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Come l’Italia può aprirsi all’innovazione digitale e diventare una start-up Nation

Con Diginnova, Fonarcom stanzia 4 mln di euro per la formazione in competenze digitali

Come l’Italia può aprirsi all’innovazione digitale e diventare una start-up Nation

Si è tenuto ieri il webinar An open Innovation Ecosystem post 4.0 Digital per rispondere al quesito: può l’Italia aprirsi all’innovazione digitale e diventare una Start-up Nation?

Di sicuro, lo è Israele, il primo Paese al mondo per numero di start-up e brevetti, anche grazie a una legislazione favorevole all’innovazione e a un sistema che, attraverso investimenti statali e capitali privati, sostiene un’interazione strettissima tra università, hub di ricerca e imprese.

Come ha spiegato Ofer Sachs, Ceo di Herzog Strategic e già ambasciatore d’Israele in Italia “sono tanti i fattori che hanno spinto Israele verso l’innovazione, a partire da una popolazione molto giovane (il 35% ha meno di 18 anni) e di provenienza internazionale a un’attenzione particolare del governo che ha portato in pochi anni a un’economia di servizi e di tecnologie applicate a tutti i campi. Oggi Israele è casa per 400.000 aziende internazionali che lavorano a stretto contatto con i centri di ricerca e con i giovani, e questo costituisce una spinta fortissima all’innovazione”.

Per Nava Swersky Sofer, esperta di innovazione, imprenditrice e ricercatrice, “a consentire in Israele lo sviluppo dell’Open innovation, e quindi dell’economia, è il grande investimento delle aziende private nei centri di ricerca e nelle università. Ciò che invece caratterizza questo sviluppo, è il fatto di adottare come metodo la ‘convergenza’. Essa si pratica a tutti i livelli: tra le persone, tra le menti, tra i settori produttivi, perfino tra arte e scienza. Questa convergenza tra scoperte tecnologiche e linguaggi diversi contamina l’intera vita culturale e produttiva del Paese. L’Italia potrebbe diventare leader in molti settori proprio adottando questa convergenza”.

Per Andrea Cafà, presidente di Cifa e di Fonarcom: “Nonostante la creatività che contraddistingue il nostro Paese, permangono limiti all’innovazione. I principali: mancanza di sinergia tra mondo della ricerca, sistema produttivo e istituzioni, insufficienza degli investimenti pubblici e privati e permanenza di un sistema burocratico gravoso. Occorre che si apra un dialogo tra imprese, ricerca e istituzioni che attragga investimenti, anche internazionali. E la formazione continua deve essere il fertilizzante dell’innovazione diffusa, senza cui è impossibile crescere, creare valore e competenze di livello globale. Fonarcom, con il suo avviso Diginnova, ha stanziato 4 milioni di euro per finanziare le competenze digitali. Le aziende possono presentare piani formativi fino ad aprile del 2021”.

Per il professor Angelo Maria Petroni, segretario generale di Aspen Institute Italia e ordinario di Logica e Filosofia della scienza alla Sapienza di Roma: “L’Open innovation è una dimensione fondamentale per lo sviluppo economico dell’Italia. Ma essa richiede un alto capitale umano e un alto capitale sociale. Persone più istruite e relazioni più facili tra lavoratori e imprese, e tra imprese e istituzioni. E’ su questo che il nostro Paese ha bisogno di interventi, sia normativi sia organizzativi”.

Pasquale Caffio, managing director di HRC, ha dichiarato che: “L’eccellenza israeliana ci insegna quanto il networking e la connessione tra gli stakeholder pubblici e privati siano fattori chiave per lo sviluppo dell’innovazione italiana. Da qui emerge il ruolo fondamentale di chi, come HRC FundTraining, favorisce la diffusione delle competenze tecniche e manageriali attraverso il proprio network e l’utilizzo delle risorse a disposizione delle imprese. Per accelerare la ripresa ed essere competitivi serve adottare modelli innovativi e sostenibili”.

 

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