Anno: XXV - Numero 72    
Venerdì 26 Aprile 2024 ore 13:00
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Largo ai senior

In uno scenario lavorativo in continua evoluzione la libera professione tiene, ma a professarla sono sempre meno giovani.

Largo ai senior

L’incontro tra giovani e lavoro sembra essere davvero un puzzle complicato: la questione non interessa solamente i liberi professionisti (come si sente spesso lamentare dai responsabili delle organizzazioni che li rappresentano e dai professionisti stessi). In Italia, come in altri Paesi europei, coinvolge quasi tutti i comparti produttivi che lamentano la mancanza di giovani talenti, pur in presenza di un’offerta di occupazione significativa che rimane spesso insoddisfatta. Secondo l’Istat, nel 2022 la disoccupazione giovanile in Italia era pari al 26,9%, un livello tra i più

alti d’Europa. La situazione è allarmante, in quanto indica che molti giovani non trovano un lavoro per loro soddisfacente, nonostante la presenza di offerte che restano scoperte. Nel contempo assistiamo a una situazione che ha del paradossale: molti lavoratori divenuti obsoleti nelle loro competenze (spesso persone over 55), vengono espulsi dalle aziende con il rischio di non

ritrovare occupazione. Questi due fenomeni hanno indotto le istituzioni, soprattutto pubbliche (Stato e Regioni in primo luogo), a investire risorse economiche, anche stanziate dall’Unione europea, nel tentativo di trovare una soluzione: si tratta sovente di percorsi formativi per aiutare i giovani a potenziare le competenze ancora mancanti per rendersi appetibili sul mercato, e per sostenere i lavoratori espulsi a riqualificare le competenze per riallinearle con le nuove esigenze delle aziende. Iniziative che, nonostante i buoni propositi, fino a oggi hanno generato risultati insufficienti per modificare significativamente la situazione.

I giovani dicono no

Analizziamo il settore dei professionisti: l’Osservatorio delle libere professioni nel report del 2022 indica che, in presenza di una sostanziale diminuzione dei lavoratori indipendenti, in calo costante dal 2010, il comparto dei liberi professionisti segna una dinamica in controtendenza (se si

esclude una contrazione del 2020 periodo della pandemia). Questo significa che, nonostante tutto, la libera professione nel suo insieme, ricopre ancora un ruolo rilevante tra le attività lavorative. Tuttavia, l’aspetto preoccupante è che, la componente giovanile del comparto sembra assottigliarsi con il tempo: nel periodo 2010/2019 i giovani che hanno ottenuto l’abilitazione alla libera professione sono calati del 16%. Da qui il segnale di allarme lanciato da molte associazioni di professionisti che prevedono un futuro sempre più problematico proprio per la mancanza di nuove generazioni.

Se il trend negativo tendesse a continuare, comporterebbe seri problemi nell’azione degli organismi di rappresentanza del settore. Per affrontare la questione non sono sufficienti iniziative “di marketing di categoria”, come già sperimentato in più parti, tendenti a potenziare canali informativi verso i giovani. C’è da chiedersi se la ridotta propensione dei giovani alle libere professioni sia solo una questione di scarsa conoscenza del comparto o dipenda, come in

realtà avviene, da fattori più articolati. La problematica è complessa e non può essere affrontata

con soluzioni semplici, ma deve considerare, come insegna Edgar Morin, studioso della complessità, più fattori interagenti tra di loro.

Necessita, quindi, un cambio di paradigma di analisi: l’appeal di un’attività professionale è determinato da molteplici fattori, tra cui il mutamento nella cultura del lavoro dei giovani, l’evoluzione e le caratteristiche del mercato del lavoro globalizzato, l’evoluzione della tecnologia nella gestione della conoscenza, l’incertezza e l’imprevedibilità del futuro.

Un lavoro per senior

Tra questi, un fattore con peso determinante nella scelta dei giovani è il mutato rapporto con l’idea di lavoro, rispetto alle generazioni passate, e il significato che esso rappresenta nella loro vita. La parte rilevante dei professionisti attuali è costituita da Boomers (persone nate fino al 1964) e dalla generazione X (dal 1965 al 1980), orientati alla carriera e al lavoro come elemento fondamentale e prioritario dell’esistenza, disposti a sacrificarsi per esso con un forte senso del dovere. Sono soprattutto questi professionisti che lamentano la carenza nel settore dei giovani, quelli delle generazioni dei Millennials (1981-1996) e Z (1997-2010), più tecnologici, pragmatici, flessibili, disposti al cambiamento e all’autoespressione, ma soprattutto alla ricerca del benessere lavorativo, di un miglior work-life balance e spinti dal desiderio di dare contributo sociale al proprio lavoro. Quello che la persona si aspetta e offre al lavoro è cambiato profondamente con il passare delle generazioni. Se consideriamo la questione da questo paradigma, c’è da chiedersi se l’attività del libero professionista considerata “normale” dalle vecchie generazioni, disposte a operare sempre più frequentemente in situazioni caratterizzate da urgenze, incertezze continue riguardo il futuro, carichi di lavoro sovente considerevoli, responsabilità totalizzante, sia in linea con le aspettative e i desideri delle giovani generazioni. Questi aspetti possono spiegare l’apparente paradosso che vede le nuove generazioni, più orientate delle precedenti a un lavoro autonomo ed indipendente, a non scegliere questa strada professionale.

La formazione non basta

Per rendere nuovamente positivo il trend di avvio alla libera professione, da parte dei giovani, è

necessario ipotizzare tempi non certo brevi e lavorare in più direttrici di intervento che considerino la complessità. È altrettanto evidente che investire, come avviene oggi, soltanto nell’offerta di formazione sulle competenze professionali, non è sufficiente per attirare le nuove generazioni. Nel frattempo, che cosa è possibile fare, quali altre linee di intervento è possibile attuare in tempi relativamente brevi? Un’ipotesi da considerare potrebbe essere quella di rivolgere l’attenzione ai lavoratori (o ad alcune categorie di questi), che attualmente vengono espulsi dal mercato del lavoro ai quali si accennava in apertura di questo articolo: generalmente si tratta di persone di età meno giovane che hanno un’idea di lavoro abbastanza simile ai loro coetanei già liberi professionisti e che, quindi, le rende più facilmente disposte ad accettare un lavoro con caratteristiche poco attraenti per le giovani generazioni.

Gli over55, opportunamente riqualificati, possono rappresentare nuove risorse per il comparto delle libere professioni, non solo come collaboratori degli studi ma, più ambiziosamente come neo professionisti. Come del resto sta già avvenendo negli Usa dove, stando a uno studio condotto dalla società Bain&co, molte aziende hanno già iniziato ad attivare programmi di formazione ad hoc per questo target di lavoratori, forti del fatto che, stando alle stime, entro il 2030 circa 150 milioni di posti di lavoro saranno occupati da lavoratori over55, questo significa che, solo nell’area G7, i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni supereranno il 25% della forza lavoro. Tanto vale, quindi, prepararsi per tempo in modo da trasformare questo trend in un’opportunità per creare posti di lavoro di alta qualità in grado di trasformare le competenze dei lavoratori silver in fonti di vantaggio competitivo per aziende e studi professionali. Anche perché una convincente ricerca dell’OCSE, afferma che le organizzazioni diversificate in base all’età hanno un turnover inferiore e una produttività superiore rispetto ai benchmark.

La tecnologia aiuta

Certo, per quanto riguarda le libere professioni va detto che questa ipotesi presenta un grado di fattibilità diverso a seconda delle specializzazioni considerate, poiché esistono vincoli normativi differenti tra di esse. Utilizzando in modo diverso le numerose risorse pubbliche rese disponibili per la loro ricollocazione professionale, si potrebbe pensare a un percorso di reinserimento nell’ambito delle attività libere professionali. Certamente la questione non è semplice da attuare, ma, opportunamente studiata, potrebbe creare delle nuove opportunità di lavoro per queste persone e, nel contempo, un potenziamento del comparto dei liberi professionisti. Soprattutto per quelle professioni nelle quali l’accesso alla conoscenza è facilitato dalla tecnologia, la strada può sembrare più praticabile.

Ecco che formazione specifica e supporto tecnologico potrebbero generare forme associate di collaborazione di nuovi professionisti, magari sotto la supervisione o il coordinamento di professionisti già affermati e inseriti nel mercato.

L’ipotesi certamente non è semplice da attuare anche perché vanno affrontati e risolti aspetti di natura normativa e superati atteggiamenti corporativi. Inoltre, non è da trascurare il fatto che questa pista di lavoro potrebbe anche consentire alle associazioni dei professionisti di potenziare la loro base associativa, fattore determinante nell’azione di rappresentanza.

di Ferruccio Cavallin – da Il Libero Professionista Reloaded #17

 

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