Anno: XXV - Numero 66    
Giovedì 18 Aprile 2024 ore 13:00
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E GLI AVVOCATI ABBANDONARONO I CODICI IN PIAZZA.

Perché le toghe protestano

E GLI AVVOCATI ABBANDONARONO I CODICI IN PIAZZA.

 “Da una parte ci siamo noi che siamo liberi professionisti e, sembra brutto dirlo, ma se non possiamo fare cause non portiamo la pagnotta a casa. Dall’altra ci sono giudici e cancellieri che hanno la sicurezza del loro stipendio e non hanno certo fretta di tornare al lavoro”. Sintetizza così, a Start, un legale che vuole restare anonimo, la situazione di paralisi della giustizia italiana, ancora congelata da una Fase 1 che non sembra voler finire. Il civilista, uno dei avvocati tanti scesi in piazza per abbandonare il proprio codice civile sulla scalinata che porta al palazzo di giustizia, ora confida nella pronta riapertura dei tribunali: “I dipendenti del ministero della Giustizia fanno bene a esigere di lavorare in sicurezza, ma non sia una scusa per non lavorare. Come si è già tornati sui mezzi pubblici, negli uffici privati, persino nei ristoranti, si torni anche in tribunale. Perché dovrebbe essere più sicuro un bar di un’aula di giustizia?” In prima linea l’Ordine degli avvocati capitolino: “Il Presidente Antonio Galletti riferisce al Consiglio sull’iniziativa assunta da un comitato spontaneo di colleghi denominato “Giustizia sospesa” che ha organizzato un flash mob venerdì 29 maggio alle ore 12 in Piazza Cavour (ed in altre Piazze italiane antistanti gli uffici giudiziari) per protestare contro “la paralisi di tutti gli uffici e l’inadeguatezza delle risposte alle problematiche mosse da tutti gli Avvocati ” che “avrà delle ricadute enormi per l’intero comparto giustizia e la tutela dei diritti”. Il Presidente invita il Consiglio ad aderire alle ragioni della protesta ed i Consiglieri interessati a partecipare. Il Consiglio approva con delibera immediatamente esecutiva.” Soltanto una settimana fa i penalisti romani avevano consegnato la toga nella mano del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, Galletti, per manifestare il proprio sconcerto di fronte a una situazione che non sembra avere possibilità di sblocco: “È una protesta per noi molto significativa. Ci stiamo scrollando di dosso la nostra seconda pelle, che è  la toga, e che io per esempio porto da 25 anni”, aveva detto Cesare Placanica, presidente della Camera penale di Roma. “Non è più tollerabile che un servizio essenziale per il Paese come la giustizia ancora non sia ripartito. Auspichiamo che si metta mano a un provvedimento che possa stabilire i criteri per la ripartenza, per quali tipi di reati, quali siano le condizioni di sicurezza accettabili, in modo da consentire al Paese di ripartire. L’Italia non può più fare a meno della mancanza di una funzione essenziale che è quella della giustizia”. Galletti aveva sottolineato che gli avvocati stanno rispettando le normative anti-contagio: “Abbiamo le mascherine e tutti i presidi sanitari, ma vogliamo che la macchina della giustizia riparta. I cittadini non possono avere rinvii di un anno o di 6 mesi ma hanno bisogno di una risposta della giustizia in tempi europei”. Mentre il Paese è ormai ripartito e le strade riprendono a essere affollate, i tribunali sembrano ancora nel pieno della quarantena. È quanto viene denunciato dagli avvocati dell’Organismo Congressuale Forense con un dossier video girato negli uffici giudiziari del Paese dal nord al sud. Alcune immagini del documento girato dai professionisti correlano questo articolo, che può essere visionato per intero qui. “Abbiamo scelto come colonna sonora quella del film Il tè nel deserto, che ci sembra rappresentare alla perfezione il clima di generale abbandono – spiega Giovanni Malinconico, Coordinatore dell’OCF – da Milano a Napoli, da Pordenone a Messina, da Genova a Bari, ovunque le stesse immagini: dentro i palazzi il vuoto, le udienze rinviate, il silenzio della Giustizia. Fuori, le code degli utenti, talvolta le polemiche, spesso i disservizi”. Un caos annunciato che nei giorni scorsi aveva spinto l’Organismo Congressuale Forense a proclamare lo stato di agitazione dell’Avvocatura italiana. “Considerando che ogni anno, durante l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario ascoltiamo le relazioni dei Presidenti e dei Procuratori Generali che ci informano sull’arretrato delle cause pendenti, talvolta in lieve diminuzione, talvolta in lieve aumento, ma sostanzialmente stabile – prosegue la nota Dell’Ocf – ci chiediamo cosa accadrà nel gennaio prossimo quando sarà il momento di fare i conti. Fino a quando la pandemia potrà valere come scusa per bloccare tutto, dal momento che gli avvocati e la stragrande maggioranza dei magistrati altro non chiedono che di poter tornare a lavorare?”  “Sono ormai innumerevoli gli appelli lanciati al Ministro Bonafede perché intervenga – conclude Malinconico – le mancate risposte però non ci hanno convinto a desistere: rinnoviamo l’invito al Guardasigilli a prendere in mano la situazione. Giustizia non vuol dire solo occuparsi di correnti della Magistratura o di Csm. Giustizia vuol dire aver cura dei diritti dei cittadini. Un dettaglio che ormai sembra passato del tutto in secondo piano”. “È una situazione ingiustificata che sta esasperando gli animi”, racconta un altro avvocato. “La scorsa settimana un collega ha scritto sul proprio profilo Facebook che bisognerebbe tornare a lavorare con buona pace delle resistenze dei dipendenti pubblici ed è stato attaccato da alcuni cancellieri del nostro tribunale, che hanno persino minacciato lui e gli avvocati che avevano espresso solidarietà di segnarsi i loro nomi per prendere oscuri provvedimenti quando sarebbero tornati in cancelleria”.

Articolo pubblicato su startmag.it

 

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