L’Autonomia deve essere ricostruita dalle fondamenta.
Il messaggio della Corte a Calderoli.

Nel suo primo intervento da presidente della Consulta, Giovanni Amoroso precisa la posizione sulla legge Calderoli: “Ricostruire il fondamento di tutto l’impianto”. “Lo scontro politica-toghe? Non giova alla serenità del Paese. Difficile un passo indietro sui diritti civili”
L’autonomia differenziata deve essere ricostruita dalle fondamenta. È il messaggio che lancia Giovanni Amoroso, nuovo presidente della Corte costituzionale, nel suo primo intervento dopo la nomina. Ed è un messaggio al Parlamento ma anche al governo che, invece, ritiene di poter intervenire velocemente per far funzionare quel che rimane della legge scritta dal ministro Roberto Calderoli. “Occorre che il legislatore intervenga e determini i criteri per i livelli essenziali di prestazione” , dice Amoroso, facendo riferimento ai cosiddetti “Lep”. La sigla racchiude un concetto complesso: si tratta, infatti, delle soglie minime dei diritti essenziali (scuola, salute ecc) che dovrebbero essere garantite in egual misura su tutto il territorio nazionale. I Lep, dice Amoroso, sono “pilastro su cui si regge la legge”. Questo pilastro, però. “è stato investito dalla pronuncia di incostituzionalità” e per questo “c’è da ricostruire la fase che è a fondamento di tutto l’impianto”.
Amoroso traccia la strada partendo dalla cronaca: la Corte ieri non ha ammesso il referendum sull’autonomia differenziata: “Il quesito – argomenta Amoroso – “volete o non volete l’autonomia” è un interrogativo contro la Costituzione, non sarebbe possibile perché è contro una norma costituzionale”. Non solo poco chiaro, dunque, ma proprio incostituzionale. Rispondendo a una domanda di HuffPost sulle critiche dei comitati referendari che, quando un referendum non viene ammesso, accusano la Corte di impedire ai cittadini di esprimersi, risponde: “Non vedo questa ostruzione, sono stati tanti i referendum ammessi, avrei un atteggiamento più positivo, o almeno possibilista, su questo versante”.
Parla più da magistrato che da giudice costituzionale quando interviene sullo scontro tra politica e magistratura: “Non giova alla serenità del Paese che ci sia una situazione non direi di conflitto, ma di non armonia”. Poche parole, che confermano le tensioni.
A chi gli chiede se, sulla scia dell’America di Donald Trump, non ci sia il rischio di un arretramento sul fronte dei diritti civili (come fine vita e fecondazione assistita) risponde: “Passi indietro è un po’ difficile che si possano ipotizzare però c’è sempre da confrontarsi con il contesto”. Da qui la richiesta di “leale collaborazione al Parlamento” nell’attuazione delle sentenze della Corte. Prima tra tutte quella sul fine vita, vecchia ormai di più di cinque anni e mai recepita dal Parlamento.
Il neopresidente non sfugge alle tante domande sul ritardo del Parlamento nella nomina dei quattro giudici costituzionali: “L’auspicio è che (l’elezione, ndr) avvenga quanto prima, ma la Corte non è menomata lavorando con 11 giudici”. “Ci aspettiamo – ha aggiunto – che verranno giudici di assoluto livello che poi appena dopo il giuramento e iniziando l’attività si spogliano della loro provenienza”. Un invito a non insistere nella logica spartitoria.
L’ultimo pensiero è dedicato alle carceri. La Corte è intervenuta più volte sul sovraffollamento, ma anche in questo caso i suoi moniti sono stati disattesi: “È un problema grave”, dice il presidente. E, ancora una volta, chiama le istituzioni al loro dovere: quello di collaborare.
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