Anno: XXV - Numero 72    
Venerdì 26 Aprile 2024 ore 13:00
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Alcune riflessioni a proposito del premierato

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Alcune riflessioni a proposito del premierato

Nel vigente ordinamento costituzionale il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i Ministri. Il progetto di riforma inteso ad istituire nel nostro sistema la forma di Governo del premierato elettivo (A.S. 935 emendato ma non ancora stabilizzato) prevede che il Presidente del Consiglio sia eletto a suffragio universale e diretto, che il Presidente della Repubblica conferisca l’incarico di formare il Governo al Presidente eletto e, su proposta di questo, nomini e revochi i Ministri.

Il progetto è modellato sull’esempio del sistema di elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Regioni.

L’assoluta preminenza dell’investitura popolare diretta esclude ogni apprezzamento sulla scelta del capo del Governo. La sovranità popolare supera ogni altra valutazione in presenza di una maggioranza parlamentare con un leader indiscusso preinvestito della funzione a seguito dei risultati delle urne (confermato dalla fiducia del Parlamento da presumere previamente acquisita in relazione al peculiare meccanismo elettorale).

Le disposizioni riformatrici non fanno cenno a particolari requisiti soggettivi di ammissione, e alla loro verifica, generalmente richiesti a tutti coloro che accedono a cariche pubbliche anche elettive (art. 51 Cost.), verosimilmente ritenendo assolto l’obbligo costituzionale tramite le procedure camerali che seguono alla contestuale elezione alla carica di parlamentare.

La responsabilità dell’affidamento dell’incarico non può ritenersi separata ed isolata dal ruolo centrale che il Presidente della Repubblica riveste nel quadro dell’ordinamento costituzionale, anzi è una delle sue espressioni, qualsiasi rilievo gli si voglia attribuire.

Nel progetto di riforma, oltre alla norma che prevede la scelta popolare del Premier, se ne rinvengono altre che limitano alcuni poteri formali del Presidente della Repubblica (v. in materia di scioglimento delle Camere) ma le novità sono circoscritte a singoli poteri espressamente indicati e non inficiano il ruolo che il Presidente della Repubblica riveste nell’ordinamento costituzionale.

L’atto di conferimento dell’incarico al Premier previsto con norma costituzionale appare configurabile come ”atto dovuto” che non lascia margini discrezionali di rifiuto per ragioni di opportunità politica, analogamente a quanto avviene per altri atti presidenziali previsti dalla Costituzione come “dovuti” (ad es. la promulgazione di una legge approvata nuovamente dal Parlamento dopo il rinvio presidenziale) in cui la verifica riguarda la correttezza formale e procedurale e non il merito politico dei provvedimenti oggetto dell’atto.

L’obbligatorietà dell’atto appare cedente dinanzi ad eventuali avvenimenti che compromettano esigenze imprescindibili dell’ordinamento che porrebbero l’atto al di fuori della logica costituzionale come, ad esempio, eventuali irregolarità diffuse e rilevanti accertate nel corso delle consultazioni elettorali invalidanti i risultati delle urne, da ritenere motivo di esclusione della doverosità dell’atto, prevalendo nel caso i poteri connessi al ruolo di garante degli equilibri politici e dei diritti costituzionali dei cittadini, poteri che appaiono non suscettibili di deroga da parte del legislatore costituzionale.

I costituenti hanno immaginato il Presidente della Repubblica nel quadro del sistema parlamentare come punto di riferimento delle articolazioni del pluralismo sociale, culturale e istituzionale di un Paese con spiccato carattere dialettico spesso acceso e conflittuale, tant’è che non potrebbe (dovrebbe) avere una forte connotazione politica mal conciliabile con la sua posizione “super partes”. La posizione di neutralità politica e la collocazione esterna rispetto agli altri poteri dello Stato costituiscono i fattori basilari della sua forza istituzionale.

Nella forma prospettata di premierato elettivo il Governo sarebbe espressione delle forze politiche che rappresentano la maggioranza dei cittadini che votano, mentre il Presidente della Repubblica (normalmente eletto da una parte più che consistente delle forze politiche) resta il garante di tutti gli orientamenti esistenti nel Paese, in una parola, di tutti i cittadini.

La Costituzione prevede espressamente specifici poteri presidenziali, in particolare, agli articoli 74, 87, 88 e 92.

Secondo una interpretazione sistematica del complesso delle disposizioni della Costituzione, dalla posizione centrale del Presidente della Repubblica discendono anche funzioni, e relative facoltà, non codificate testualmente, costitutive di una prassi costituzionale variamente consolidata in decenni di vita della Repubblica. Funzioni che rimangono sopite quando il Parlamento presenta maggioranze stabili e certe su programmi condivisi e che si attivano in caso di eventuali disfunzioni del sistema non componibili con la normale dialettica politica tra i partiti, casi in cui l’instabilità ministeriale comporta l’inevitabile intervento del Quirinale, strumento di risoluzione di situazioni critiche in particolari momenti della politica italiana. Interventi verosimilmente meno ricorrenti ma che non possono escludersi in assoluto anche nella forma di Governo del premierato specialmente in sistemi che presentano forze politiche frammentate in plurime formazioni o coalizioni non sufficientemente coese e con meccanismi elettorali che, in atto, non comportano la coagulazione verso schemi politici consolidati di tipo bipolare.

La giurisprudenza costituzionale fa riferimento all’azione di impulso, conciliazione ed intermediazione, non impositiva, condotta con discrezione e spesso con riservatezza, attraverso incontri, messaggi, esternazioni, indirizzata agli organi che devono assumere decisioni di merito, senza sostituirsi a questi sconfinando nell’area dell’indirizzo politico ma assecondandone il corretto funzionamento per favorire il raggiungimento delle relative decisioni. È la “moral suasion” presente negli ordinamenti costituzionali democratici che non viene esercitata mediante ordini, direttive o interventi coercitivi nei rapporti con gli altri soggetti istituzionali, comportamenti costituzionalmente inammissibili senza uno specifico fondamento normativo.

Le attività presidenziali come sopra intese accompagnano l’esercizio dei poteri formali e costituiscono ordinariamente la fase preliminare dell’adozione di atti formali solenni.

Secondo alcuni osservatori l’elezione diretta del Premier e la tendenziale stabilità e la coesione politica e programmatica della maggioranza parlamentare, assicurata dal sistema elettorale anche con un premio di maggioranza, di fatto comporterebbero, quantomeno, una minore rilevanza delle funzioni e dei correlati poteri che sono espressione reale del ruolo di arbitro e garante del rispetto della Costituzione le cui occasioni di intervento verrebbero a ridursi a fronte della del maggior grado di omogeneità dei rapporti tra Parlamento e compagine governativa.

Si argomenta che le attività del Presidente della Repubblica non testualmente codificate, (pur ancorate, secondo costante giurisprudenza, a solide basi normative costituzionali) sarebbero destinate, di fatto, a perdere la loro ragion d’essere in un sistema di premierato “forte” che tende ad assicurare la stabilità del circuito relazionale tra Presidente della Repubblica, Parlamento e Governo.

Sembra così volersi configurare una sorta di tipizzazione tassativa delle azioni presidenziali in base alla quale solo quelle normativamente indicate nel loro contenuto specifico potrebbero sopravvivere.

Anche disconoscendo la validità della ricordata interpretazione sistematica dei principi e delle disposizioni costituzionali concernente le prerogative del Presidente della Repubblica, l’art. 87 della Carta costituzionale che lo individua testualmente come Capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale appare fonte, di per sé, di funzioni e responsabilità non traducibili in specifiche fattispecie testuali, meno che mai con carattere di tassatività.

La rappresentanza dell’unità nazionale, intesa non solo come unità territoriale, riguarda la garanzia dell’esistenza del pluralismo politico ed istituzionale ed è finalizzata al processo di attualizzazione di interessi superiori che riguardano l’intera collettività. Opportunamente viene affidata alla responsabile valutazione del Presidente della Repubblica la scelta, nel quadro dei parametri costituzionali, delle possibili azioni, formali e informali, finalizzate a far fronte a situazioni critiche che riguardano l’unità nazionale intesa nel senso indicato, per le quali intervenire in forza del ruolo espressamente attribuitogli dall’art. 87, in particolare dal primo capoverso. Non è una lettura espansiva del ruolo presidenziale ma piuttosto una estrazione logica, dalla definizione normativa, di facoltà implicite nella funzione, indispensabili per dotare di forza operante il ruolo attribuito dalla Costituzione.

Diversamente, la disposizione resterebbe un principio astratto, attributiva di un ruolo simbolico ed onorifico, vuoto di contenuti e di cui sarebbe arduo individuare la coerenza con il complesso delle altre disposizioni della Costituzione. La Repubblica sarebbe priva di un organo di tutela unitaria di interessi primari dell’intera comunità nazionale al di fuori ed al di sopra dei differenti orientamenti politici, ruolo che non può essere svolto, allo stato attuale della legislazione, da altre pur rilevanti istituzioni dello Stato.

È indubbio che il premierato elettivo privi il Presidente della Repubblica di uno dei poteri formali più significativi connessi al suo ruolo nell’ordinamento costituzionale: la scelta e la nomina del Presidente del Consiglio che diviene “atto dovuto”. Tuttavia, è da notare che la decisione del Presidente della Repubblica è già in atto politicamente orientata (anche se non giuridicamente vincolata) verso il Leader del partito o della coalizione che vince le elezioni attraverso la sua indicazione nominativa nella scheda elettorale, circostanza che costituisce una sorta di anticipazione di fatto del premierato elettivo nella realtà politica italiana.

 La riforma incide anche sul potere di scioglimento delle Camere di cui all’art. 88 Cost. che alcuni costituzionalisti hanno definito come il principale potere formale attribuito al Presidente della Repubblica.

Una interpretazione fondata principalmente sulla lettera dell’art. 88 Cost. ha portato a considerare il potere di scioglimento anticipato come esclusiva prerogativa presidenziale. Questa tesi ha perso progressivamente valore in relazione all’accresciuto peso politico-istituzionale della controfirma dell’atto di scioglimento da parte del Presidente del Consiglio, fino a considerarla come proposta vincolante, così da ridurre anche il peso politico del parere dei Presidenti delle Camere. Si è fatta strada la tesi dello scioglimento anticipato come potere effettivo del Presidente del Consiglio, tesi sorretta da una visione politica tendente verso un sistema bipolare maggioritario. Le differenti tesi dottrinarie sfumano dinanzi alla constatazione che lo scioglimento dipende principalmente dalla disponibilità delle forze politiche più o meno interessate a trovare una soluzione dei contrasti esistenti.

La concezione “governativa” consente all’Esecutivo di mantenere la compattezza della maggioranza che lo sostiene e di disporre un potente strumento nei confronti del Parlamento in particolare al momento in cui si profilasse o si ponesse la questione di fiducia.

Di converso la configurazione dello scioglimento anticipato come atto complesso mette sostanzialmente sullo stesso piano il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio ed implica una collaborazione più o meno obbligata tra i due organi. Questa interpretazione, in un sistema impostato in senso multipolare, offre una maggiore garanzia al Parlamento ed alle minoranze politiche a fronte di eventuali forzature imposte dalle maggioranze di governo.

Il Presidente della Repubblica di norma ha fatto un uso prudente del potere di scioglimento anticipato consentendo al Parlamento di esprimere nuove maggioranze e nuovi Governi senza ricorrere a consultazioni elettorali favorendo lo svolgimento della legislatura. In altre situazioni il potere di scioglimento è stato esercitato in caso di accertata evidente divaricazione tra corpo elettorale e consistenza rappresentativa delle Camere che lasciava trasparire una maggioranza nel Paese lontana da quella espressa nelle precedenti elezioni.

I diversi orientamenti dottrinari relativi allo scioglimento anticipato confrontati con le novità del progetto di riforma appaiono superati dalla categoricità di quelle disposizioni.

Si prevede, in sintesi, che in caso di mancata fiducia delle Camere al nuovo Governo il Presidente della Repubblica “rinnova” l’incarico al Presidente eletto ed in caso di nuova sfiducia “procede” allo scioglimento delle Camere, mentre in caso di revoca della fiducia il Presidente della Repubblica “scioglie” le Camere.

Inoltre, qualora il Presidente del Consiglio eletto presenti le dimissioni, può proporre al Presidente della Repubblica, “che lo dispone”, lo scioglimento delle Camere. Qualora non ritenga di formulare la proposta (e nei casi di morte, impedimento permanente e decadenza) il Presidente della Repubblica “può una sola volta nella legislatura” conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente dimissionario o ad altro parlamentare del suo schieramento politico. Non può sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del mandato “salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto”.

Nelle situazioni considerate l’intervento del Presidente della Repubblica è normativamente vincolato e nel caso di scioglimento delle Camere si pone come “atto dovuto”. Al di là della deferenza istituzionale al Capo dello Stato che firma il decreto, il potere effettivo si trasferisce al leader del Governo scelto insieme alla maggioranza parlamentare dal corpo elettorale.

La revisione normativa segue la via della certezza del diritto superando l’ambiguità delle interpretazioni oscillanti, in sintesi, tra la natura presidenziale dell’atto, quella governativa e quella “duumvirale” a partecipazione congiunta.

Non può negarsi che i previsti automatismi comportino una riduzione della flessibilità del sistema insieme con un conseguente ridimensionamento della figura del Presidente della Repubblica.

Le novità prospettate, pur incidendo sulla portata dell’art. 88 della Costituzione, tuttavia, hanno lasciato indenne da modifiche testuali il comma 1 che appare pienamente operante come fonte di un potere generale di scioglimento pur con un ridotto campo di applicazione materiale vincolato nei casi specifici oggetto delle disposizioni riformatrici.

Sono ipotizzabili casi di scioglimento delle Camere anche al di fuori delle ipotesi espressamente indicate nel progetto di riforma. I presupposti giustificativi non sono individuati nella Costituzione così da rendere assai ampia la discrezionalità dell’esercizio del potere presidenziale cui fa da contraltare governativo la controfirma del Presidente del Consiglio a conferma della condivisione (più o meno forzata) e della legittimità dell’atto.

La prassi istituzionale offre esempi indicativi dei presupposti che nel tempo hanno portato allo scioglimento anticipato nella realtà istituzionale dell’attuale ordinamento e che costituiscono dei precedenti qualificati secondo la dottrina costituzionalistica, come nelle situazioni in cui le Camere non sono in grado di esprimere una maggioranza di Governo o nel caso già ricordato di rilevante ed evidente contrasto tra maggioranza parlamentare e volontà popolare manifestata, tra l’altro, in consultazioni elettorali sub-nazionali.

L’istituto potrebbe assumere anche la forma di scioglimento “sanzionatorio” nei confronti di un Parlamento inerte nell’attuazione della Costituzione o in casi estremi di tentativi di sovvertire surrettiziamente le regole fondamentali dell’ordinamento costituzionale.

In queste situazioni l’art.88 Cost. manterrebbe la piena potenzialità originaria secondo la visione dei costituenti che preferirono lasciare aperta la disposizione sul potere di scioglimento senza precisare le fattispecie entro i cui limiti esercitarlo, con l’unica condizione del parere obbligatorio e non vincolante dei Presidenti delle Camere e del limite temporale del “semestre bianco”.

Nella relazione illustrativa del disegno di legge costituzionale si osserva che la formulazione del testo è ispirata ad un “criterio minimale” di modifica della Costituzione vigente nella convinzione di operare in continuità con la tradizione costituzionale e parlamentare, limitando gli interventi di revisione a quelli strettamente necessari al conseguimento di obbiettivi quali, in sintesi, la legittimazione democratica diretta del Presidente del Consiglio, la stabilità dell’Esecutivo, la continuità del mandato conferito dagli elettori. Si precisa anche che si intende preservare “in massimo grado” le prerogative del Presidente della Repubblica, “figura chiave della forma di Governo italiana e dell’unità nazionale”.

Dall’avvento della Repubblica si sono succeduti quasi settanta Governi di vario colore e composizione. Il rafforzamento del ruolo del Capo del Governo con l’attribuzione di alcuni poteri di livello costituzionale costituisce una garanzia di governabilità per l’intera durata della legislatura senza interruzioni pregiudizievoli dell’azione dell’Esecutivo.

Il sistema intende evitare la costituzione di Governi post-elettorali, compresi i Governi “tecnici”, o di mere alleanze elettorali di convenienza costrette a continue mediazioni tra le forze politiche. Tuttavia, pur assicurando stringenti procedure e meccanismi intesi alla continuità della compagine governativa, il sistema non può escludere in assoluto l’eventualità di contrasti e “ribaltoni” interni alla stessa maggioranza, circostanza non remota nella realtà politica del nostro Paese.

Alcuni hanno osservato che la riforma appare troppo fortemente incisiva rispetto alla lunga esperienza della politica italiana nell’ambito della forma attuale di Governo parlamentare in un quadro politico generale a base liberale e pluralista. E’ stato rilevato che le proposte avanzate possono considerarsi “minimali” sotto il profilo quantitativo delle modifiche testuali di alcune disposizioni della Costituzione ma hanno una potenziale portata, sul piano di diritto e di fatto, fortemente innovativa su punti fondamentali dell’ordinamento costituzionale: in particolare il ruolo del Capo dello Stato, l’ assetto dei rapporti tra Presidente della Repubblica, Parlamento e Capo del Governo, il ruolo e la rappresentatività del Parlamento ed il mandato dei parlamentari, fino al principio dell’equilibrio e della separazione dei poteri.

La conservazione del rapporto di fiducia mantiene il sistema proposto nell’ambito del regime parlamentare con un Parlamento capace di incidere con il suo diniego anche sull’esito della elezione popolare del Premier. Considerato il meccanismo di elezione congiunta delle Camere e del Presidente del Consiglio, il rifiuto della fiducia, specialmente di quella iniziale per il nuovo Governo, resta un’ipotesi del tutto improbabile, a meno di improvvisi mutamenti degli “umori” degli schieramenti politici parlamentari.

Si profila la centralità di un nuovo tipo di rapporto fiduciario proiettato oltre il Parlamento direttamente verso il corpo elettorale chiamato ad esprimersi ogni volta che si presenti una situazione di crisi di Governo: Un sistema vincolato, ispirato alla formula “simul stabunt, simul cadent”, privo di un grado di flessibilità che in certe situazioni consenta iniziative di conciliazione ed intermediazione, utilmente esperibili, in ipotesi, per favorire la permanenza dell’Esecutivo ed evitare l’“extrema ratio” di nuovi ricorsi alle urne.

Il ruolo dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti e nella determinazione dell’indirizzo politico e programmatico governativo resta in gran parte condizionato dal fatto che i partiti presentano candidati preventivamente selezionati e linee programmatiche indicate per sintesi essenziali di cui gli elettori prendono atto, in una società in cui gli stessi partiti hanno perso quel radicamento che avevano in tempi passati.

Il susseguirsi negli ultimi decenni di diverse discipline elettorali unitamente ai frequenti cambi di Governo e delle conseguenti linee politiche e dei programmi ha prodotto un disorientamento degli elettori ed ha aggravato la disaffezione dei cittadini sempre più disincantati e distanti dalla vita politica, il diffuso fenomeno dell’astensionismo, la volatilità degli orientamenti politici nelle consultazioni elettorali. L’elezione diretta del Premier è un passo significativo verso una maggiore partecipazione alle vicende politiche ed istituzionali con auspicabili effetti positivi anche sulla qualità della rappresentanza politica nelle istituzioni del Paese.

In definitiva, una riforma con argomentazioni a favore e contro, con la promozione di alcuni valori ritenuti prevalenti e l’affievolimento di altri, nel complesso una riforma con luci ed ombre.

Per apprezzare compiutamente l’impatto che la revisione costituzionale avrebbe sulla realtà istituzionale e politica del Paese sarebbe necessario conoscere i termini della disciplina del sistema elettorale delle Camere da applicare alle consultazioni relative alla nuova forma di Governo, disciplina che viene opportunamente rinviata al legislatore ordinario, compito assai arduo per la peculiare sensibilità politica delle leggi elettorali che incidono direttamente sui differenti interessi dei partiti e riguardano, di norma, gli stessi soggetti ai quali compete la loro approvazione.

Il premierato elettivo e l’impostazione della relativa disciplina elettorale sono intimamente legati da un nesso di reciproca dipendenza: anche qui, con significato traslato, “simul stabunt, simul cadent”, con una correlazione che potrebbe apparire come un rapporto ineguale di prevalenza delle regole elettorali rispetto alle modifiche istituzionali, tanto da far ipotizzare che gli obbiettivi politici della forma di governo del premierato potrebbero essere in gran parte conseguiti tramite una apposita disciplina elettorale approvata con legge ordinaria anziché una elaborata revisione costituzionale che non trova unanimi consensi.

La tesi, a prima vista suggestiva per la soluzione apparentemente facile che offre, tuttavia rivela tutta la sua superficialità e la carica problematica per la stabilità dei rapporti istituzionali e la continuità degli Esecutivi e dei programmi di Governo che non sarebbero assicurati normativamente ma affidati alle valutazioni di convenienza delle singole forze politiche in campo, non di rado divise e riottose nell’ambito delle stesse coalizioni.

Il successo della revisione costituzionale della forma di governo ed i relativi auspicati benefici per il Paese restano condizionati da future regole che prevedano un sistema elettorale finalizzato a consolidare un assetto politico bipolare ed evitino il rischio di fallimenti registrati in altri Paesi.

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