Anno: XXVI - Numero 122    
Lunedì 23 Giugno 2025 ore 14:00
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Conte tra campo largo e piazza Rossa. Il leader M5S: "C'è un popolo che dice no".

Ed è piuttosto eterogeneo, fra trotskisti, anti-imperialisti, operaisti, filo-Hamas e perfino un putiniano doc.

Conte tra campo largo e piazza Rossa. Il leader M5S:

La convocazione è contro il riarmo europeo, il bersaglio diventa presto Israele. C’è chi contesta Conte e gli ricorda le decisioni da premier, ma lui tira dritto. C’è anche una piccola pattuglia dem, accaldata e guardinga

Comunisti, ecologisti, socialisti pre-craxiani, sinistra anti-imperialista, sovietisti, trotzkisti, operaisti, pacifisti tout court, animalisti, ong e poi Arci, la Spi della Cgil insieme all’ala sinistra del campo largo e su tutti la benedizione del Vaticano. Tutti in piazza per il disarmo, ma quant’è difficile mettere ordine nel “campo rosso”.
Lo sa per primo Giuseppe Conte, che di manifestazione in manifestazione sta prendendo dimestichezza con una location a cui non era abituato. Complice l’assenza di Elly Schlein – impegnata in Olanda, ma in realtà bloccata dai veti interni al Pd – è lui il leader del partito più grande in piazza. Ma il M5s e la costellazione di sigle di sinistra che anima la manifestazione camminano fianco a fianco, ma ancora non si incontrano davvero.

La premessa si svolge due ore prima di scendere in piazza: Giuseppe Conte, Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni firmano una mozione parlamentare che chiede sanzioni europee contro Israele la sospensione del memorandum per la cooperazione militare fra Italia e Israele. È un modo per mettere alle strette il governo Meloni – la premier riferirà in aula lunedì 23 giugno – e testimoniare una unità d’intenti tra le forze politiche del centrosinistra. Un modo, cioè, per ancorare a sinistra il cosiddetto campo largo.  

La piazza nelle intenzioni dovrebbe seguire lo stesso schema. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Può valere cioè in Parlamento – con la sola incognita dei riformisti del Pd  – altra cosa è far collimare le posizioni di Conte con quelle degli anticapitalisti dei centri sociali o degli operaisti dei Carc.

La scena d’inizio è eloquente. La piazza è convocata contro il piano di riarmo europeo, ma nei fatti è tutta rivolta contro Israele. Quando parte il corteo – colonna sonora “Killing in the name” dei Rage against the machine – ci sono ventimila persone secondo gli organizzatori. Forse qualcosa in meno, ma sono tanti comunque, considerato che a Porta San Paolo fanno 40 gradi quando la marcia comincia. Il primo ad arrivare è Angelo Bonelli: “Netanyahu mente, già nel 2012 diceva che l’Iran aveva completato il programma per l’arma nucleare al 90 per cento, ed era falso. Qui rischiamo la guerra nucleare”, sbotta il leader dei Verdi. A seguire la mini- delegazione del Pd senza bandiera al seguito: Sandro Ruotolo, Marco Tarquinio, Paolo Ciani, Arturo Scotto e il capogruppo in consiglio regionale del Lazio Mario Ciarla si avvicinano con circospezione. “Mo’ ci cacciano tutti…”, dice timoroso quest’ultimo.

Non sarà così. Ma la piazza mette soggezione, è un susseguirsi di bandiere rosse. Ce n’è per tutti i gusti: dai Carc, i comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, alla Sinistra anti-imperalista, poi il Fronte comunista e il Fronte della gioventù comunista, che sono due cose diverse, e poi Risorgimento socialista, che rispolvera la bandiera del Psi – ma quella col libro, il sole e la falce e martello su cui Craxi fece piombare il garofano rosso. E ancora Rifondazione Comunista, ovviamente, e il partito Umanista, e gli Animalisti italiani, e i trotskisti doppiamente rappresentati, dal Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando e dalla Frazione internazionalista trotskista rivoluzionaria e ancora il Fronte di Liberazione dello Sri Lanka, il Partito Operaio, gli Iraniani democratici, che distribuiscono volantini in cui Benjamin Netanyahu e Khamenei sono fianco a fianco. “Per noi c’è poca differenza, sono due volti della reazione”, dice il giovane militante Hirad Sokhangou, 23 anni, impiegato in un negozio di occhiali. “Non c’è differenza tra Khamenei e gli amici suoi. Israele e gli americani vogliono sostituire lui con qualcuno che a loro fa comodo, ma per noi cambierà poco”.

Slogan, striscioni e manifesti sono contro Israele e contro gli Usa. “Abbattere lo stato sionista” è tra i più grandi. E poi il classico “Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato”. E la sua versione riveduta e corretta: Fuori l’Italia dalla guerra.  Fuori dalla Nato e fuori anche dalla Ue.

In questo clima si presenta Giuseppe Conte con un drappello di fedelissimi, Carolina Morace al suo fianco, 10 bandiere del movimento da un lato e 10 del network giovanile dall’altro. Dismessa per una volta la giacca, in camicia blu, jeans e scarpe in tela, il leader M5s raccoglie i frutti di una linea pacifista che rivendica: “Noi da sempre abbiamo sostenuto il no al riarmo e chiediamo un intervento contro Israele. Per questo stiamo bene in questa piazza, perchè prima a marzo a San Giovanni, poi il 5 aprile coi 100mila ai Fori Imperiali, infine il 7 giugno scorso, la nostra linea non è mai cambiata. E le persone ce lo riconoscono. Ma fate attenzione: io non sono antimilitarista, io dico che un esercito ci vuole. Ma non spendendo il 5 per cento del Pil, che è un follia. E pensare che dicono di me che sono un armaiolo…”.

Conte è molto richiesto, per una foto, una stretta di mano. Cammina nella parte ombreggiata del viale della Piramide Cestia. Dall’altra parte, oltre i tigli, sfila il corpaccione del corteo, con movimenti e partiti dell’ala radicale. Lì tanti ricordano anche il suo passato da premier. “Conte, me devi ‘n anno de lavoro. Te lo ricordi il green pass?”, s’affaccia un uomo mentre Conte accarezza una bambina. Un altro, nello spezzone di corteo dei Carc, grida: “E il 2 per cento, chi lo ha voluto il 2 per cento?”, chiaro riferimento a quando Conte, era il 2018, diede l’assenso dell’Italia a portare il budget militare Nato al 2 per cento del Pil. Partono i fischi. E poi il coro, ancora nel gruppone dei Carc: “Di Conte ho ricordi vaghi, facevi schifo nel governo Draghi”. Un modo per rinfacciargli la partecipazione all’esecutivo dell’ex presidente Bce. Un uomo regge un cartello sulle spalle: “Tutti complici nella fornitura di armi e collaborazione politico militare a Israele. Cari Cinque Stelle, è un po’ tardi. Ma ok, meglio tardi che mai”.

Il diretto interessato non se ne avvede. Stringe mani, risponde a qualcuno che chiede spiegazioni. Arriva finalmente Nicola Fratoianni, a differenza di tutti gli altri è fresco di bucato. “Ti sei messo la maglietta pulita? Io oggi qui mi prendo la polmonite…”, lo rimprovera bonario Conte. Il corteo continua a presentare insidie. Proprio davanti a lui sventola ora una bandiera russa e sopra quella, in caratteri cirillici, la bandiera della vittoria con cui l’Urss celebra la vittoria contro i nazisti. Le regge Nikolay Poutihsev, famiglia mista russa e italiana, da Alessandria, ha doppio passaporto e vota anche in Russia: “Il mio solo presidente è Putin. Non ne ho altri – spiega – e come dice Putin, il multipolarismo si costruisce combattendo l’oligarchia capitalista”. Intanto dallo spezzone affianco parte il coro: “Sionista, attento. Ancora fischia il vento”.

Ecco la tv russa, avvicina Conte. La domanda è sull’Ucraina. “Non c’è dubbio che l’aggressione è avvenuta da parte della Russia ed è inaccettabile”, dice con chiarezza. “E tuttavia se vogliamo preservare il multilateralismo, dobbiamo far parlare tutti i player non possiamo limitarci a eseguire gli ordini della Nato”. La giornalista russa va via un po’ delusa. Conte si gira verso i cronisti e chiede: “Avete sentito? Sono stato chiaro. Che quando dicono che sono filorusso m’incazzo”. È il momento per chiedergli delle contestazioni. Presidente l’ha sentite, erano i Carc? Conte glissa: “I Carc, e chi sono? C’era anche la Picierno?”.

Intanto il corteo prosegue verso il Colosseo. Davanti al gruppo dei Cinque Stelle si piazza ora lo striscione “Con l’asse della resistenza”, portato da ragazze e ragazzi iraniani. Hanno le bandiere di Hezbollah e di altre formazioni combattenti –  bandiere coi mitra, alla manifestazione per il disarmo – e ci tengono a precisare che loro stanno con Hamas. Appartengono al collettivo Contronarrazione, di Genova. Chiediamo a Leonardo Senigallia, 26 anni, laureato in scienze storiche e socio di una ditta di elettromedicali. “Noi stiamo coi vari paesi e movimenti che si oppongono al sionismo. Quindi Iran, Yemen, Libano e Hezbollah”. E Hamas? “Anche Hamas. Per noi non è un gruppo criminale, e non è un gruppo terrorista. È un movimento di resistenza legittima, come la resistenza italiana, quella jugoslava e francese”. Ma non lo condannate per il 7 ottobre? “Posso condannare moralmente le violenze sui civili, ma politicamente è un atto di guerra”.

Gli slogan riecheggiano altri tempi, ma li cantano i ragazzi del fronte della gioventù comunista. Sono schierati come soldati, con gli anfibi e le bandiere rosse. “Lotta di classe, potere popolare, contro l’Europa del Capitale”. I popoli in rivolta fanno la storia, Intifada fino alla vittoria”. Chiediamo se sono loro quelli di Cambiare Rotta, collettivo molto in auge alla Sapienza. “No, no, loro sono a Piazza Vittorio”. Ma che differenza c’è tra loro e voi? “Loro sono putiniani. Per noi Putin è un imperalista, ma oggi non lo combattiamo, oggi siamo contro l’imperialismo americano”. Sottili differenze.

Di colpo uno slogan che richiama l’attualità. “Se si va in guer-ra, al fronte va Ca-len-da”. Nella piazza Rossa finisce fuori fase la lotta intestina al Pd tra riformisti e sinistra interna. La delegazione schleiniana – Ruotolo, Ciani, Scotto, Ciarla, più Cecilia Strada che si muove con Emergency – esce indenne. “Questa è una piazza pacifista e io qui mi sento a casa, sto bene qui”, dice Ruotolo. Gli chiedono delle critiche dell’ala riformista. “Ma loro sono la minoranza interna. La linea del Pd non la danno Picierno o Sensi, nè Quartapelle. Poi se il Pd è a favore della guerra, allora io ho sbagliato partito”. Il tema ritorna con l’ex direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, oggi europarlamentare dem. Si parla di sanzioni a Israele, un’altra richiesta della mozione unitaria tra Pd, M5s e Avs. Gli chiediamo: anche il Pd, come il consiglio europeo, ha una minoranza di blocco? “Di blocco o meno, deve prendere atto che la linea la dà la segretaria Schlein, ed è conforme a quella del gruppo dei Socialisti e democratici”.

Tra i partiti della piazza rossa – M5s, Avs e il Pd di marca Schlein – può nascere una intesa politica che guardi a sinistra? Difficile dirlo ora. Marco Ferrando, storico leader dei trotzkisti italiani, lo esclude. “Queste convergenze di piazza sono fisiologiche. Ma col Pd non si possono fare accordi. È l’architrave della borghesia con una componente interna iperatlantista e ipersionista. Schlein, poi, è la segretaria di un partito che non le corrisponde”.

Sulla piazza per la pace cala invece la benedizione del segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin: “È un bene che ci sia una mobilitazione in generale per evitare la corsa al riarmo”, dice il cardinale. Parole che pesano e che orienteranno, forse, il dibattito dentro al Pd. Ma al Colosseo non se ne avvedono. I manifestanti si distendono in terra come le vittime di Gaza. I militanti del partito umanista sono i più pacifici tra i militanti per la pace. “La pace – è scritto – dipende anche da te”. 

di Alfonso Raimo su HuffPost

 

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