Sì del Parlamento Ue al piano di riarmo europeo
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Tempi duri per Schlein. Scampa la sfiducia ma si rompe il patto con Bonaccini: la sua linea è in discussione
La spaccatura sul voto sull’Ucraina fa scattare l’allarme nell’inner circle della segretaria: la pace con i riformisti è saltata. Non sono solo i dem come Quartapelle, Zanda o Amendola a chiedere una discussione, fino a ipotizzare un congresso straordinario: anche Cuperlo e Orlando sono per un confronto. E c’è poi la variabile Franceschini…
Alla fine, Elly Schlein limita i danni: evita la sfiducia europea e supera la prova del Parlamento di Strasburgo. Ma non riesce a impedire che sul Rearm Europe la delegazione degli europarlamentari dem si spacchi. Lei per mediare aveva indicato la linea dell’astensione, ma la seguono solo in 11, contro 10 eurodeputati che votano a favore. Nel partito, la minoranza riformista, ma anche una parte della maggioranza, le chiedono di aprire una discussione corale: “Basta con il cerchio magico, serve una nuova maggioranza attorno a lei”. Ma gli schleiniani temono che sia un modo per sbarrarle la strada della candidatura a premier.
Strasburgo, ore 13.20. Il Parlamento europeo vota sì alla risoluzione che sostanzialmente dà il via libera al piano von der Leyen. Guardare ai voti aiuta a capire cosa è accaduto: hanno votato a favore gli europarlamentari di Energia Popolare, la minoranza riformista del partito, e cioè Pierfrancesco Maran, Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Lello Topo.
Si sono schierati secondo la posizione suggerita dalla segretaria il capodelegazione Nicola Zingaretti, i 4 europarlamentari riconducibili a Schlein (e cioè Sandro Ruotolo, Annalisa Corrado, Alessandro Zan e Camilla Laureti), e poi Brando Benifei, Dario Nardella, Matteo Ricci e i due eletti tra le file degli indipendenti Cecilia Strada e Marco Tarquinio, di posizioni pacifiste. Lucia Annunziata è stata protagonista di un piccolo giallo: ha sbagliato a votare, ma poi ha fatto correggere. Anche lei si è astenuta.
Un voto provvidenziale, perché consente a Schlein almeno di non essere sfiduciata dalla sua delegazione europea. Lucia Annunziata, inoltre, a quanto si apprende ha condotto la mediazione con gli altri eletti indipendenti, ma pacifisti, Marco Tarquinio e Cecilia Strada. Se fosse stato per loro avrebbero votato contro ma sono stati convinti a convergere sull’astensione. Tarquinio lo rivendica: “Se avessi votato no sarebbe mancato quel po’ di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein”, dice l’ex direttore di Avvenire.
Schlein evita la sfiducia, dunque, ma resta l’immagine di un partito che su una questione centrale – la difesa comune e il riarmo per far fronte al nuovo assetto geopolitico – è diviso a metà. Anche se metà della delegazione europea vota a favore, e lei ottiene una maggioranza risicata per il rotto della cuffia, Elly Schlein non se ne avvede. “La posizione del Pd è e resta questa: all’Europa serve la difesa comune, non la corsa al riarmo dei singoli Stati. La risoluzione votata a Strasburgo aveva molti punti che il Pd condivide, ma dava anche appoggio al piano RearmEU proposto da Ursula Von der Leyen cui abbiamo avanzato e confermiamo molte critiche proprio perché agevola il riarmo dei singoli Stati facendo debito nazionale, ma non contribuisce alla difesa comune e anzi rischia di ritardarla. Quel piano va cambiato”, scrive in una nota, dimenticando di dire che la delegazione del Pd non ha votato contro la risoluzione, ma in parte si è astenuta (su sua proposta) e in parte ha votato a favore. Lo mette a verbale Lia Quartapelle, deputata riformista, conversando con Huffpost: “Ricordiamoci che noi eravamo partiti dal ‘no’ espresso dalla segretaria. E invece ora abbiamo metà astenuti e metà voti a favore”.
In sostanza se la segretaria ribadisce la posizione di partenza, nel partito, invece, avvertono lo scarto. La reazione è allarmata. Il voto europeo sancisce un doppio salto: il Pd manifesta come mai nei mesi di segreteria Schlein di non avere una postura unitaria. Ma è un passaggio critico anche nei rapporti interni al partito.
Sul primo punto, i riformisti reclamano l’apertura di una discussione urgente. “Io non ho parole, è allucinante. Ci vuole un confronto”, sbotta l’ex sottosegretario agli affari europei Enzo Amendola, a caldo dopo il voto europeo. L’ex senatore Luigi Zanda, tra i fondatori del partito, aveva consigliato un congresso straordinario. Interpellato dall’Huffpost ribadisce che Schlein deve farsi carico di aprire un confronto, anche se non per forza un congresso: “Oggi anche la politica interna dipende dalla politica estera. Se il Pd continuerà ad evitare di affrontare questo nodo a viso aperto, portando tutto il partito a riflettere su un mondo che sta cambiando a vista d’occhio, le spaccature si ripeteranno e si aggraveranno”.
Riformisti a parte, per la prima volta si levano voci in questa direzione anche nella maggioranza che sostiene Schlein. Come quella di Gianni Cuperlo che chiede “una riflessione condivisa, all’altezza della stagione nuova che si è aperta”. Interpellato dall’Huffpost, Cuperlo sottolinea che deve essere “la segretaria a scegliere la formula della discussione”. Zanda parla di un congresso straordinario. Andrea Orlando parla di un congresso tematico. “Io so che quando si evoca la parola ‘congresso’ nel Pd, c’è tutta una serie di code. Deve valutare la segretaria. L’importante è che il partito si confermi come il luogo in cui si affronta una discussione organica, che ha come sbocco di restituirti un’identità in questo nuovo periodo della storia. Su questa base possiamo trovare terreni di condivisione più larghi di quelli che ci sono”.
La riflessione di Cuperlo aiuta a legare la lettura esterna con quella interna. L’ex presidente del Pd dice all’Huffpost che per lui “la leadership non è in discussione”. Schlein “ci ha consentito di avere un profilo molto nitido, soprattutto sul versante sociale, ed anche un recupero di consensi, tra un elettorato deluso dalle stagioni precedenti. Non è in discussione l’esito del congresso del 2023, sarebbe anche un po’ immiserire la portata degli eventi se riconducessimo tutto a una questione di maggioranza e minoranza” nel Pd. Ma va recuperato un metodo basilare di confronto tra le anime del partito. “Lo dico io che sono stato minoranza in una stagione, quella renziana, in cui andavo al microfono della direzione, dichiarando il dissenso e votando di conseguenza. Sui temi votati oggi in Europa – invece – c’è stata una direzione che si è conclusa formalmente con un voto unanime, perché una parte non ha partecipato al voto”. E poi il partito si è spaccato nel Parlamento europeo.
Cuperlo non mette in discussione la leadership di Schlein, ma il timore che circola tra i fedelissimi è che il tema del posizionamento europeo possa indebolirla fino al punto da sdoppiare il ruolo di segretario, con quello di candidato premier. A taccuino chiuso, uno stretto collaboratore di Schlein invita a guardare al voto europeo sulla risoluzione Rearm Europe: “La maggioranza congressuale si reggeva su un patto tra Schlein e la minoranza riformista, garantita da Bonaccini. Lei faceva la segretaria, Bonaccini il presidente del partito. Ora Bonaccini vota contro la segretaria. È saltato il patto Bonaccini-Schlein. Questo è il dato nuovo”.
Agli occhi degli schleiniani, il segnale si aggiunge a una serie di altri che si sono susseguiti in questi mesi, in uno di quei processi carsici che nel Pd sono ricorrenti e che spiegano come si arrivi a un cambio di scenario senza sapere esattamente come.
Prima Dario Franceschini – uno dei dirigenti che sostiene la segretaria – si è messo in proprio: ha aperto una sua ‘officina’ politica e ha detto: “alle politiche andiamo ognuno per sé, senza alleanze predeterminate”. La lettura che ne hanno dato nell’inner circle schleiniano è che se al momento del voto (probabilmente nella primavera del 2027) il Pd non riunirà attorno a sé una coalizione, non esprimerà il segretario come candidato alla presidenza del consiglio. Non a caso Schlein ha respinto il lodo Franceschini. Subito dopo, nell’officina di Franceschini, si è appalesato Paolo Gentiloni. L’ex premier e ex commissario europeo è considerato il più accreditato tra i possibili ‘federatori’ del centrosinistra. Quindi Luigi Zanda – vicino al senatore del Pd – ha detto che bisognerebbe fare un congresso straordinario. Un modo piuttosto esplicito per mettere in discussione la leadership della segretaria. Raccontano che nel voto di Strasburgo il più difficile da convincere a votare l’astensione suggerita da Schlein, sia stato Dario Nardella, europarlamentare reputato vicino a Franceschini. “Si potrebbe andare a una nuova maggioranza intorno a Schlein, ma Dario non si sa cosa voglia fare”, ammettono le fonti schleiniane.
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