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Lavori fatturati a ignari condomini che hanno scoperto solo per caso di aver ceduto crediti fiscali per in interventi mai realizzati.

È solo una della magagne trovate dalla Guardia di Finanza nel corso delle verifiche sulla realizzazione dei lavori del bonus 110%

Lavori fatturati a ignari condomini che hanno scoperto solo per caso di aver ceduto crediti fiscali per in interventi mai realizzati.

Il repertorio comunque è molto più vasto. Si va da ditte non operative che risultavano al lavoro su immobili che non erano nella disponibilità di chi avrebbe dovuto approvare l’appalto. Stalle fatte passare per villette completamente ristrutturate nelle quali in realtà non è mai stato aperto alcun cantiere. Una creatività in materia di frodi fiscali sui bonus edilizi che a quanto pare non ha limiti, secondo il quadro  che emerge dal dossier che le Fiamme Gialle hanno consegnato alla Commissione Bilancio del Senato che sta esaminando il decreto Aiuti quater con le norme in materia di Superbonus.

Le indagini avviate dalla Gdf con l’Agenzia delle entrate  hanno consentito di sottoporre a sequestro preventivo crediti d’imposta inesistenti per oltre 3,6 miliardi di euro dal novembre dello scorso anno ad oggi. Complessivamente comunque i casi più ricorrenti, oltre a quello dei lavori edilizi fatturati e mai avviati, hanno riguardato immobili sui quali sarebbero stati eseguiti gli interventi agevolati non riconducibili ai beneficiari originari delle detrazioni, e lavori edilizi incompatibili con le dimensioni imprenditoriali dei soggetti che li avrebbero effettuati e che avrebbero praticato lo sconto in fattura.

Tra i casi più recenti quello che ha portato al sequestro preventivo di crediti per un miliardo di euro tra Roma e Foggia.

Lo schema di frode come ricostruito per la GdF è emblematico: due società immobiliari riconducibili al medesimo imprenditore, proprietarie o conduttrici di centinaia di immobili con un basso valore catastale (es. stalle), hanno emesso reciprocamente, in poche settimane, fatture per un imponibile di diverse centinaia di milioni di euro concernenti acconti su lavori che in concreto non risultavano essere mai stati realizzati. Ciò ha consentito di generare crediti tributari fittizi, relativi al “bonus facciate”, al “bonus ristrutturazione”, all’“ecobonus” e al “sismabonus”, per oltre un  miliardo. Parte dei crediti era già stata monetizzata a seguito di un vorticoso flusso di cessioni che ha coinvolto società satellite (alcune delle quali neocostituite) e persone fisiche (talvolta interi nuclei familiari) che, pur a fronte di redditi nulli o modesti, risultano aver acquistato e poi ceduto crediti per importi di rilevante entità al solo fine di allungare la catena, ostacolare i controlli e vanificare l’azione di recupero dei profitti illeciti.

E risulta tra i più gettonati proprio il meccanismo delle cessioni “a catena”  tra imprese con la medesima sede e/o con gli stessi rappresentanti, costituite in un breve arco temporale, oppure che hanno ripreso ad operare dopo un periodo di inattività o che da poco si sono formalmente “riconvertite” all’edilizia, i cui soci o amministratori sono nullatenenti, irreperibili e/o gravati da precedenti penali.  Una tipologia di frode che rende  particolarmente difficoltosa per chi acquista il credito in buona fede e, in particolare, per gli istituti di credito, l’effettuazione di una corretta verifica sui profili soggettivi e oggettivi delle operazioni. 

In alcuni casi, i procedimenti penali sono partiti da denunce di ignari cittadini. E’ quanto avvenuto, ad esempio, a Milano, dove a seguito delle segnalazioni di alcuni cittadini che, consultando i propri cassetti fiscali, si erano resi conto di ignare operazioni di cessione di crediti in materia edilizia a loro carico, è stato scoperto che una società operante nel settore edile aveva emesso fatture nei confronti di quattro condomini a fronte di lavori mai realizzati, generando crediti inesistenti per oltre 48 milioni di euro.

 

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