Avvocati e IA: un terzo la usa, ma otto su dieci ne temono l’uso nei processi
Indagine Ipsos per il Cnf: il 36% degli avvocati intervistati usa l’IA, ma il 72% non la ritiene in grado di interpretare correttamente leggi e precedenti. Otto su dieci temono l’uso nei processi e chiedono trasparenza e tutela dei dati
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Un avvocato su tre utilizza già strumenti di intelligenza artificiale a fini professionali, ma la fiducia resta bassa e otto su dieci esprimono forti timori sull’uso nel processo. È quanto emerge dall’indagine “Avvocati e attualità: Intelligenza artificiale”, realizzata da Ipsos per il Consiglio Nazionale Forense su un campione di 2.532 avvocati italiani.
I dati sono stati diffusi questa mattina in occasione della conferenza stampa di presentazione del XXXVI Congresso Nazionale Forense – in programma a Torino dal 16 al 18 ottobre – dal titolo “L’Avvocato nel futuro. Pensare da Legale, agire in Digitale”.
Il 36% degli avvocati intervistati dichiara di utilizzare l’IA per scopi professionali, ma il dato varia sensibilmente in base all’età e alla dimensione dello studio: la percentuale sale al 47% tra i professionisti di età compresa tra 35 e 44 anni e raggiunge il 76% negli studi con oltre 20 collaboratori, contro il 35% di quelli più piccoli. L’utilizzo è più diffuso tra gli avvocati che si occupano di immigrazione e diritto internazionale, e tra coloro che lavorano in forma associata.
Nonostante l’adozione crescente, oltre la metà degli intervistati (52%) non considera l’IA affidabile nelle attività giuridiche. Le funzioni percepite come meno rischiose sono la ricerca giurisprudenziale e l’analisi documentale, mentre la redazione di atti è giudicata inaffidabile dal 72% degli intervistati. Per sette avvocati su dieci l’IA non è ancora in grado di interpretare correttamente leggi e precedenti giurisprudenziali, né di produrre elaborati giuridici attendibili.
Per essere considerato affidabile in ambito giuridico, un sistema di intelligenza artificiale deve garantire – secondo quattro avvocati su dieci– sicurezza dei dati e rispetto della privacy (37%), trasparenza degli algoritmi (37%), accuratezza dei risultati (32%) e capacità di cogliere le sfumature legali (32%).
La maggioranza degli avvocati intervistati condivide le principali criticità dei sistemi di intelligenza artificiale applicati alla giustizia
- l’82% teme la disumanizzazione dei processi decisionali per la mancanza di empatia e comprensione umana;
- l’80% paventa l’amplificazione dei pregiudizi sociali dovuta a dati distorti;
- l’80% segnala l’opacità dei meccanismi decisionali, che può compromettere l’equità.
Inoltre, quasi un avvocato su due (48%) non ritiene che l’IA sia in grado di supportare in modo rilevante i giudici nelle decisioni, né di garantire sentenze più coerenti (59%) o più oggettive (65%).
Gli intervistati si mostrano decisamente contrari – con percentuali comprese tra il 70% e l’81% – all’elaborazione tramite IA di dati sensibili (vita sessuale, salute, procedimenti penali), che potrebbero essere fonte di discriminazioni. L’utilizzo dell’IA è invece considerato accettabile per l’elaborazione di dati oggettivi e giuridici (foro competente, norme applicabili, precedenti), soprattutto tra i professionisti più giovani e quelli che operano in studi strutturati.
Guardando ai prossimi 5-10 anni, un avvocato su due si aspetta che l’IA contribuisca a ridurre costi e tempi processuali, in particolar modo i professionisti più giovani (64%), ma le principali sfide restano etica, responsabilità, imparzialità nelle decisioni e protezione dei dati.
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