No alle Casse di Previdenza utilizzate come casseforti per il Risiko Bancario
A tutela degli iscritti nasce il Comitato Iscritti Enti Previdenziali dei Professionisti.

Intende partecipare alla presentazione del documento che riguarda le Casse di previdenza dei professionisti, approvato all’unanimità dalla Commissione bicamerale di controllo degli enti previdenziali e che si è presentato alla stampa con il seguente comunicato:
Il CIEPP – Comitato degli iscritti alle Casse di previdenza privatizzate lancia un appello ai parlamentari di Camera e Senato per chiedere al Governo e ai ministeri competenti di fare immediatamente chiarezza.
Walter Palumbo, Presidente CIEPP : “Mettere subito al centro la sostenibilità delle Casse di previdenza privatizzate, recuperare la funzione primaria delle Casse e garantire in tutti gli istituti previdenziali privati pensioni adeguate e non da fame per tutti gli iscritti professionisti e lavoratori autonomi.”
Roma, 18 giugno. “No a scalate bancarie con i risparmi previdenziali dei professionisti. Sì a controlli tempestivi ed adeguati da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della COVIP, della Corte dei conti e della Commissione bicamerale sugli enti previdenziali sulle speculazioni fatte negli ultimi mesi dalle Casse previdenziali privatizzate e fondi pensioni”.
A chiederlo è il CIEPP, vista per ora la totale indifferenza dei rappresentanti del governo sulla materia. “La questione riguarda milioni di italiani, professionisti e lavoratori – si legge nella nota – e per questo il Comitato degli iscritti agli enti previdenziali dei professionisti lancia un appello ai parlamentari affinché sia possibile, quanto prima, fare chiarezza e trasparenza su una serie di operazioni finanziarie andate in porto con il supporto delle casse privatizzate di previdenza”.
“Le recenti vicende – dichiara Vincenzo Campo, vicepresidente CIEPP – che riguardano la guerra in atto tra Mediobanca, Mps e Generali è un esempio chiarissimo di come oggi – in modo a dir poco opaco – alcuni amministratori, invece che operare con i principi elementari della sana gestione a tutela dei propri contribuenti e delle pensioni dei propri iscritti alle casse privatizzate, optano su investimenti speculativi, utilizzando le casse privatizzate alla stregua di “banche o hedge fund per speculatori finanziari”, invece di preservare – come dovrebbero – il valore delle pensioni future di giovani e meno giovani”.
Il caso dell’operazione di cessione del 15% di Mps da parte del Ministero di Via XX Settembre ad alcuni imprenditori, vicini all’esecutivo e Banco Bpm, per favorirne la scalata a Mediobanca e lo schieramento contrario all’integrazione con Banca Generali è chiara a tutti da tempo. L’ingresso di Empam in Mediobanca e di Inarcassa e Cassa Forense in Bpm dovrebbe oggi far riflettere ancora di più il legislatore, chi controlla il sistema previdenziale e chi ha avvallato un aumento di capitale con i risparmi delle pensioni private degli italiani.
Dovrebbe allarmare inoltre la situazione di alcune Casse privatizzate come Enasarco, dove da anni è evidente il fenomeno mai risolto di migliaia di silenti, e dove si sono svolte elezioni nonostante il tribunale civile avesse chiesto alla Fondazione Enasarco di non ignorare le indicazioni dell’organo ministeriale di vigilanza, per consentire una maggiore partecipazione al voto. Per non parlare della bufera giudiziaria in corso in Enpapi, dove alcuni dirigenti sono a processo per falso sui requisiti di nomina.
“Non comprendiamo – conclude Walter Palumbo, Presidente CIEPP – come amministratori di Enasarco, Enpam e Cassa forense si siano fatti trascinare in speculazioni finanziarie in totale assenza di controlli. Riteniamo che i risparmi e i contributi di molti professionisti e lavoratori, versati nelle proprie Casse di previdenza da parte di medici, avvocati e agenti di commercio o altri professionisti non possano essere adoperati per operazioni di basso cabotaggio o speculazioni finanziarie che possano favorire concentrazioni o nuove governance finanziarie, con i soldi dei risparmi previdenziali degli italiani. Così come vi sia sempre più la necessità di controllare sulle competenze dei dirigenti delle Casse privatizzate e sugli investimenti delle risorse finanziarie, oltre che sulla composizione del patrimonio degli Enti di previdenza, anche rispetto ai debiti previdenziali, visto il segno negativo riportato da molte Casse privatizzate negli ultimi anni”.»
Con l’occasione faccio presente che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione III), con la sentenza n. 5182/2025 del 13.06.2025, ha rigettato il ricorso della Cassa Nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti che aveva impugnato la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 15.10.2020 e la nota del Ministero dell’Economia e Finanze del 07.08.2020, con la quale non sono state assentite le modifiche approvate dagli organi della CNPADC riguardanti l’iscrizione obbligatoria dei Tirocinanti Dottori Commercialisti in possesso di partita iva e dei soggetti in possesso del certificato di compiuto tirocinio che, contestualmente, svolgono un’attività di lavoro autonomo equiparabile a quelle di competenza del dottore commercialista, con la seguente motivazione:
«11.2 – Tale prospettazione non può trovare accoglimento, in quanto le tesi difensive dedotte in giudizio non sono in grado di superare il passaggio decisivo (e assorbente) della motivazione del diniego secondo cui: “Si osserva poi che la stessa legge 3 novembre 1963, n. 100, recante “Istituzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti”, i cui contenuti sono recepiti nello Statuto, all’art. 2 dispone che “sono obbligatoriamente iscritti alla Cassa i dottori commercialisti iscritti nell’albo professionale, che esercitano la libera professione”. Tale norma specifica, anch’essa di rango primario, sancisce l’obbligatorietà dell’iscrizione per la categoria dei “dottori commercialisti iscritti nell’albo professionale”. Nulla viene innovato rispetto a tale previsione dalla legge 23 dicembre 1970, n. 1140 recante “Adeguamento della legislazione sulla previdenza e sull’assistenza dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali”, né dal D. Lgs. n. 509/1994 il quale, peraltro, all’art. 1, comma 3, dispone che “Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione””.
11.3 – A fronte dell’evidenziata opposizione di un dato normativo primario che osterebbe a una modifica statutaria come quella per cui è causa, con la quale si amplierebbe la platea degli iscritti alla CNPADC oltre l’ambito definito dalla legge, l’odierna appellante non oppone argomenti decisivi, se non appellarsi all’autonomia statutaria, finanziaria e gestionale che le sarebbe stata riconosciuta per effetto del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509; tuttavia, tale autonomia trova un limite proprio nella funzione pubblicistica che l’Ente continua a svolgere, e nella disciplina legislativa cui questa è soggetta, come si evince:
– a livello normativo, dal permanere in vigore dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 100/1963, secondo cui – come già evidenziato – sono obbligatoriamente iscritti alla CNPDAC “i dottori commercialisti iscritti all’albo professionale, che esercitano la libera professione” (il che significa che l’iscrizione obbligatoria non può essere estesa a soggetti non iscritti all’albo) e dal tenore dell’articolo 1, comma 3, del d.lgs. n. 509/1994, secondo cui: “Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione” (il che significa che le categorie di lavoratori e professionisti interessate restano quelle perimetrate dalla legge e non possono essere modificate per via statutaria);
– a livello giurisprudenziale, dall’indirizzo di questo Consiglio di Stato secondo cui la privatizzazione degli enti gestori di forme di previdenza integrativa, nell’ambito della razionalizzazione della organizzazione amministrativa, ha inciso esclusivamente sui soli strumenti gestionali volti al perseguimento di un fine previdenziale ed assistenziale che invece è rimasto inalterato, come immutata resta l’evidenza pubblicistica dell’attività svolta (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2833).
11.4 – Con riguardo poi al precedente della Cassazione relativo a Inarcassa, richiamato dall’appellante, vanno condivise le osservazioni dell’Amministrazione (pag. 9 della memoria ex articolo 73 c.p.a.) secondo cui – senza approfondire il caso specifico di Inarcassa – la posizione di ciascuna cassa previdenziale interessata dalla trasformazione di cui al d.lgs. n. 509/1994 può essere diversa in ragione di come la platea degli iscritti era perimetrata dalla relativa legge istitutiva, potendo da ciò discendere anche conclusioni diverse in relazione alla possibilità di intervenire su di essa per via statutaria.
11.5 – Quanto sopra, evidenziando l’esistenza di una riserva di legge su cui non ha inciso affatto l’autonomia statutaria e gestionale riconosciuta alle Casse previdenziali “privatizzate”, appare sufficiente – in base alla nota giurisprudenza sugli atti plurimotivati – a sorreggere il diniego di approvazione impugnato in prime cure, esonerando dall’approfondimento degli ulteriori punti problematici sollevati con gli altri motivi di appello, diretti a contestare gli ulteriori profili di “criticità” della modifica statutaria proposta dalla Cassa.
11.6 – Può dunque prescindersi dalla disamina delle doglianze relative alle ulteriori ragioni addotte dalle Amministrazioni vigilanti a sostegno della mancata approvazione delle modifiche statutarie in questione.
- – In conclusione, l’appello va respinto con diversa motivazione.
- – La novità e complessità della questione controversa giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2025.»
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