Nel campo largo il day after delle Marche è ancora peggio della sconfitta
Per qualcuno Matteo Ricci ha parlato troppo di Palestina, per altri doveva puntare su salari e sanità, e poi c'è chi punta il dito sull'astensione.

Troppa Palestina, pochi salari. Anzi no, il candidato era troppo Pd. E poi l’astensione, enorme, i disaffezionati che non sono risaliti a bordo, i riformisti rimasti senza voce, la sinistra radicale che “comunque cresciamo”. Gli otto punti di distacco tra Francesco Acquaroli e Matteo Ricci diventano imprevedibili e imprevisti. Nella consueta analisi della sconfitta, il campo largo si fa stretto. Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza verdi e sinistra, i centristi: tutti guardano altrove. E la sconfitta del centrosinistra nelle Marche rimane senza colpevoli.
La sintesi, così elencata, è brutale. Un resoconto schietto che viene respinto dalle parti del Nazareno. Parola a Elly Schlein: “Sapevamo che non sarebbe stato facile” in una regione “dove il centrodestra governa già da cinque anni”, ma ora “ci aspettano altre cinque regioni al voto fino alla fine di novembre e il nostro impegno unitario con la coalizione progressista al fianco dei nostri candidati continua con grande determinazione”. La segretaria è “testardamente unitaria”. Anche davanti a numeri non incoraggianti, soprattutto guardando agli alleati.
La linea è nota. Igor Taruffi, l’organizzatore del partito, guarda più in là: “Le Marche sono una regione importante” ma “da qui ai prossimi due mesi saranno chiamati al voto 18 milioni di italiani tra Toscana, Veneto, Puglia e Calabria: sarebbe utile fare il conto complessivo di come ha tenuto o come non ha tenuto il campo largo alla fine di questo ciclo”. Certo, il Pd è andato come previsto (22,5%), ma “qualche problema lo abbiamo dovuto” e l’inchiesta su Ricci “non ha aiutato”. Il colonnello di Schlein al Senato, Francesco Boccia, non sottovaluta il risultato marchigiano ma “se si fosse votato in Puglia o in Toscana oggi faremo altri commenti”, quindi “il progetto politico va avanti”.
Più sibillini i riformisti, che hanno ripudiato Stefano Bonaccini – il presidente dem “non è più il nostro leader”, dicono a HuffPost, lamentando l’eccessivo appiattimento sulla linea schleiniana. Le beghe interne scoppiano quando il distacco di 8 punti con Acquaroli si cristallizza. “L’assetto largo serviva a recuperare voti tra gli astenuti e non ha funzionato, a sinistra hai come competitor già i 5 Stelle e Avs, chi parla con le imprese?”, si interroga un progressista, contrario anche al teorema Franceschini. Il senatore dem sostiene che in un mondo dei Trump non si vince coi moderati. “Le Marche dimostrano che non è così, puntare molto su Gaza non ha portato le piazze alle urne”. Il problema è però strutturale, come spiega Pina Picierno, la dem più esplicitamente contraria al mantra dell’unità: “Una proposta di governo leggibile nel Paese non può fondarsi solo su aritmetica e pallottoliere”.
Tre punti sposati in parte da Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva presenta la Leopolda e invita a non drammatizzare, ma ammette che lui avrebbe parlato “un po’ più di costo della vita e un po’ meno della Palestina”. Catastrofista è invece Carlo Calenda, che si tiene alla larga dalla “accozzaglia” del campo largo.
In ambienti contiani dicono che il loro elettorato non vota il Pd, allora la replica è durissima: “Ora vediamo se in Calabria il candidato è giusto”. Settimana prossima si vota in un’altra regione e Pasquale Tridico, eurodeputato 5S ed ex presidente dell’Inps, è uomo di Giuseppe Conte. Che si tiene distante dai fuochi: “Ai cittadini marchigiani abbiamo offerto una seria proposta alternativa per realizzare un cambiamento. Dobbiamo prendere atto che questa proposta non ha convinto la maggioranza dei votanti”, ha detto l’ex premier. Chi l’ha sentito in queste ore ha constatato la soddisfazione del presidente: “Abbiamo fatto il nostro”, ha detto ai suoi. Dopo cinque anni di governo meloniano in regione, i 5 Stelle escono con un consigliere e un consigliere riconfermano. Un pareggio confermato da Giorgio Fede, deputato contiano e responsabile del Movimento nelle Marche: “Abbiamo concluso con un dignitoso 5%, l’elettorato ha compreso il nostro sforzo per una proposta costruttiva”. Fede spiega che “siamo andati meglio che in Umbria e in Emilia Romagna” e non vuole accusare Ricci.
Il tema del candidato si respira anche in casa Avs. Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni sostengono che “l’unità resta una condizione necessaria ma non sufficiente per vincere”, mentre dal partito ricordano i precedenti. In Liguria, il candidato era organico al Pd, Andrea Orlando, e si è perso. Lo stesso ora nelle Marche. Altrove, come in Umbria ma anche a Perugia o a Genova, tre donne civiche come Stefania Proietti, Vittoria Ferdinandi e Silvia Salis, hanno “portato più consensi e vinto”. “Basta agitare questo pannicello caldo per giustificare il calo dei loro voti”, rimbrottano dal Pd. L’accusa è ai 5 Stelle: “In Valle d’Aosta non sono nemmeno entrati in consiglio”. Baruffe, anche comprensibili. Pd e 5Stelle hanno già perso dieci elezioni regionali insieme, dal 2019 a oggi.
L’altro tema è l’astensione: un elettore su due non è andato a votare. L’astensione, solitamente premia a sinistra. Una tendenza che “non funziona più da anni”, spiega Lorenzo Pregliasco a HuffPost. “Non esistono regole. Nel caso specifico, la sinistra rincorreva e doveva mobilitare voti di opinione.Con un voto a destra strutturato, con sindaci e attivisti, a di sinistra hanno nazionalizzato il dibattito, ma non ha funzionato e all’appello sono mancati i voti 5S”, spiega il direttore di YouTrend.
Tra telefonate e appunti, la sinistra si autoanalizza ma la chiamata alle urne marchigiane sembra essere fallita per colpa degli altri. Perché alcuni hanno parlato troppo di Gaza, altri hanno disertato, altri ancora non hanno gradito il candidato. Così, l’unica considerazione possibile è che dopo tre anni di governo Meloni la sinistra si adagia su un numero insufficiente di voti per formare l’alternativa. Soprattutto, non registra nemmeno quell’incremento persino fisiologico dopo mezza legislatura all’opposizione.
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