Anno: XXV - Numero 66    
Giovedì 18 Aprile 2024 ore 13:00
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PROFESSIONE FORENSE VERSO LA SCOMPARSA

«Noi legali falcidiati dalla crisi. Molti sperano nei concorsi pubblici…». Parla Antonio De Angelis, presidente Aiga

PROFESSIONE FORENSE VERSO LA SCOMPARSA

«Le saracinesche si vedono. Se si abbassano te ne accorgi. Se un avvocato interrompe o rallenta l’attività, no, non c’è la visione plastica della crisi, del dramma personale e sociale. Eppure esiste. E per noi avvocati le dimensioni del dramma sono inimmaginabili. Sottovalutate. E destinate forse a essere percepite in differita».

Antonio De Angelis, presidente dell’Aiga, l’Associazione italiana giovani avvocati: perché le ricadute del covid sull’avvocatura potrebbero essere percepite in ritardo?

Perché molti colleghi, davvero tantissimi, sono ormai pronti a cambiare lavoro, e tanti non lo hanno ancora fatto solo perché aspettano magari la ripresa dei concorsi pubblici. Parlo di colleghi non giovani, in molti casi. Preferiscono l’idea del posto fisso, puntare a un impiego sicuro. Si sono rassegnati.

La crisi dovuta alla pandemia è percepita come irreversibile?

Provo a fare un quadro. L’attività d’udienza si è dimezzata. Nonostante alcune luci, alcuni risvolti positivi. Penso alla trattazione scritta nel processo civile: ha funzionato abbastanza bene. I magistrati vi fanno ampio ricorso. Eppure il fatto di aver rinunciato a molte udienze in presenza non ha accresciuto la produttività.

In che senso?

Non si ha l’impressione che sia cresciuto il numero delle decisioni, dei provvedimenti da parte dei giudici. Anzi, ci sono molti rinvii. Tanti magistrati continuano ad avere ritrosie a fissare udienze in presenza, sia nel civile che nel penale.

In questi ultimi 6 mesi successivi alla pausa estiva non c’è stata una ripresa delle attività d’udienza almeno parziale?

Passi avanti molto ma molto lenti. Una ripresa assai più contenuta di quanto sarebbe necessario per assicurare all’avvocatura anche un ritorno a livelli di reddito accettabili. E questo avviene ovviamente anche per il quadro generale del Paese. La crisi ha innanzitutto ridotto la domanda di giustizia. Basti pensare alla stasi del pubblico impiego, dei concorsi, da cui veniva un contenzioso notevole. Si è ridotta l’attività per l’intero mondo del lavoro autonomo. Commercianti, artigiani: tutte le partite Iva. Ovvio che vi sia un riflesso anche sull’attività di noi avvocati.

Quindi si sono ridotti del 50 per cento anche i redditi?

No: del 50 per cento, con la inevitabile approssimazione, possiamo dire che si è ridotta l’attività in tribunale. Ma il calo degli introiti è ancora maggiore. Anche perché è sempre più difficile recuperare il credito, ottenere dal cliente che paghi il compenso. Il cliente è in crisi, non incassa, e non viene a studio. È cambiato il rapporto con i nostri assistiti. Si ricorre alle videoconferenze anche con loro. Ma la distanza incide su tutto. Poi ci sono molte persone che non hanno dimestichezza con gli strumenti tecnologici e semplicemente rinunciano all’idea di avviare una controversia. In ogni caso, ripeto, se già esisteva negli ultimi anni una difficoltà a recuperare il credito, ora si è fatta drammatica.

Non c’è sufficiente consapevolezza del dramma anche da parte della politica.

Non se ne ha una misura chiara. E si tratta di una sottovalutazione grave. Si è ormai creata una frattura, nel Paese: da una parte i garantiti, dall’altra quelli che non lo sono. È la divaricazione invisibile prodotta dal covid. I dipendenti pubblici, o delle grandi aziende, hanno conservato lo stipendio o almeno hanno ottenuto la cassa integrazione. Poi c’è il mondo degli autonomi, di cui noi avvocati facciamo parte. Nel nostro caso c’è una condizione di profondissimo affanno. E ripeto, tra un po’ di tempo, ce ne accorgeremo dai numeri. Vedremo quanto la pandemia ha falcidiato la professione.

Tra i pochi benefici previsti c’è l’esonero contributivo. Alcuni avvocati segnalano un paradosso: rischiano di non rientrare nella misura perché nel 2020 hanno avuto ricavi superiori in virtù del patrocinio a spese dello Stato retribuito dopo anni di attesa.

Credo però si tratti di un fenomeno da guardare in una duplice chiave. È vero che diversi colleghi hanno ottenuto negli ultimi mesi compensi di cui avevano atteso per anni la liquidazione da parte dei tribunali. È anche vero che la condizione di chi ha ricevuto, con colpevole ritardo dello Stato, i dovuti comensi è diversa da chi non ha potuto contare neppure su quelli e beneficerà sì e no dell’esonero contributivo.

Avete proposto, attraverso il deputato del M5S Devis Dori, un’interrogazione alla ministra Cartabia, alla quale chiedete di risolvere le ormai croniche disfunzioni del processo telematico.

Sì, c’è stato un maggiore ricorso al portale dei servizi telematici. Peccato che i server si siano rivelati insufficienti Il sistema dell’amministrazione andava implementato. Non lo si è fatto a sufficienza.

Cosa si aspetta dalla ministra?

Confido che intervenga subito con i necessari investimenti per potenziare la rete. Che non aspetti i fondi del Recovery. So bene che nel Piano di ripresa la parte relativa alla giustizia destina le risorse Ue anche alla digitalizzazione. Ma non si può attendere, bisogna intervenire ora. Così non si può andare avanti. E come si può immaginare, l’imballo continuo del sistema accresce la frustrazione degli avvocati.

Nessuna luce in fondo al tunnel?

Ben poco. La tecnologia ha funzionato male. Il ricorso alla modalità da remoto nel penale alla fine è stata limitata, anche perché il sistema si è rivelato davvero claudicante. Tra i pochi dati positivi c’è il processo amministrativo: in quel caso l’udienza a distanza ha dato buoni risultati. Sia in termini di efficienza del sistema tecnologico sia riguardo all’efficacia sostanziale. Nel processo amministrativo solo una parte delle cause ha bisogno della discussione orale, che non prevede la presenza di testimoni. Credo sia auspicabile che si continui a poter ricorrere a tale modalità, nell’amministrativo, anche quando torneremo all’ordinario.

Quindi la tecnologia non si è rivelata sempre un disastro.

In alcuni casi ha funzionato. Tra l’altro, si deve dare atto all’ex ministro Bonafede di aver rafforzato giustamente la telematizzazione. Almeno questo è un punto a suo favore. Ne ha accelerato l’introduzione, per esempio nel penale, in risposta all’emergenza. E in proposito vorrei aggiungere una considerazione più generale.

Prego.

Il ricorso obbligato alla tecnologia, anche nel rapporto con il cliente, ha aperto una traccia: dal punto di vista del modo di concepire la professione, di organizzare il nostro lavoro, potremmo persino uscirne migliori. Ma a quale prezzo? Al prezzo di vedere tantissimi colleghi rinunciare al proprio studio. E in tanti casi a fare l’avvocato. Ripeto: sono davvero molti. Un dramma. Falcidiati, letteralmente. Ma nessuno ci vede. Noi avvocati non abbassiamo saracinesche.

Da Il Dubbio

 

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