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La riforma del Csm non basta

Il presidente dell’Ordine di Milano Vinicio Nardo: "Qualcosa di buono c’è, ma ora diventano decisivi i referendum"

La riforma del Csm non basta

Così il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Vinicio Nardo, in una nota, commenta la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario passata ieri alla Camera. È una riforma, spiega Nardo, che “va letta in chiaro e in scuro”, perché “da un lato possiamo di certo dire che qualcosa di buono lo contiene e per esempio cerca di incidere sulle valutazioni dei magistrati sia attraverso il fascicolo personale che attraverso il contributo degli avvocati”. D’altro canto, però, “sul profilo dei cambiamenti al sistema di voto per i componenti togati del Csm la riforma non toglie davvero peso alle correnti che anzi diventano con il nuovo sistema le vere protagoniste”. Per Nardo, infatti, “le reazioni di protesta dei magistrati con minacce di sciopero suonano di più come un segnale di paura nei confronti del referendum che un reale dissenso verso una riforma che in fondo lascia sul sistema elettorale le cose sempre più a vantaggio delle correnti della magistratura.

Questa riforma – è l’appello del presidente Nardo – rende ancora più strategici e decisivi i referendum sulla giustizia del 12 giugno perché solo lo strumento referendario può portare uno stimolo di fronte alla sostanziale difficoltà in cui sono le forze politiche in Parlamento e a integrare quello che rimane immutato dopo il voto di ieri”.

Tra i referendum proposti da Radicali e Lega, per i quali si voterà nel solo giorno di domenica 12 giugno, uno chiede di abrogare la legge Severino nella parte in cui prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di governo dopo una condanna definitiva. Un altro chiede di abolire la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Consiglio superiore della magistratura. Ce ne sono poi un terzo che chiede di ridurre i casi per cui è consentito il ricorso alle misure cautelari in carcere, e un quarto che chiede la separazione delle funzioni dei magistrati: l’idea è obbligarli a scegliere all’inizio della loro carriera se percorrere la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale. Il quinto referendum vuole introdurre la possibilità che negli organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati possano votare anche i membri non togati (ovvero gli avvocati).

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