Anno: XXVI - Numero 143    
Martedì 22 Luglio 2025 ore 14:00
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Una città per soli ricchi: ecco la vera crisi del modello Milano

Si fa molto concreto il rischio che il suo centro diventi come quello di Londra o di Manhattan, dove quasi nessuno può permettersi di pagare un affitto da capogiro.

Una città per soli ricchi: ecco la vera crisi del modello Milano

Ci sarà un motivo se, in occasione dell’inchiesta della magistratura su reati che investono il governo urbanistico della città, il mondo della politica si stia domandando se esista ancora il “modello Milano”. Quello dello sviluppo, dell’impresa, dei commerci, del design e della moda. Ma anche delle opportunità, del lavoro e della cultura. La città accogliente in cui nessuno doveva essere abbandonato o sentirsi solo. Un modello che ha attraversato diverse culture politiche, da quelle liberali alle socialiste o cattoliche, fino agli inizi degli anni Novanta con l’esplosione dell’inchiesta Mani Pulite. La pretesa da parte di un certo sistema giudiziario di sostituirsi, con strumenti da Stato Etico, a chi aveva avuto il consenso dei cittadini attraverso le elezioni democratiche. E non, come veniva lasciato intendere, attraverso qualche colpo di Stato. E’ anche perché Milano porta addosso questo tipo di ferite, che l’inchiesta della procura guidata da Marcello Viola è oggi guardata con sospetto. Sia dalla parte maggioritaria della sinistra, cioè il Pd, perché questa volta, con la richiesta di custodia cautelare per l’assessore Tancredi e l’iscrizione nel registro degli indagati dello stesso sindaco Sala, è quel mondo al centro delle indagini. Ma anche dalla gran parte del centrodestra, per almeno due buoni motivi. Uno è per la patente di garantismo, cui non vuole rinunciare né chi, come Forza Italia, lo ha nel DNA berlusconiano, né quelli più improvvisati, ma ormai convinti come Giorgia Meloni, che ha da fare i conti con i processi del ministro Daniela Santanché e il sottosegretario Delmastro. Ma c’è anche una ragione politica tutta milanese, legata alla prossime elezioni, sia le comunali di Milano che le regionali, nel 2027.

E non è detto per niente che anche coloro che in questi ultimi quindici anni di governo di sinistra della città hanno collaborato con i sindaci Giuliano Pisapia e Beppe Sala, siano loro elettori. Siano o no stati complici di affari illegittimi, come pensano gli uomini della procura guidati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, o abbiamo solo partecipato alla corsa allo sviluppo da cuore in gola che ha attratto a Milano turisti e investitori, gli imprenditori del settore immobiliare hanno un bel peso specifico, sul piano del consenso. Tanto che il nome di qualcuno di loro circola da tempo come possibile candidato sindaco. Non della sinistra, ma del centrodestra.

La vicenda della famosa “Salva- Milano”, la proposta di legge bipartisan che avrebbe dovuto risolvere e dare legalità ai comportamenti disinvolti degli uomini dell’urbanistica nella prima fase dell’inchiesta giudiziaria, approvata alla Camera e poi fermata al Senato, ne è la dimostrazione. Perché quella norma pendeva più verso la parte di Salvini che non quella di Schlein, ed era fortemente avversata da Conte, lo stesso che oggi chiede a gran voce le dimissioni di Beppe Sala. Buon sangue non mente del resto, anche senza Beppe Grillo, i grillini restano grillini, e quando vedono un’informazione di garanzia è per loro come annusare l’odore del sangue. Ma il problema vero, che preoccupa tutte le forze politiche, è il grande scontento che si respira in città. Perché sono successe tante cose dagli anni in cui Milano aveva sepolto le macerie di tangentopoli e un trionfante Gabriele Albertini sfornava grattacieli, risanava interi quartieri, moltiplicava volumetrie. E contemporaneamente dotava Milano di depuratori e di un Piano sociale e socioeconomico che promuoveva acceleratori d’impresa del settore bio- tech e l’incubatore della moda. Ma anche, nella tradizione ambrosiana di sempre, una grande attenzione assistenziale.

E un occhio particolare alla popolazione milanese in età da pensione, i cosiddetti “anziani giovani”,

che hanno spesso come problema principale quello della solitudine e di non riuscire a stare con le mani in mano dopo aver dedicato i primi due terzi della propria vita quasi esclusivamente al lavoro. Il famoso ascensore sociale ha funzionato nel corso degli anni, ma è andato via via scemando. E la città accogliente, lo è diventata più per i turisti e per gli investitori che per gli abitanti. Negli ultimi cinque anni oltre 200.000 milanesi hanno abbandonato la città. Non parliamo di senzatetto o disoccupati, ma di lavoratori, insegnanti, agenti delle forze dell’ordine, infermieri, impiegati. I negozi si sono svuotati dei piccoli e medi commercianti, asfissiati dall’aumento dei canoni di locazione.

Milano è diventata molto accogliente solo per chi non la abita, e il rischio che il suo centro diventi come quello di Londra, dove solo gli arabi sono in grado di comprare o di pagare affitti da capogiro, o come Manhattan, è molto concreto. L’esplosione del mercato immobiliare ha trascinato a catena l’aumento dei prezzi, che vanno dagli affitti che strangolano il commercio all’inevitabile ritorsione economica sulla pelle dei consumatori. Ogni anno se ne vanno dalla città in 35.000, verso l’hinterland o anche in città come Pavia o Piacenza. Ma poi succede che il “green” sindaco di Milano pensa bene di bacchettarli con le tasse dell’Area B e dell’Area C, quando ogni mattina cercano di entrare in città per lavorare. Perché nel frattempo non sono stati costruiti parcheggi nei pressi delle stazioni di métro, che avrebbero favorito l’uso dei mezzi pubblici.

Inoltre la “genialità” dell’amministrazione comunale ha attuato la politica di grandi marciapiedi e piccole strade; quindi, il traffico impazzisce e l’inquinamento ammorba. Certo, una parte di Milano è pur sempre scintillante e attrae tanti giovani con le sue otto università e le scuole private di moda e di design. Ma è tutta roba per ricchi, e se non hai almeno mille euro al mese per pagarti un letto, un letto non una stanza, di venire a studiare a Milano te lo puoi scordare. Se la città ora pullula di Comitati che quotidianamente vanno a manifestare davanti a Palazzo Marino per protestare per questo o quello è perché finora nessuno li ha ascoltati. Si va dagli abitanti di piazza Aspromonte, i primi a denunciare il fatto che nel loro cortile dalla demolizione di un capannone era sorto un grattacielo di venti piani, fino a quelli di “Si Meazza”, che con il loro portavoce Luigi Corbani, uno che conosce la città come pochi, essendo stato anche vicesindaco, difendono lo stadio di S. Siro da una vendita anti- economica e in spregio di vincoli archeologici e paesaggistici. “Milano non si ferma” era stato lo slogan del sindaco Sala che invitava ad andare a prendere l’aperitivo sui navigli, mentre il covid stava già cominciando a mietere vittime in Lombardia. Fu uno slogan sciagurato per quel momento. Ma riletto oggi, mentre gli stessi dirigenti locali e regionali del Pd stanno chiedendo al sindaco di cogliere quest’occasione dell’inchiesta giudiziaria per calibrare la sua corsa in modo da non trascurare più i suoi concittadini, sembra lo specchio di quel che è successo e non doveva succedere. Perché, se promuovi più la rendita che le attività produttive e sociali, con tutto quel che ne consegue, il rischio non è soltanto l’intervento della magistratura, ma anche che gli uffici di qualche grattacielo prima o poi rimangano vuoti, perché non ci sarà più nessuno che sarà in grado di andarci a lavorare.

Tiziana Maiolo su Il Dubbio

 

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