La gestione dell’ordine pubblico, tra diritto dei manifestanti e tutela degli altri.
La gestione dell’ordine pubblico è da sempre una funzione delicatissima che, in democrazia, deve contestualmente tutelare il diritto di manifestazione del pensiero e l’incolumità dei cittadini che non partecipano all’evento e dei loro beni.
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“Il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento.” Questo comunicato del Quirinale, riferito agli incidenti tra manifestanti filo-palestinesi e Forze dell’Ordine, avvenuti a Pisa, ripreso da tutti i giornali, è stato oggetto di interpretazioni di taglio diverso, com’è ovvio.
La gestione dell’ordine pubblico è da sempre una funzione delicatissima che, in democrazia, deve contestualmente tutelare il diritto di manifestazione del pensiero e l’incolumità dei cittadini che non partecipano all’evento e dei loro beni. Sappiamo anche che nelle manifestazioni pro o contro, qualunque sia la finalità degli organizzatori, è difficile evitare che s’infiltrino elementi estranei, generalmente violenti. È accaduto sempre. Sicché un tempo l’autorità reagiva senza porsi troppi problemi, con altrettanta violenza, senza distinguere tra manifestanti ed estranei. Così Napoleone fa sparare a mitraglia sui manifestanti filomonarchici a Tolone, così il Generale Bava Beccaris usa il cannone contro gli scioperanti a Milano.
In democrazia cambia tutto. La libertà di manifestazione del pensiero, tutelata dalle carte costituzionali, impone di distinguere chi pacificamente percorre le strade delle città e chi, inserito tra la folla, compie atti di violenza in vista del luogo dell’adunata, una sede politica o diplomatica, o autonomamente durante lo svolgimento della manifestazione, danneggiando auto parcheggiate, infrangendo vetrine, incendiando cassonetti.
Isolare ed identificare questi violenti non è sempre facile per le Forze dell’Ordine. Anche gli organizzatori delle manifestazioni, che spesso predispongono autonomi “servizi d’ordine” non sempre riescono a distinguere i buoni dai violenti nella concitazione degli eventi, considerato che i violenti agiscono con premeditazione. Insomma, è un‘attività complessa quella di consentire la manifestazione e, allo stesso tempo, tutelare persone e cose, non solo dei destinatari della protesta ma anche dei cittadini che si trovano a transitare su una via o una piazza o che lì svolgano le loro attività.
Certo, come si legge nella nota del Quirinale, “l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine” e, dunque, dello Stato, “non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”. Perché l’uso della forza esprime “un fallimento” dell’organizzazione pubblica che presidia l’ordine. Il Ministro Piantedosi, chiamato dal Presidente della Repubblica ha convenuto su questa impostazione e si è detto pronto a verificare se ci siano state reazioni immotivate tra le Forze di Polizia intervenute ad evitare che i manifestanti raggiungessero località non autorizzate. Forse si poteva sostituire ai manganelli una bella doccia capace di un forte effetto dissuasore nei confronti di chi voleva recarsi a protestare in luoghi non consentiti, come la Sinagoga o l’ufficio consolare israeliano. Un tempo si usava molto l’acqua erogata con getti violenti da appositi mezzi della Polizia. Si usava anche dell’acqua colorata in modo riconoscere come partecipante ad una manifestazione anche quanti, lontani dal luogo degli scontri, venivano identificati per i vestiti tinti di giallo, verde o azzurro. Non se ne è fatto più niente e l’acqua, erogata da appositi “cannoni” è tornata solo di recente nelle manifestazioni. E forse ad essa si dovrebbe ricorrere più spesso, quando possibile, al posto del manganello.
Detto questo rimane il fatto che le manifestazioni contro Israele, in favore dei palestinesi sono certamente ammissibili, esprimono una diffusa attenzione dell’opinione pubblica per la popolazione civile coinvolta nell’azione di repressione dei gruppi di combattenti di Hamas che si nascondono dietro e dentro scuole ed ospedali. La linea politica del Governo è quella di condividere le ragioni dell’azione militare di Israele in risposta all’aggressione del 7 ottobre ai danni di civili inermi, uccisi, torturati, catturati e tenuti in ostaggio. E certamente Palazzo Chigi non intende ostacolare manifestazioni che pacificamente chiedono un armistizio in vista di una pace duratura e magari la formazione di due stati. La preoccupazione del Governo è evidentemente quella di evitare che le critiche all’azione militare di Israele assumano una connotazione antisemita, che evoca ricordi orribili di un tempo non molto lontano.
Infine, l’età dei manifestanti, ove abbiano un atteggiamento violento o si accodino ai violenti, non può essere motivo di esclusione della responsabilità e della sanzione. I quindicenni di oggi non sono quelli dei miei tempi, intimiditi dall’autorità familiare e dello Stato. Come ci dicono le cronache, in quella fascia di età nasce spesso la violenza e comunque l’“effetto imitazione” è più frequente quando si accompagna a gesti violenti, magari perché si ritiene siano una risposta “giusta” ad una disposizione dell’autorità considerata contraria al previsto (dagli organizzatori) svolgimento della manifestazione.
Verificare se ci sono stati eccessi, dunque, è necessario perché lo Stato non deve mai ricorrere alla violenza. Perché la forza dello Stato è nella legge, secondo l’antico adagio di Marco Tullio Cicerone: Legum servi sumus ut liberi esse possumus. Non lo traduco perché di immediata comprensione.
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