Stati Generali: donne assenti
Anc denuncia: ma nei comunicati miracolosamente presenti.
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L’Associazione Nazionale Commercialisti esprimere sconcerto per quanto si legge oggi in merito agli Stati Generali della professione organizzati dal Consiglio Nazionale.
In un evento che avrebbe dovuto rappresentare il futuro dei commercialisti, quattro panel tematici si sono svolti con una singolare omogeneità: sedici uomini, nessuna donna, nessuna collega, neanche una.
Di fronte alle critiche, anziché rimediare dando voce e ruolo alle colleghe nei panel, il presidente Elbano De Nuccio ha pensato di invitare – con effetto tardivo e puramente simbolico – alcune personalità politiche femminili, tra cui la Presidente del Consiglio. Il messaggio è stato chiaro: le donne possono essere invitate, ma non per partecipare ai tavoli sul futuro della professione.
A chi ha fatto notare l’assenza femminile nei momenti di confronto, De Nuccio ha replicato che si trattava di un evento istituzionale e non di un convegno di categoria, e che la composizione dei panel rifletteva la rappresentanza politica. Ma l’evento è stato organizzato dal Consiglio stesso, che ha quindi piena responsabilità nella scelta degli ospiti.
La toppa è peggio del buco. Il problema non è la statistica: è la scelta. E in questo caso, la scelta è stata escludere, non per disattenzione, ma per impostazione culturale.
È il solito copione: parità a parole, esclusione nei fatti.
Non si tratta di quote o di “politicamente corretto”, si tratta di rappresentanza.
Un evento istituzionale, pagato con risorse della categoria, non può ignorare metà dei suoi iscritti.
Oggi, per giustificarsi, si cita il dato della Fondazione: “la categoria è piena di donne in ruoli di responsabilità”. Ma questo è esattamente il punto: se ci sono, perché non erano sul palco?
Il presidente De Nuccio prova a correggere il tiro parlando del 39% di presenza femminile nelle nomine effettuate dal Consiglio Nazionale. Peccato che quei risultati derivino da elezioni avvenute nel 2021, ben prima dell’insediamento dell’attuale Consiglio, quindi senza alcuna influenza da parte sua.
Inserire quei numeri in una narrazione autocelebrativa è quanto meno scorretto, soprattutto da parte di chi, per ruolo, dovrebbe astenersi dal diffondere informazioni suggestive.
In un contesto già segnato da tensioni e spaccature, la comunicazione dovrebbe favorire chiarezza, rispetto delle competenze e riconoscimento del merito. Appropriarsi dei risultati altrui serve solo ad alimentare sfiducia e conflittualità.
Invece di affrontare le critiche nate dal panel monocolore degli Stati Generali, aprendo un confronto costruttivo, si è preferito mettere in vetrina numeri selezionati, ignorando il nodo centrale: l’assenza delle colleghe dai momenti decisivi dell’evento.
Si dimentica anche che il Consiglio Nazionale fu costretto ad adeguare la propria composizione solo dopo una sentenza del Tar (caso Damiani) che ne sospese l’iter elettorale per violazione delle norme sulle quote di genere.
In conclusione, non si può parlare di contributo strutturale alla parità di genere da parte dell’attuale governance. Nelle prime Bozze della riforma del D.Lgs. 139/2005 – redatte proprio dal Consiglio – le quote di genere erano state ridotte e riproposte per ben due volte.
Solo successivamente, e non senza pressioni, sono state ripristinate nell’ultima versione.
Le colleghe non hanno bisogno di essere “valorizzate” dal Consiglio Nazionale, necessitano di essere ascoltate, coinvolte e messe nelle condizioni di contare.
L’ANC rinnova il proprio impegno a favore di una parità autentica, basata su trasparenza,
confronto e rispetto, e chiede che si apra una riflessione vera, non una giustificazione d’apparato. Il futuro della professione non si costruisce restando incollati al passato.
Si costruisce senza retorica, senza narrazioni autoreferenziali, ma con i fatti.
Anc Comunicazione
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