Anno: XXV - Numero 73    
Lunedì 29 Aprile 2024 ore 13:00
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Medici e infermieri in fuga? Cosa raccontano i dati degli ospedali bolognesi

Fuga di personale sanitario. L'hanno chiamato così, nella giornata di protesta delle professioni sanitarie, quel fenomeno che però ha bisogno di analisi. E, dati alla mano

Medici e infermieri in fuga? Cosa raccontano i dati degli ospedali bolognesi

si sono cercate alcune risposte. Dal canto loro i sindacati attaccano: “Indecenti sia i turni che gli stipendi”

Stressati, esausti, amareggiati e anche un po’ arrabbiati. Li abbiamo visti così, in piazza prima a Bologna, poi a Roma, molti medici e infermieri sotto le bandiere delle varie sigle sindacali, preoccupati per il sistema sanitario nazionale. Si parla in continuazione di fughe di professionisti della sanità dal pubblico al privato, di gente che molla e cambia vita prevalentemente perché non ce la fa. Ma quanti sono? Perché lo fanno e cosa li tratterrebbe? Quale sarà il futuro dei nostri ospedali?

Il direttore sanitario dell’azienda Usl di Bologna Lorenzo Roti spiega: “Il maxi-reclutamento del Covid e l’assunzione di persone non intenzionate a restare in un’azienda, si è tradotto nel 2022 in un turnover maggiore rispetto agli altri anni, tenendo conto che allo stesso tempo si sono concretizzate mobilità, anche interregionali. In questa fase è aumentata la capacità di arruolamento delle regioni del centro sud, nelle quali da tanto tempo non si assumeva e non si facevano concorsi. Si è cominciato a farlo e giustamente chi voleva ha utilizzato gli strumenti di mobilità (finalmente) a sua disposizione. Se guardiamo ai primi mesi del 2023 vediamo già che i dati sono molto cambiati. I numeri vanno letti ma anche analizzati: vediamo quanto, ma capiamo anche il perché. Direi che sicuramente una parte del fenomeno dunque è attribuibile a uscite per mobilità volontaria dalla aziende per  rientrare presso i territori di provenienza. Si tratta di un dato verificato da una nostra anagrafe dei dipendenti”.

Questi numeri sono un po’ superficiali: cosa c’è dentro a questa tabella?

“Direi innanzitutto il dato anagrafico. Impressionante come coloro che alzano i numeri della tabella abbiano la data di nascita che si aggira intorno al 1990. Sono giovani e nella maggior parte dei casi non bolognesi: qui la lettura che potrei fare è la stessa suggerita poco fa, quella dei trasferimenti e dei ritorni nelle proprie zone nelle quali finalmente si aprono bandi e posizioni”.

Si tratta comunque di professioni faticose, spesso stressanti e persino estenuanti. Ma che possono trovare dei miglioramenti…

“Possiamo senz’altro provare ad essere convincenti e a mantenere chi è qui. Il tema dello stipendio è un tema oggettivo, ma sappiamo anche che per i primi anni (5 anni prima di ottenere incarichi protezionali) è regolato dai contratti collettivi nazionali, gli stessi per cui abbiamo visto scendere in piazza alcune sigle sindacali nelle scorse settimane. Bisognerebbe dare più sfogo possibile alla personalizzazione delle carriere dei medici”. 

All’estero i nostri professionisti sanitari hanno appeal? E soprattutto le posizioni all’estero attraggono infermieri e medici italiani?

“L’appeal c’è dove c’è carenza e potrei fare il facile esempio dell’Inghilterra. Ma questa cosa delle ‘fughe’ è un po’ una farsa e non lo definirei certo un fenomeno. Non preoccupante comunque”.

Il futuro?

“Sono due gli aspetti su cui lavorare: il primo è fare in modo che i professionisti non si sentano soli, anche se hanno carichi di lavoro aumentati. Non subire e basta insomma, ma spingere su un tema di cultura delle professioni e di lavoro multi-professionale, di equipe. Se lavoriamo in equipe con confronto costante fra colleghi, si riduce anche lo stress. Ed è un tema che in definitiva riguarda tutta l’organizzazione di lavoro, non solo nel sanitario. L’altro aspetto riguarda la semplificazione di alcuni ponti di risposta sanitari: immaginando alcuni ospedali come non generalisti, ma differenziandoli creando delle sinergie ed economie. Un esempio di focus hospital a portata di mano è quello di Bazzano. Il tutto, naturalmente, deve essere reso comprensibile ai cittadini. Al tempo stesso sarebbe bello recuperare il senso di prestigio del fare l’operatore sanitario. Ci vorrebbe un rilancio del prestigio sociale”.

Personale che lascia il pubblico per il privato. Quali le dimensioni del fenomeno e perché accade?

“Alcuni specialisti oggi hanno sicuramente la possibilità di scegliere anche un lavoro meno sovraccaricato di responsabilità e di turni nel settore privato. Devo dire però che si tratta di un fenomeno limitato e lo abbiamo visto fare in pochi casi, per lo più nelle professioni infermieristiche. Nei prossimi anni non ci aspettiamo che questo sia un problema. Nel frattempo cosa si sta facendo? Il tema della riorganizzazione dei servizi di emergenza urgenza che ha posto sul piatto la regione Emilia-Romagna va nella direzione di ridurre il fabbisogno di personale dell’emergenza urgenza a fronte di una valorizzazione del personale già presente in servizio e al lavoro come il personale medico assistenziale e di rivedere la risposta ambulatoriale per i codici di pronto soccorso a bassa complessità, dando risposte in contesti diversi rispetto al pronto soccorso. Credo sia il questo il segnale giusto per affrontare anche il tema della criticità della disponibilità di personale”.

Infermieri, storie dalla corsia: “Non siamo una filiera produttiva. Alcuni mollano”

Trentatré anni, infermiere dal 2017 nel reparto di oncologia di un ospedale bolognese: “Se mio figlio mi dicesse che vuole fare la mia stessa professione lo sinceramente lo scoraggerei perché il nostro lavoro, soprattutto dopo il covid, è diventato una manovalanza sanitaria vista anche la carenza di oss. L’ho scelto di essere quello che sono, perché sono incline all’assistenza e all’aiuto, ma con il passare del tempo l’attrattiva si è abbassata (lo si vede anche dai numeri dei partecipanti ai concorsi) a causa prevalentemente di uno squilibrio fra il salario, le ore di lavoro e i ritmi faticosi. Nel pubblico il nostro mestiere si è deteriorato e da qui nasce quella che molti giornali definiscono ‘fuga’ dagli ospedali a favore di cliniche e realtà private. La nostra, lo sottolineo, non è una filiera produttiva e quando si ‘smonta’ lo si fa normalmente tenendo in considerazione i pazienti che si lasciano e i passaggi di consegne: ne deriva che quelle mezz’ore straordinarie sono ormai ordinarie e alla fine se ci si mette anche la vestizione, se ne va almeno un’ora”.

A livello contrattuale e nei fatti, quali sono gli elementi che abbassano l’asticella e fanno sì che alcuni colleghi abbiano deciso di mollare per un lavoro diverso? “Non ci sono scatti di fascia, la turnistica è molto pesante e spesso imponderabile e non programmabile, uno stipendio netto di circa 1.600/1.700 euro al mese, straordinari che spesso diventano contenziosi. Considerando che un affitto mediamente si aggira sui 600/700 euro al mese, ecco che i conti si fanno da soli…E i numeri da considerare sono anche quelli collegati alle nuove leve: se ai concorsi prima della pandemia si candidavano 17.000 mila aspiranti, oggi siamo a 1.700 circa”.

Il sindacato: “Sono stressati, troppi sacrifici e poco in cambio”

“La fuga di personale ha molteplici cause, a partire dal covid, che ha messo a dura prova la nostra professione: gli operatori sono stati messi davanti a sacrifici enormi quando già venivano sottopagati e senza alcun tipo di valorizzazione. Sono stati chiesti tanti sacrifici e alcuni ci hanno anche rimesso la vita, ma oltre agli slogan non è arrivato nessun riconoscimento” commenta Antonella Rodigliano, segretaria regionale in Emilia-Romagna e segretaria territoriale a Bologna del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche.

“La gente scappa perché non c’è più il tempo di conciliare vita e lavoro – continua -. Ci sono continue carenze da sopperire, doppi turni, riposi che saltano e costante richiesta di reperibilità. I professionisti sono stressati, uno su tre informazioni per capire come andarsene dal sistema sanitario pubblico, anche a costo di reinventarsi. Bisogna invece tutelare questo bene prezioso – conclude Rodigliano – puntando su stipendi decenti, che riconoscano i sacrifici richiesti, e sul benessere all’interno delle nostre aziende: deve diventare il loro obiettivo principale”.

I numeri

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