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Il mondo della giustizia contro Bonafede

L'Anm diserta il tavolo sul processo penale. Tensione anche con i penalisti

Il mondo della giustizia contro Bonafede

Dopo il fuoco dei renziani sul Guardasigilli, arriva quello delle toghe. Anche se il pomo della discordia è differente. Non è, infatti, la prescrizione ad agitare i magistrati – che hanno fatto sapere di non voler più sedersi al tavolo con Bonafede – ma una serie di punti del ddl presentato dal ministro il 13 gennaio. Le sanzioni ai magistrati in primis. La decisione di disertare l’incontro convocato dal ministro per mercoledì 26 sulla riforma del processo penale arriva dalla giunta dell’Anm, che pure nei mesi scorsi aveva avuto momenti di confronto con il ministro. Nel testo varato in Consiglio dei ministri, spiegano, ci sono proposte “irricevibili”. Il riferimento, in particolare, è alle sanzioni disciplinari per i magistrati che non rispettano i tempi del processo, che viene definita “norma manifesto”. Fino a quando ci saranno queste proposte, si legge nella nota del sindacato delle toghe, non ci potrà essere “alcuna forma di interlocuzione”. Per l’Anm è “inaccettabile” l’idea dei giudici che verrebbe fuori dalla riforma. La giunta ha fatto riferimento all’ “ingeneroso e immeritato messaggio di sfiducia nei confronti dei magistrati italiani”. Il sindacato delle toghe bolla poi come “semplicistica” l’idea di  “di determinare per legge la durata” del processo “trattando allo stesso modo vicende di complessità molto diversa e dimenticando che uno dei fattori della durata dei processi è anche lo scrupolo nell’accertamento dei fatti e, in ultima analisi, la necessità di apprestare una piena tutela dei diritti dei cittadini, siano essi parti di un giudizio civile, imputati o persone offese”. C’è poi un altro punto del disegno di legge approvato in cdm che per i magistrati è inaccettabile e riguarda le indagini preliminari. Nel testo, infatti, si prevede la cosiddetta discovery totale degli atti nel momento in cui le indagini non arrivino a conclusione (con la richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio) nei tempi previsti. In sostanza, gli indagati, anche per i reati più gravi, e i loro avvocati potranno accedere agli atti che li riguardano. E il pm avrà l’obbligo di comunicarne il deposito, altrimenti sarà sanzionato. Sul tema l’Anm non fa sconti: “Frutto della stessa irrealistica idea” è la nuova disciplina della durata delle indagini preliminari, “accompagnata dalla pericolosissima ‘sanzione processuale’ della ostensibilità degli atti di indagine, che avrà come inevitabile effetto il depotenziamento del contrasto alle forme più articolate e aggressive di criminalità, organizzata e non, ancora una volta con danno per l’intera collettività”. L’accusa dei magistrati è che il governo voglia scaricare su di loro la colpa di malfunzionamenti che, invece, hanno radici più complesse: “Si tratta, nella sostanza, di una ‘norma manifesto’, che cede alla facile tentazione di scaricare sui singoli magistrati le inefficienze del sistema che, come tali, sono, invece, esclusiva responsabilità della politica”. Ragioni che l’Anm ha illustrato negli incontri al ministero della Giustizia, ma che sono rimaste “del tutto inascoltate”. Nei giorni scorsi aspre critiche alla riforma erano arrivate dai penalisti, anche loro nei mesi passati interlocutori di Bonafede. Anche loro delusi per le ‘promesse’ non mantenute. Le camere penali hanno parlato di “grave arretramento sul piano della cultura giuridica” e hanno accusato il Guardasigilli di aver “rinnegato” il confronto avuto con i rappresentanti degli operatori del diritto. La riforma, è l’accusa, compromette le garanzie difensive e il principio del contradditorio tra le parti. Il ddl, si legge in una nota, “privilegia un’idea meramente efficientista del processo penale, perde di vista la centralità dell’accertamento probatorio dibattimentale, conculcando le garanzie della difesa e le regole del contraddittorio, scommette definitivamente sull’imputato colpevole, identificato con la preda che non può sfuggire al castigo piuttosto che con la persona sottoposta ad un accertamento di responsabilità penale il quale, per essere socialmente condiviso, deve giungere alla definitività della pronuncia attraverso un percorso costellato di regole che disciplinano il confronto tra le parti dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale”.

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