Anno: XXV - Numero 70    
Martedì 23 Aprile 2024 ore 13:20
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Riforma Cartabia e decreti delegati: confermati i timori dei penalisti italiani

Ancora una volta i decreti attuativi riscrivono in modo sensibile la volontà del Parlamento consolidata nella legge delega. Il Parlamento reagisca ora, o altrimenti il nuovo Parlamento si impegni ad intervenire.

Riforma Cartabia e decreti delegati: confermati i timori dei penalisti italiani

Il Governo dimissionario ha approvato i decreti attuativi della c.d. “Riforma Cartabia” del processo penale, che giungono ora all’esame del Parlamento per il parere obbligatorio.

L’Unione ha avuto in più occasioni modo di esprimere il proprio giudizio su quella Legge-delega: politico sul quadro d’insieme, scientifico sulle incongruenze di sistema, tecnico sulle approssimazioni che ne caratterizzano alcune parti.

Abbiamo certo tenuto conto che il progetto – forse fin troppo ambizioso – di riforma dell’impianto della disciplina delle diverse fasi del processo, veniva attuato per il tramite di innesti nella precedente delega Bonafede, avendo il merito di contrapporsi a molti istituti di questa. In tale prospettiva, abbiamo salutato come positivo il superamento del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado anche se il compromesso raggiunto per compiacere il Movimento 5 Stelle, con l’introduzione dell’istituto della improcedibilità, ha subito mostrato, sul piano della cultura giuridica prima ancora che su quello strettamente tecnico, la sua improbabile conciliabilità con l’ordinamento processuale. Evidenti poi, e subito da noi denunziati, sono i profili di incostituzionalità insiti nelle troppe deroghe che consentono al Giudice di eludere arbitrariamente i termini di decadenza dell’azione penale nel giudizio di appello.

Della legge-delega Cartabia avevamo sottolineato i limiti anche in relazione alle parti nelle quali non si era inteso dar corso ad alcune delle soluzioni individuate dalla Commissione Lattanzi che, anche se non tutte condivisibili, avevano il pregio della sistematicità. Avevamo dovuto prendere atto, ad esempio, che la riforma si presentava come una occasione persa in materia di riti speciali. Infatti, solo l’ampliamento dei limiti di pena per il patteggiamento ed un deciso rafforzamento dei casi di ammissibilità per il giudizio abbreviato condizionato, ne avrebbero determinato un maggior ricorso e dunque un minor carico di processi ordinari; si è invece proceduto a spostare la premialità dalla semplificazione dell’accertamento alla rinuncia al diritto di impugnare.

E però la Riforma Cartabia ha rappresentato un argine contro le peggiori spinte populiste e giustizialiste proposte dalle precedenti maggioranze di Governo e dalla Magistratura Ministeriale. La delega ha previsto un limite al tempo del processo, non ha accolto ipotesi di sostanziale abolizione dell’appello, ha definito soluzioni alternative alla concezione carcerocentrica della pena, ha indicato, sia pure con più di una timidezza, il rafforzamento del controllo di giurisdizione nella fase delle indagini. Esiti modesti sul piano del diritto positivo ma che hanno comunque assunto un rilevante significato politico nel contesto culturale ed istituzionale nel quale sono maturati, cioè a Parlamento invariato rispetto ai due precedenti governi Conte.

L’Unione delle Camere Penali Italiane aveva tuttavia da subito segnalato la necessità di vigilare sui lavori delle Commissioni nominate dalla Ministra della Giustizia per la predisposizione degli schemi dei decreti attuativi, consapevole che alcune significative parti della riforma, per le quali la logica del compromesso aveva portato a punti di delega generici, avrebbero definito la portata degli Istituti e il loro reale significato solo con le nuove norme.

La presa di posizione dell’Unione ha consentito all’avvocatura penale di dare un diretto contributo solo in alcuni specifici ambiti, poiché non tutte le Commissioni hanno inteso confrontarsi con noi. Preoccupazione vi era poi per l’attività di coordinamento e “armonizzazione” dei testi proposti dalle singole Commissioni, attività questa la più sensibile sul piano politico e al solito affidata ai magistrati del Ministero.

Ebbene, quei nostri timori erano più che fondati. Infatti, i decreti attuativi replicano per alcune parti le medesime criticità della delega, mentre per altre occorre prendere atto che si è inteso procedere forzandone il perimetro ed individuando soluzioni che allontanano ancora di più il nostro processo dallo schema del giudizio accusatorio.

L’Unione delle Camere Penali nelle prossime settimane procederà, anche con il concorso dei propri Osservatori e del centro studi Aldo Marongiu, ad approfondire tutti i temi oggetto del nuovo intervento normativo; in questa sede si intendono da subito rilevare le più macroscopiche criticità.

1.Videoregistrazione o fonoregistrazione degli atti di indagine e delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti.

L’introduzione dell’obbligo di videoregistrazione dell’assunzione delle dichiarazioni delle persone sentite nella fase delle indagini è proposta che l’Unione delle Camere Penali ha avanzato in ogni sede di audizione sui progetti di riforma. La misura è necessaria non solo per dare trasparenza all’atto d’indagine ma anche per rendere intellegibile il contesto nel quale si svolge l’attività investigativa. La delega Cartabia aveva recepito tale indicazione ma con l’art 362 comma 1 quater c.p.p., introdotto dal decreto attuativo, l’obbligo diviene una facoltà nella esclusiva disponibilità della persona chiamata a rendere dichiarazioni. Non solo: l’esercizio di tale facoltà è subordinato alla disponibilità degli strumenti di riproduzione. Classico intervento destinato a sterilizzare il principio.

La norma così congegnata si palesa di difficile attuazione poiché disegna un meccanismo nell’esclusiva disponibilità di un soggetto portatore dei più disparati interessi o di nessun interesse rispetto all’oggetto della causa, e così congegnata non assolve al ruolo di garanzia di genuinità del materiale probatorio che la delega aveva attribuito all’obbligo.

  1. Processo a distanza.

La stessa relazione illustrativa che accompagna i decreti afferma come si sia inteso estendere la portata della partecipazione a distanza facendone oggetto di una norma di carattere generale. L’introdotto art. 133 bis c.p.p. peraltro, non contiene alcun riferimento al consenso delle parti determinando il presupposto per future ambiguità interpretative.

L’avvocatura penale ha sempre dichiarato la propria contrarietà a che i processi potessero svolgersi a distanza. All’impegno delle Camere Penali è da ascrivere la limitazione introdotta alle attività da remoto previste dalla disciplina di emergenza sanitaria. L’art. 83 del DL 18/2020 infatti ha escluso dal novero delle udienze che possono essere svolte da remoto quelle che prevedono attività istruttorie e la discussione delle parti. È evidente come il dibattimento virtuale non consenta il pieno esercizio del diritto al contradditorio. Varrà qui ricordare le considerazioni in ordine a immediatezza e spontaneità ma anche alla libera determinazione del teste collocato a distanza in un Ufficio di Polizia Giudiziaria con protagonisti del processo lontani dal giudice. Modalità del contraddittorio e di formazione della prova al dibattimento sono l’essenza del rito accusatorio e come tali non disponibili. Sul punto i decreti attuativi si pongono in contrasto con le linee guida determinando un vulnus alle regole costituzionali del giusto processo.

3.Mutamento del giudice e rinnovazione dell’assunzione della prova.

In sede di decreti attuativi non si è inteso, sia pure nel rispetto della delega, di specificare i casi nei quali sia possibile derogare alla regola per la quale il nuovo giudice deve rinnovare l’assunzione della prova. Corollario del principio di immediatezza è che la persona sottoposta a processo possa interrogare e far interrogare i testimoni dinanzi al giudice della decisone. La legge delega ha demandato ai decreti l’individuazione di una disciplina che non rendesse obbligatoria la rinnovazione nei casi nei quali il precedente dibattimento fosse stato oggetto di videoregistrazione, soluzione nel solco della pronuncia della Corte Costituzionale 132/2019. L’Unione aveva segnalato la pericolosità di tale punto di delega, individuandone il contrasto con la norma costituzionale, sottolineando le ragioni per cui la prova videoregistrata non può essere assimilata alla prova raccolta davanti al nuovo giudice: diverse e nuove sono in ogni caso le dinamiche che si determinano in una “nuova” testimonianza, sia con riferimento all’atteggiamento delle parti che con riferimento alla percezione del giudicante. Peraltro, il decreto attuativo non disciplina le modalità con le quali il nuovo giudice dovrà prendere cognizione della prova precedentemente formatasi. L’Unione delle Camere Penali aveva richiesto che quantomeno tale attività fosse svolta in pubblica udienza, unica modalità atta a garantire l’effettività della specifica assunzione anche con la visione dell’atto videoregistrato.

  1. Giustizia riparativa – Art. 129 bis c.p.p.

La prima osservazione è che a fronte di generiche indicazioni date dalla delega, lo schema di decreto ha inteso dettare una articolata disciplina destinata ad incidere non solo nel procedimento di esecuzione ma anche in quello di cognizione. Il punto di maggior criticità si raggiunge con l’inserimento nel codice di rito del nuovo art. 129 bis c.p.p.. Conforme alla delega e in linea con una concezione non strumentale dell’istituto sarebbe stata la previsione che riservasse l’iniziativa dell’accesso al percorso di giustizia riparativa al solo imputato. La disciplina di attuazione prevede invece che la proposta, in alcuni casi un vero e proprio ordine, possa provenire anche dal giudice e dal P.M. con le evidenti conseguenze sulla genuinità del consenso. La norma richiama la logica che sottendeva “l’archiviazione meritata” proposta nel corso dei lavori della Commissione Lattanzi ma abbandonata dal Legislatore anche per la opposizione delle Camere Penali.

  1. Impugnazioni.

Lo schema di decreto dà pratica attuazione alle limitazioni all’accesso all’appello disciplinando nuovi adempimenti formali e sostanziali per la proposizione e il deposito dell’atto di impugnazione, sebbene l’ambizione di introdurre con questa riforma il principio della “critica vincolata” come condizione di ammissibilità sia stata sventata grazie al decisivo contributo critico e politico dei penalisti italiani.   La dilatazione delle ipotesi di inammissibilità è un’autentica ossessione della magistratura italiana, in realtà già realizzata con la riforma Orlando (inammissibilità per a-specificità dei motivi).

 La disciplina del processo che rischia di consegnarci questa Legislatura, pure superati i peggiori punti di caduta delle riforme Bonafede, presenta dunque oggi, alla luce dei decreti delegati per come concepiti e redatti, precisi profili di incompatibilità costituzionale. I penalisti italiani segnalano dunque con forza alla Commissione Giustizia della Camera ed a tutte le forze parlamentari e politiche la necessità di richiamare alla attenzione del Governo almeno le più rilevanti di queste criticità, come sopra evidenziate, perché si possa proficuamente intervenire e risolverle ancora in questa fase di interlocuzione parlamentare; e mette a disposizione di questa delicatissima fase del percorso parlamentare della Riforma tutte le energie ed i contributi di analisi e di soluzioni scientifiche delle quali essa dispone.

In ogni caso, appare in tutta la sua evidenza la necessità che il nuovo Parlamento torni ad intervenire su questi snodi cruciali, d’altronde in coerenza con intenzioni più volte pubblicamente ribadite da forze politiche che pure annunciavano e garantivano il proprio voto alla legge delega.

Il compito dei penalisti italiani sarà esattamente quello di sollecitare le forze politiche del nuovo Parlamento a rispettare e dare corso ai dichiarati impegni di riforme liberali del diritto e del processo penale, impegnandosi con tutte le proprie forze perché esse non rimangano -come già in passato- nel limbo delle buone intenzioni. I governi populisti sono, per fortuna, alle nostre spalle: ma occorre ora sconfiggere il populismo penale che da decenni pervade la cultura politica ed istituzionale del nostro Paese. Dopo l’obbrobrio del populismo al Governo del Paese, occorre che la politica sappia andare oltre il populismo che ancora la pervade: i penalisti italiani sono pronti per questa ennesima sfida.

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