dire, si tratta, come ha detto al Giornale, di una riconversione dell’Anm in «soggetto politico di opposizione». Faziosità ideologica che appunto, per il segretario di Mi, ha compromesso il «dialogo istituzionale, che è quello che ci compete: abbiamo il dovere e il diritto di commentare tecnicamente le leggi, indicando cosa funziona e cosa no, ma non di fare opposizione politica». Al di là delle probabili reazioni delle prossime ore, è difficile misurare le conseguenze a medio termine dello strappo procurato da Galoppi.
Certo, nel “parlamentino” Anm (pomposamente denominato, dai magistrati, “Comitato direttivo centrale”, non senza vaghe assonanze sovietiche), si era consumato uno scontro, sottovalutato all’esterno, proprio fra Magistratura indipendente e il resto della coalizione che sostiene la Giunta (“esecutiva centrale”, ovviamente) presieduta da Parodi. I moderati di Galoppi avevano proposto un norma deontologica secondo cui giudici e pm avrebbero dovuto rinunciare a eventi sulla separazione delle carriere promossi dai partiti. Ma la mozione si era infranta sulla netta contrarietà di Area e Md. Con le dichiarazioni di ieri, il segretario delle toghe moderate ha avvertito gli avversari/alleati che durante la campagna referendaria la sua Mi rinnoverà il proprio dissenso sulla commistione fra magistrati progressisti e partiti di centrosinistra. Secondo fonti della stessa Mi, Galoppi avrebbe inteso mettere sul chi va là persino Parodi, suo “collega di corrente” ma ritenuto «troppo influenzabile dall’estremismo di Maruotti».
Una cosa, al segretario del gruppo meno anti-governativo, va riconosciuta: a dispetto delle accuse di collaborazionismo con Carlo Nordio, rivoltegli puntualmente dai colleghi progressisti, Galoppi ha avanzato una proposta che, con tanta nettezza, neppure la “rossa” Md sarebbe pronta a sostenere: sul carcere «serve un provvedimento di clemenza», un’amnistia «per i reati meno gravi e per i detenuti meno pericolosi. Mi attacchino pure, ma è ciò che mi dice la mia coscienza». Spiazzante, come il resto dell’intervista. Che però una cosa certamente la dice: la campagna per il No alle carriere separate vedrà i magistrati disuniti, e a dolersene saranno pure i partiti che si aspettavano di marciare allineati e coperti contro il ddl Nordio.
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