Ma così la Cassazione dà ai giudici la linea su ogni nuova legge
Al di là di quanto sia illiberale il decreto Sicurezza è paradossale che il Massimario della Corte si esprima su norme che piazza Cavour "affronterà" solo tra anni
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L’incredulità reciproca fra Nordio e Anm o la Presidente Cassano stupita per lo stupore del Ministro segnano una nuova frontiera dello scontro fra politica e magistratura, da sempre latente, ma deflagrato dopo l’approvazione, per ora solo in prima lettura, della separazione delle carriere e del sorteggio per la composizione del Csm. L’ultimo casus belli è la relazione del Massimario sulla legge di conversione del d. l. sicurezza appena entrata in vigore. Mi rendo conto che tale provvedimento contenga norme così illiberali da suscitare immediatamente reazioni sdegnate, ma la questione di metodo è forse ancora più importante di quella di merito, considerato che le nuove disposizioni verranno presto scrutinate dalla Corte costituzionale.
La polemica in atto non deve fare passare in secondo piano la vera posta in gioco, rappresentata dall’indipendenza interna della magistratura. La domanda da porsi, al netto di ogni considerazione sui contenuti del d. l. sicurezza e della relazione, è la seguente: perché il Massimario si pronuncia, con un tomo di 129 pagine scritto in tempi record, su temi che la Cassazione affronterà, forse, tra qualche anno? A che titolo scrive il Massimario se non c’è nulla da massimare, mancando ovviamente la giurisprudenza sul d. l. sicurezza e meno che mai la giurisprudenza di Cassazione?
La risposta, abbastanza scontata, è che il Massimario ha voluto fornire una interpretazione preventiva del testo di legge al di fuori di ogni compito giurisdizionale. Secondo la Presidente della Cassazione, l’intento sarebbe, invece, quello di offrire una traccia da mettere «a disposizione di tutti i giudici per migliorare complessivamente la qualità dell’interpretazione delle leggi». Affermazione non del tutto neutra che sottende, forse inconsapevolmente, una riserva di ortodossia ermeneutica in favore della Cassazione. L’idea che i giudici del Massimario siano i primi interpreti dei nuovi testi legislativi, prima ancora che si formi la giurisprudenza di merito o di legittimità, pone un secondo interrogativo: questa esegesi “a prima lettura” rientra nei compiti dell’Ufficio?
Secondo l’ordinamento giudiziario, le attribuzioni dell’Ufficio del massimario e del ruolo “sono stabilite dal Primo Presidente della Corte sentito il Procuratore generale” ( art. 68, 3° comma r. d. 12/ 41). In base al regolamento del Primo Presidente, compito del Massimario, come peraltro risulta dallo stesso sito della Corte di Cassazione, è “l’analisi sistematica della giurisprudenza di legittimità, condotta allo scopo di creare un’utile e diffusa informazione (interna ed esterna alla Corte di Cassazione) necessaria per il miglior esercizio della funzione nomofilattica della stessa Corte”. Tale attività, ossia favorire la nomofilachia della Cassazione, “si articola” anche nella redazione di relazioni “su novità legislative, specie se di immediata incidenza sul giudizio di legittimità”. Stando ai compiti istituzionali, chiaramente delineati in funzione delle specifiche attribuzioni della Corte Suprema, risulta difficile immaginare che la relazione sul d. l. sicurezza possa essere di ausilio alla nomofilachia interna della Cassazione e al lavoro dei giudici di legittimità, posto che di tale materia per anni non dovranno occuparsi.
Questo mi sembra il cuore del problema: se il d. l. sicurezza non impatta attualmente sul lavoro della Cassazione, allora riprende forza l’idea che il reale intento sia quello di condizionare le giurisdizioni di merito prima ancora che si formi una giurisprudenza di legittimità.
È riduttivo liquidare la questione affermando che si tratta di un lavoro dottrinale o addirittura di mera ricognizione dottrinale, peraltro distorta dalla incompletezza bibliografica e dalla scelta degli autori di riferimento ( vizio manifesto nel lavoro sulla riforma Cartabia). Tutti sappiamo che l’interpretazione pseudo dottrinale del Massimario viene intesa dai giudici come una sorta di anticipazione dei futuri orientamenti della giurisprudenza di legittimità, con il conseguente peso che finisce per assumere in un sistema che è stato pervicacemente costruito su un modello gerarchico, giustificato dal falso mito della prevedibilità delle decisioni e del vincolo del precedente. Detto per inciso, proprio quel modello favorirà l’avvento dell’intelligenza artificiale ossia il passaggio dal giudice automa, mero fruitore di massime e relazioni, all’automa giudice, che nell’algoritmo custodisce tutto lo scibile del Massimario.
La Costituzione, che oggi va di moda invocare per opporsi alla separazione delle carriere, impone, però, un diverso modello di giurisdizione, senza vincoli derivanti dai precedenti superiori e distinguendo i giudici solo per le funzioni svolte. Si chiama indipendenza interna della magistratura, valore non inferiore a quello della indipendenza esterna dalla politica.
Prevengo l’obiezione che il Massimario da tempo si occupa di testi di legge appena varati, basti pensare ai già citati volumi sulla riforma Cartabia, ma bisogna anche notare che allora le nuove norme incidevano direttamente sul lavoro della Cassazione (ad esempio, il regolamento preventivo di competenza e la “revisione europea”). Ad ogni modo, anche ammettendo che si tratti di una prassi antecedente al d. l. sicurezza, ciò non toglie che, come ricorda Giuliano Scarselli, «se l’opinione sulla legge è data dalla dottrina, quella opinione non è mai in grado di limitare l’indipendenza del giudice, visto che nessun giudice è tenuto a seguire il pensiero (peraltro normalmente nemmeno uniforme) della dottrina. Ma se la Corte di cassazione, attraverso l’Ufficio del Massimario, si rende essa stessa dottrina, allora lì, a mio parere, il problema si pone, perché quell’orientamento può invece condizionare la libertà dei giudici».
Oliviero Mazza (Ordinario di diritto processuale penale Università Milano Bicocca) su Il Dubbio
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