La pensione degli ex onorevoli è una garanzia d'indipendenza da tutelare
A colloquio con il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, sulla polemica sui compensi per gli ex deputati: "Non sono vitalizi, sono pensioni. E i deputati ne hanno diritto. Non si possono cancellare i diritti acquisiti".
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Ecco perché hanno ragione gli ex parlamentari a chiedere che venga ripristinata la pensione – la pensione e non il vitalizio – calcolata secondo il metodo retributivo. Lo spiega, in una conversazione con Huffpost, Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, già vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, magistrato e docente universitario. Una premessa. Giovedì si riunisce alla Camera il Consiglio di garanzia di Montecitorio. L’organo di autogoverno della Camera dei deputati deve decidere se accogliere o meno il ricorso presentato da 800 ex deputati contro la decisione assunta nel 2018 dall’ufficio di presidenza di Montecitorio, presieduto da Roberto Fico, con la quale si applicava anche agli ex deputati il regime contributivo, già in vigore per i nuovi eletti.
Professore, nel dibattito pubblico si parla del ritorno dei vitalizi. Ma si tratta di pensioni. È così?
Non sono vitalizi. Si tratta di una corresponsione che ha una natura mista, indennitaria e previdenziale, come prova il fatto che la disciplina ne ha differito nel tempo il godimento. In precedenza (prima del 2012, ndr) veniva attribuita immediatamente dopo la cessazione della funzione, dopo la non rielezione. Dopo si è stabilito di versarla a un’età che è quella pensionistica. In passato c’erano stati anche elementi che oggettivamente stridevano, come l’attribuzione di questa corresponsione anche se l’esercizio delle funzioni era avvenuto per pochissimo tempo. Questi elementi sono stati superati.
Che si tratti di vitalizio o pensione, qual è la ratio di questa misura: ai parlamentari non può bastare l’indennità che percepiscono nel corso del mandato?
Si tratta per un verso di una garanzia per consentire a tutti lo svolgimento di funzioni così elevate, anche a chi non ha redditi o patrimoni personali su cui contare. Altrimenti ridurremmo la rappresentanza a chi se lo può permettere. Per gran parte dei parlamentari, il mandato implica un impegno temporale lavorativo, direi quasi professionale, assoluto, larghissimo. Si tratta di un vero e proprio lavoro, nel senso che prevede un impegno e una responsabilità molto ampi a cui corrisponde un’indennità che – ripeto – è destinata a consentire l’attività indipendentemente dalle condizioni economiche di chi si dedica. Questa previsione contempla non solo il periodo in cui si svolge il mandato, ma anche il periodo successivo alle funzioni parlamentari. Ed è una garanzia di indipendenza dell’esercizio parlamentare che è interesse delle istituzioni tutelare.
Gli ex deputati chiedono che questa pensione sia calcolata per loro ancora con il metodo retributivo, prendendo cioè a base di riferimento l’indennità da parlamentare, lo stipendio, e non i contributi versati nel corso del periodo in cui sono stati eletti. Denunciano “il cambiamento delle regole del gioco a gioco iniziato” nel senso che dicono: quando siamo stati eletti, le regole erano quelle del retributivo. Hanno ragione?
Il regolamento dell’ufficio di presidenza della Camera del 2018 dà attuazione sostanzialmente retroattiva di una misura che limita un diritto acquisito. Questo può anche accadere, ma non nelle modalità come sono state disposte e verificate. Deve essere rispettato cioè un principio di ragionevolezza. Mentre nella situazione nella quale siamo non mi parrebbe ragionevole, adeguato e giustificato che ci siano compromissioni di questi diritti. Mi spiego: l’acquisizione di un diritto acquisito può essere compromessa da una norma successiva in presenza di condizioni generali che drammaticamente lo pretendano, ad esempio di fronte al rischio di collasso economico del Paese, e in quel caso il carico può essere distribuito con misure temporanee di riduzione della spesa. Ma non è questo il caso, per fortuna.
Un secondo argomento degli ex deputati attiene alla disparità di trattamento con gli ex senatori, visto che il 15 luglio del 2023, Palazzo Madama ha ripristinato per gli ex senatori il metodo contributivo e quindi i vecchi assegni. Hanno ragione?
Questo oggi è l’elemento di maggiore rilevanza: non ci può essere un trattamento diversificato per parlamentari a seconda che siano senatori o deputati, senza tenere conto degli ulteriori problemi per chi ha svolto nel tempo entrambe le cariche. Nel nostro ordinamento la condizione del parlamentare è unica, le garanzie che devono assicurate sono le medesime. Sarebbe davvero singolare se la disciplina del contributivo venisse riconosciuta al Senato a partire dalla data in cui le nuove norme sono state disposte e alla Camera no.
C’è il rischio che la compromissione di diritti acquisiti nel caso delle pensioni dei parlamentari si estenda dall’ambito parlamentare ad altre categorie?
Sì e no. Nel senso che questo trattamento ha un carattere del tutto particolare, pur avendo carattere previdenziale mantiene un rapporto con il mandato parlamentare. Ad esempio, viene sospeso se dopo un periodo di non rielezione si torna a svolgere quelle funzioni, oppure viene sospeso se si svolgono altre funzioni effetto della nomina da parte del parlamento, ad esempio l’essere membro della Corte costituzionale o l’elezione alla presidenza della repubblica. E’ del tutto particolare.
Ma si può dire che le posizioni di chi denuncia il ritorno dei cosiddetti vitalizi dei parlamentari riflettano la mancanza di rappresentatività del Parlamento oggi, rispetto al passato? Quando i vitalizi c’erano davvero non c’era un clima così contrario…
Dal punto di vista costituzionale il Parlamentare rappresenta la nazione senza vincolo di mandato e concorre alla formazione delle leggi. Mantiene una centralità delle funzioni parlamentari e una responsabilità politica che è prima di tutto etica. Che poi l’attività politica in concreto sia buona o cattiva dipende dal funzionamento del sistema. E dare una valutazione sul funzionamento del sistema politico implicherebbe un giudizio di valore.
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