Doveva essere una “pontiera”, Giorgia Meloni ormai è una “portiera”.
Nel senso che apre e chiude il portone agli ospiti in arrivo a Palazzo Chigi: l’ultimo che sarebbe dovuto arrivare tra frizzi e lazzi è Robert Fico, il primo ministro slovacco unico leader europeo a presenziare alla parata militare del Giorno della Vittoria, a Mosca, scambiando convenevoli con Vladimir Putin.
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Fico, ex socialista sospeso dal gruppo europeo S&D, sarebbe dovuto arrivare a Roma domani, martedì 13 maggio. Una visita riprogrammata per martedì 3 giugno, senza spiegazioni ufficiali, ma ovviamente per evitare a Giorgia Meloni l’ennesimo imbarazzo.
Come si può, infatti, dichiararsi la più fervida alleata di Volodymyr Zelensky e poi accogliere a Roma uno che si scambia i buffetti con Putin nel giorno in cui mostra i suoi razzi più grossi (nemmeno Orban è arrivato a tanto)?
La fiamma magica ha capito che la stretta di mano tra i due premier, a 4 giorni dal Giorno della Vittoria di Mosca, avrebbe attirato sulla Meloni quantomeno gli strali degli ucraini.
Kiev, del resto, pur apprezzando il sostegno italiano, è ben consapevole che si tratta di un appoggio più di facciata che “sostanziale”. Il contributo fattivo dell’Italia alla resistenza ucraina, infatti, fa ridere: Roma ha stanziato per Kiev soltanto lo 0,07% del Pil, meno di 1 miliardo e 400 milioni di euro.
E così non stupisce che di Giorgia Meloni, a Macron, Merz, Starmer e Tusk importi poco o niente.
L’Italia conta quanto il due di picche: questi sono i fatti geopolitici che contano, non i video e gli annunci propagandistici sui social, a uso e consumo dei trombettieri della Sora Giorgia.
La premier italiana, che si era autocelebrata come “pontiera”, è talmente irrilevante sui temi di politica estera, che anche il suo “caro amico” Trump l’ha scaricata senza pensarci un attimo: si consulta quotidianamente con il nemico Macron, che non a caso lo ha chiamato in diretta alla presenza di Zelensky e dei caballeros Volenterosi.
La pietra tombale finale sulle ambizioni della Meloni potrebbe arrivare nei prossimi mesi. Secondo più di un rumor, durante il viaggio a Kiev il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, sarebbe perplesso sulla sua partecipazione alla Conferenza di Roma per la ricostruzione ucraina, a luglio.
Il cristiano-democratico crucco avrebbe manifestato ai suoi colleghi la sua insofferenza per l’atteggiamento del governo italiano: “Noi mettiamo i soldi e soldati, perché dobbiamo andare a Roma?”
Le voci di un’ostilità crescente di Merz, leader su cui Giorgia Meloni puntava molto (anche in funzione di un suo possibile avvicinamento al Ppe, auspicato dal Quirinale), sono rimbalzate di bocca in bocca e sono state intercettate dalle antenne di Palazzo Chigi: la “Thatcher della Garbatella” spera di rimpannucciare i rapporti con Merz domenica prossima, all’intronizzazione di Papa Leone XIV.
Riuscirà a dare ennesima mostra del suo camaleontismo e a intortare lo spilungone teutonico? Ah, saperlo…
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