Una via a Giovanni Gentile
Le pretese toponomastiche sono rivendicazioni postume.
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u uno spirito libero e critico ma mai antifascista. L’idea che dal suo pensiero originino sia il fascismo che il comunismo italiani. Di certo, Gramsci gli è debitore. Ma il pensiero di Gramsci è ancora vivo, quello di Gentile no.
Con una battuta un po’ irriverente, si potrebbe chiamarla la disputa per una rotonda sul fascio. Mi riferisco alla proposta, avanzata dai consiglieri meloniani del Comune di Firenze, di dedicare una rotonda a Giovanni Gentile, idea che ha incassato il secco diniego della sindaca e un intervento di risposta del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, contro i “neoprimitivi” ostili alla intitolazione. Ma Giuli non aveva scritto (prima di diventare ministro) un libro intitolato “Gramsci è vivo”? In effetti, Gramsci è vivo (anche se non per le ragioni addotte da Giuli) mentre Gentile oggi è un oggetto di studio archeologico. Ma le due figure sono assai più associate tra loro di quanto non sembri, come mostrerò più avanti.
Le dispute toponomastiche sono quanto di più stucchevole esista. Nessuno ormai ha idea di chi fosse persino Camillo Benso di Cavour, nonostante a lui siano intestante piazze e vie del centro di quasi tutti i Comuni d’Italia. In genere, poi, quando deve dedicare una via nuova, il Comune la sceglie, per ragioni di praticità, all’estrema periferia, in luoghi disabitati, di passaggio di auto e frequentati da povere sex worker e tipacci, e abbelliti da cumuli di rifiuti. Bel modo di onorare la memoria di qualcuno.
L’ossessione degli ex missini per intitolare vie ai “loro”, più che da reale interesse verso la memoria storica, è mosso in più solo dal tentativo di rivendicazione postuma, tipica di reduci che ancora non hanno elaborato il lutto di Piazzale Loreto. Gli studi sul neofascismo italiano ci descrivono infatti le biblioteche delle sezioni missine con i volumi di Gentile presenti, ma intonsi, di un autore del resto alquanto complesso persino per i filosofi di professione, figurarsi per quei militanti che, alla dialettica del libro, preferivano in maggior numero quella del cazzotto o del tirapugni.
Una piazza, una via o una rotonda, a Gentile, non si possono comunque dedicare, almeno finché la Repubblica sarà legittimata dalla memoria dell’antifascismo. È vero, infatti, che egli fu un grande filosofo: il più originale, dal punto di vista teorico, dell’Italia della prima metà del Novecento. E che bisogna leggere, per chi si occupi di filosofia. Ed è vero che quasi tutte le sue opere più importanti dal punto di vista filosofico furono pubblicate prima della sua adesione al fascismo. È anche vero che Gentile fu un fascista più tollerante e aperto di quasi tutti gli altri esponenti del regime: dalla collaborazione di antifascisti alla sua Enciclopedia italiana fino alla ostilità alle leggi razziali. Egli, negli anni Trenta, del resto era entrato in un cono d’ombra, in ragione della sua dura opposizione ai Patti Lateranensi. Era hombre vertical, Gentile, diversamente dalla maggior parte degli intellettuali fascisti (e dei fascisti tout court) che sguazzavano nel conformismo e nella idolatria del Duce, spesso solo ipocrita e posticcia.
Ciò non è abbastanza però per sostenere la tesi di un Gentile che avrebbe rotto con il fascismo, come ha scritto avventatamente qualcuno. Nonostante tutto, ancora per gli anni Trenta, egli rimase una figura chiave delle istituzioni culturali del regime, anche da un punto di vista politico: e la sua libertà di parola era possibile in ragione della sua importanza. Per molto meno, chi si esprimeva con la sua schiettezza, veniva spedito al confino, in carcere o costretto all’esilio.
Fascista, e ideologo del fascismo, Gentile lo rimase fino alla fine. La sua decisione di aderire alla Repubblica sociale può apparire incomprensibile, visto che a Salò si riversò tutto il peggio del fascismo, anche intellettuale, da Gentile avversato negli anni. Ma al tempo stesso, egli fu coerente dal punto di vista etico e filosofico (che per lui coincidevano), ovviamente a partire dalla sua idea di eticità. E infatti vi aderì, a Salò, con lo spirito di mediare, di riconciliare.
Grande abbaglio: nella guerra civile non puoi che schierarti nettamente da una delle due parti, anche perché, se vi fosse possibilità di conciliazione, non vi sarebbe guerra civile; che finisce solo quando uno dei due campi è sconfitto, nel sangue. E anche se le motivazioni della sua uccisione, per mano dei partigiani comunisti, sembra su ordine di Palmiro Togliatti, furono numerose, come mostra il più bel libro sulla vicenda, scritto non da uno storico né da un filosofo ma da uno dei massimi psicologi italiani (Luciano Mecacci, La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, 2014), Gentile fu preso di mira proprio perché conciliatore. E infatti i fascisti saloini non lo piansero più di tanto, all’indomani del 15 aprile 1944.
E Gramsci, cosa c’entra? Gramsci, e pure Togliatti, come tutto l’antifascismo torinese di Piero Gobetti, erano allievi, in senso filosofico, di Gentile. Che poi, in senso non solo metaforico ma propriamente universitario, negli anni Venti e Trenta, coltivò seguaci che sarebbero diventati, fin dal 1943, cioè già prima della sua morte, importanti intellettuali e filosofi comunisti e azionisti. Paradossalmente, per la storia del comunismo e dell’antifascismo italiano, Gentile fu assai più importante, su un piano teorico, di Benedetto Croce. Secondo Augusto Del Noce, il grande testo di Gentile, La Filosofia di Marx, pubblicato nel 1899, fu all’origine al tempo stesso del fascismo e del comunismo italiano – e forse non solo italiano, visto che l’opera è citata pure da Lenin. Un giudizio radicale, quello delnociano, ma certo è che il Gramsci interprete del marxismo come “filosofia della prassi” era assai debitore di Gentile.
E tuttavia, i due stavano dalla parte opposta della barricata. Gramsci morì nel 1937, dopo quasi un decennio in carcere, dove l’aveva rinchiuso il regime di cui Gentile era uno dei pilastri. Ecco perché in moltissimi comuni d’Italia esistono una piazza o una via intitolata a Gramsci, mentre non ne possono esistere di dedicate a Gentile.
Soprattutto, Gramsci oggi è vivo, Gentile è morto, o meglio compulsato solo dagli storici, della filosofia, della politica e della cultura. Il primo invece è uno dei pochi autori italiani novecenteschi conosciuti, tradotti e letti ovunque, dall’Asia all’America, dall’Africa al Medio Oriente. E le sue riflessioni, risalenti a quasi un secolo fa, sono fonte di ispirazioni di studiosi dell’intero globo per comprendere non solo la storia dei loro paesi, ma anche il presente.
È talmente vivo, Gramsci, che a lui si ispirano persino a destra, gli intellettuali trumpiani: come mostra un lungo pezzo di Kevin Dugan, sul Wall Street Journal del 18 aprile, intitolato Meet MAGA’s Favorite Communist. Quale migliore prova, nella battaglia dell’egemonia, termine da Gramsci coniato, che costringere gli avversari a utilizzare il tuo linguaggio? Perché, v’è da starne certi, se fosse qui Gramsci, il fascismo 2.0 lo combatterebbe, come fece contro quello 1.0.
di Marco Gervasoni su HuffPost
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