Cosa insegna il voto in Abruzzo
Il successo di Marco Marsilio, dimostra evidentemente una valutazione positiva della sua azione di governo.
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Assorbite emozioni e delusioni delle quali la stampa ha dato ampiamente conto, il voto in Abruzzo suggerisce più di qualche importante riflessione sul funzionamento della democrazia politica. In primo luogo, che una campagna elettorale regionale impostata su temi nazionali e fortemente ideologizzati comporta dei limiti evidenti, a Destra come a Sinistra. Perché l’elettorato sospetta di essere in qualche misura strumentalizzato, mentre desidera decidere valutando le cose fatte da chi ha governato ed, in rapporto ad esse, apprezzare la praticabilità delle promesse dei candidati e del Governo, soprattutto quando la Regione è stata retta da esponenti della maggioranza parlamentare.
Il successo di Marco Marsilio, Presidente uscente della Regione Abruzzo, dimostra tutto questo in modo inequivocabile. Infatti, come ha messo in rilievo la stessa Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per la prima volta nella regione è stato confermato il Presidente uscente, evidentemente a seguito di una valutazione positiva della sua azione di governo, senza che l’elettorato si sia fatto confondere dalle sirene della propaganda delle sinistre galvanizzate dal successo, certamente significativo, anche se di misura, conseguito nelle elezioni in Sardegna dove, peraltro non era candidato il Presidente uscente. Per cui nell’isola la campagna elettorale ha toccato prevalentemente temi di politica nazionale, un po’ trascurando le questioni di più specifico interesse per i sardi che hanno sentito parlare spesso in modo inadeguato dei tanti loro problemi.
È un vecchio problema della politica italiana, caratterizzata da un confronto molto spesso basato sulle distinzioni ideologiche con l’effetto di non invogliare al voto, come dimostra l’ampio assenteismo che caratterizza tutte le elezioni, in particolare quelle locali, dove più forte è il desiderio dei cittadini di affrontare i temi concreti della loro vita di ogni giorno. Del resto, le elezioni sono, per natura loro, un test destinato a valutare il comportamento della classe politica che ha governato. Nascono così nella storia, e questa caratteristica è confermata dagli insuccessi di governi e coalizioni ai quali è stata rimproverata una inadeguata gestione delle cose concrete che interessano i cittadini, il fisco, il lavoro, la scuola, l’ordine pubblico, la giustizia. È accaduto in occasione delle elezioni legislative del 2006, quando il centrodestra ha subito una sconfitta per meno di venticinquemila voti nonostante avesse avuto la possibilità di governare nel corso dell’intera legislatura con un’ampia maggioranza parlamentare.
Il risultato elettorale d’Abruzzo, dunque, è un invito alla concretezza sui temi di interesse politico ed alla capacità delle coalizioni di presentarsi, pur nella varietà delle componenti ideologiche e programmatiche, con una capacità di coordinamento che faccia ritenere praticabile la realizzazione delle politiche pubbliche sulle quali è stato chiesto il voto. Questo coordinamento tutto sommato c’è stato a Destra mentre a Sinistra la ricerca del “primato politico” “sovrasterà” i rapporti tra le varie componenti, come ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera“restituendo l’incompatibilità di un “campo largo” o “giusto” che vada da Conte a Fratoianni”. Troppe diversità, troppi steccati alimentati da impostazioni ideologiche spesso distanti dalla realtà della vita quotidiana degli elettori, in tema soprattutto di sicurezza ed immigrazione, di “diritti” che per molti non sono tali, in assenza di condivisioni identitarie che, invece, a Destra si sono dimostrate solide e capaci di attrarre un vasto elettorato che ha premiato soprattutto Giorgia Meloni e Antonio Tajani, in parte a scapito della Lega di Matteo Salvini, che appare a molti troppo ancorata a presunti interessi delle regioni del Nord che si vorrebbero ulteriormente premiare con l’“autonomia differenziata” ritenuta, anche a Destra, fonte di ulteriori discriminazioni ai danni delle regioni meno ricche.
Secondo Massimo Franco, dopo i risultati delle elezioni del 10 marzo la Presidente Meloni può dedicarsi a rivedere la strategia del governo ed a curare gli equilibri e le tensioni dentro l’esecutivo, almeno fino alle elezioni europee di giugno. “Dopo, è tutto da vedere. Ma in parallelo promette di frantumare la rappresentazione unitaria fornita dagli avversari di Giorgia Meloni in questa breve congiuntura. L’unica lezione comune da apprendere, forse, riguarda il modo in cui sono affrontate queste Regionali. Avere politicizzato e nazionalizzato il voto in Abruzzo, e prima in Sardegna, si è rivelato a doppio taglio: per il governo e per i suoi avversari. E una volta ufficializzato il risultato, forse i partiti faranno bene a riflettere sulla sovraesposizione dei leader e sull’effetto sull’opinione pubblica”.
In fin dei conti se un “effetto Sardegna” c’è stato è servito a ricondurre le elezioni regionali nell’ambito della loro natura di confronto sulle cose concrete fatte e da fare ed ha insegnato che le scelte dei candidati devono seguire ad una analisi realistica delle aspettative locali. Insomma, vanno scelti candidati, avrebbe detto Giulio Andreotti, “vista da vicino”. Che, infatti, quando così è stato fatto, come in Abruzzo, ha premiato il buongoverno.
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