Diagnosi via web, l'Sos dei medici: Un processo clinico che da lontano non si può comunque perfezionare
Così la professione è insostenibile. Troppe pretese dai pazienti.
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L’assistito si fotografa il neo, lo manda via whatsapp al medico curante e gli chiede la diagnosi. Un processo clinico che da lontano non si può comunque perfezionare. Come non si può ordinare una risonanza giusto perché l’assistito è venuto appositamente per farsela prescrivere. In Veneto un coordinamento di medici di famiglia neo-costituito è emerso all’attenzione mediatica, chiede di ricostruire il rapporto fiduciario su nuove, più solide basi. E mette in relazione le nuove pretese di alcuni pazienti di avere risposte subito con un’erronea comprensione degli obiettivi dello strumento informatico: un equivoco al quale le pubbliche amministrazioni non sarebbero estranee. A rappresentare il gruppo – una decina scarsa di Mmg di Treviso -è un medico della Marca, Gianfranco Aretini, alle spalle anni trascorsi in prima linea tra cure palliative e in Africa, ora ospite prenotato da trasmissioni tv. Che parte da una considerazione: «Lavoriamo sommersi dalla burocrazia. L’informatica, lungi dal toglierci tempi morti, ha amplificato la quota di lavoro non clinico svolto in studio. E ha alzato l’asticella delle pretese dei pazienti. Con loro, credo, tutti vorremmo un rapporto equilibrato, non certo paternalistico. Ma questo equilibrio si allontana sempre più: anche colleghi giovani mi comunicano che il quotidiano del medico di famiglia è insostenibile. A Mattino in Famiglia dove sono stato invitato sulla Rai parla prima di me una dottoressa aggredita: le aggressioni sono ormai una costante, viviamo tutti nella paura di un malvivente o di un equivoco che sfoci in una lite». L’obiettivo di Aretini è rivedere le regole d’ingaggio con i pazienti e far capire alla politica che il problema va risolto a breve: «Il nostro Sos non sfonda tra le istituzioni, e credo che dovremmo far uscire sui media, come medicina generale, i comportamenti che ci aspettiamo da noi e dagli assistiti». Anche per costruire un rapporto migliore sanità-utenti, la Regione Veneto ha puntato sull’informatizzazione con il progetto Sanità a Km Zero. Il medico di famiglia prescrive un esame e poi dallo studio questo è prenotato al paziente che non deve rivolgersi al Cup. Oppure prescrive un farmaco (progetto “Eco farmacia”) e la ricetta arriva al telefonino dell’assistito che la mostra al farmacista senza doversi recare dal “dottore” per le ripetizioni. Vantaggi chiari per i cittadini, meno per i medici veneti, come riscontra Aretini: «Da una parte vediamo crescere il tempo che dedichiamo all’informatizzazione, e percepiamo come tutte a nostro carico -anche economicamente- le “facilities” previste dalla Regione. Ricordo che siamo medici e non informatici, valutiamo di persona e non su display. Dall’altra parte, vediamo crescere le pretese: pazienti già convinti da una bassa cultura mediatica che ad ogni loro istanza corrisponde un diritto da far rispettare nel minimo tempo possibile, che si sentono autorizzati dagli scambi informativi più rapidi a considerare tutto come emergenza. Spetterebbe al clinico invece dire cos’è emergenza. Manca informazione sulle basi del rapporto medico-paziente, istituzionale, omogenea e capillare, e il risultato sono i pugni sulle pareti dei nostri studi da parte di chi ritiene di aver atteso troppo per una ricetta». Aretini non vuole assolutamente una guerra ai pazienti, né alle regioni, ma «a parte il fatto che in casi estremi, dove si arriva all’aggressione fisica, ci riserviamo la querela, e che c’è comunque la ricusazione per i rapporti che non “ingranano”, occorre affrontare una battaglia per una reciproca migliore comprensione, occorrono regole di buona educazione. L’alternativa è l’addio imprevisto di molti medici di medicina generale che sempre più lasceranno una professione insostenibile».
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