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La direttiva servizi si applica anche agli avvocati

L’avvocato generale della CGUE ha depositato le conclusioni nella controversia C-55/20, destinate ad avere riflessi importanti sulla professione forense

La direttiva servizi si applica anche agli avvocati

L’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha depositato le conclusioni nella controversia C-55/20 (testo in calce) insorta tra il Procuratore nazionale della Polonia e l’avvocato dell’ex presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. La posizione dell’avvocato della Corte è destinata ad avere riflessi importanti sulla professione forense, in tutta Europa, perchè allarga ulteriormente le maglie della “direttiva servizi”.

Da anni si assiste ad un lungo braccio di ferro tra le regole del mercato libero e la regolamentazione dell’esercizio della professione, tra l’assimilazione all’attività di impresa e la conservazione della specificità delle professioni intellettuali, tra libera concorrenza e tariffe inderogabili, tra l’uso della pubblicità e i limiti deontologici.

Salva la ormai riconosciuta libertà di stabilimento degli avvocati di un altro Stato Membro, i Paesi Europei tendono a conservare regole di limitazione della concorrenza nelle professioni intellettuali, motivandole sulla base di ragioni di interesse pubblico. Gli esami di Stato necessari all’accesso alla professione sono indispensabili per garantire un elevato livello di conoscenza e preparazione tecnica dell’avvocato, così come le regole deontologiche sono motivate dalla natura di servizio pubblico essenziale esercitata dal professionista.

Il caso esaminato dalla Corte di giustizia tocca proprio questo ultimo aspetto, quello dei procedimenti disciplinari degli avvocati, che per l’avvocato generale della Corte devono intendersi regolati dalla direttiva servizi.

Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Corte, il Procuratore nazionale polacco lamentava il ripetuto rifiuto del delegato alla disciplina dell’Ordine degli avvocati di Varsavia di avviare un procedimento disciplinare contro l’avvocato dell’ex presidente del Consiglio Europeo. Per il Procuratore, le dichiarazioni rese dall’avvocato nel commentare pubblicamente la possibilità che il suo cliente fosse accusato di reato, costituivano minacce e illeciti disciplinari. Eppure il delegato aveva per ben due volte rifiutato di avviare il procedimento disciplinare.

La prima questione sottoposta alla Corte di giustizia era quella di stabilire se il Tribunale disciplinare potesse essere qualificato come “giurisdizione”. Nelle conclusioni dell’Avvocato della Corte, la risposta è affermativa. Il Tribunale disciplinare ha infatti tutti i requisiti di una giurisdizione ai sensi dell’art. 267 del Trattato: origine legale dell’organo, carattere permanente, obbligatorietà della sua giurisdizione, rispetto del contraddittorio nel procedimento, decisione applicata in base a norme giuridiche, indipendenza dell’organo.

Risolto questo primo quesito, la Corte doveva stabilire se la direttiva servizi fosse applicabile anche ai procedimenti disciplinari degli avvocati. E anche su questo punto, la risposta dell’Avvocato della Corte è stata positiva. Come l’iscrizione all’ordine costituisce un’autorizzazione all’esercizio della professione ai sensi del capo III della direttiva servizi, così il procedimento disciplinare che può concludersi con la revoca dell’autorizzazione, rappresenta un momento e una parte del regime generale di autorizzazione.

Ma la portata della decisione è anche più vasta, perché si fonda sull’affermazione che “la prestazione di servizi di consulenza legale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva”, e che la rappresentanza in giudizio, anche se giustamente regolamentata e soggetta a norme deontologiche, costituisca un tipo specifico di “servizio” ai sensi della direttiva.

Data questa premessa quindi, secondo la Corte, anche i procedimenti disciplinari nei confronti degli avvocati iscritti rientrano nel regime della direttiva. La conseguenza è che il tribunale disciplinare, nel decidere, deve interpretare le norme nazionali in modo conforme al diritto dell’Unione o se del caso, disapplicare le norme nazionali che non sono conformi alla direttiva servizi. Non solo. Essendo applicabile la direttiva servizi, si applica anche l’art. 47 della Carta, e va sempre assicurato dunque il diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un giudice indipendente e imparziale.

In conclusione, il Tribunale disciplinare dell’Ordine degli avvocati di Varsavia non potrà più astenersi, come ha fatto finora, dall’esaminare la causa di cui è attualmente investito al fine di bloccare l’eventuale ulteriore ricorso per cassazione alla Sezione disciplinare della Corte suprema.

CORTE GIUSTIZIA UE, C-55/20 >> SCARICA IL TESTO PDF

Tratto daltalex

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