Anno: XXVI - Numero 105    
Martedì 28 Maggio 2025 ore 13:45
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Da Stasi a Sempio: nessun movente e indizi molto fragili

Le vicende intrecciate del ragazzo condannato e di quello indagato si muovono sul filo del processo mediatico-giudiziario.

Da Stasi a Sempio: nessun movente e indizi molto fragili

Queste due vite intrecciate, e che invece dovrebbero correre parallele, sono già tragedia. Quella del primo, Alberto Stasi, perché è stato condannato a 16 anni di carcere dopo un processo indiziario, e soprattutto, come ha sottolineato anche il Ministro Nordio, perché è inconcepibile che la legge dia al pubblico ministero il potere di presentare ricorso anche dopo due sentenze di assoluzione. Un potere che non dovrebbe essergli attribuito neppure dopo la sentenza di primo grado, quando viene riconosciuta l’estraneità dell’imputato al reato che gli è stato contestato. Un tentativo di cambiare la norma portava la firma del governo Berlusconi, con la “riforma Pecorella”, che fu avversata dal sindacato delle toghe e dalla sinistra e infine affossata dalla Corte Costituzionale. Andrebbe ricordato a tutti coloro che oggi si stracciano le vesti per la triste storia di Alberto Stasi, che ha già scontato dieci anni di carcere e ha ottenuto da poco la semilibertà.

Poi c’è l’altro ex ragazzo, Andrea Sempio, già due volte indagato e per due volte archiviato da parte di due diversi giudici per le indagini preliminari. Da giudici, anche se su richiesta dell’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti. Che è oggi diventato l’anello debole della catena. Perché, dopo che è andato in pensione ed è arrivato come suo successore quel Fabio Napoleone che porta con sé i galloni della provenienza da Milano e da quella procura di primi della classe omogenei tra loro e anche all’amministrazione della città fino a un paio di anni fa, a Pavia è scoppiata una sorta di rivoluzione.

Sfociata nello scorso mese di aprile nell’arresto di due carabinieri di alto grado e nella spedizione di un gran quantitativo di carte alla procura di Brescia perché verifichi se non esista qualche sospetto che possa macchiare la stessa toga dell’ex procuratore Venditti. Quasi come se tutta la gestione di quell’ufficio che fu, fosse criminalizzata e messa in discussione nella sua legalità. Ecco, Andrea Sempio rischia di rimanere stritolato all’interno di questo terremoto giudiziario, come se l’antico capo dell’ufficio avesse voluto proteggerlo. Come se non ci fossero stati due gip ad accogliere ogni volta le richieste di archiviazione della sua posizione.

A mettergli i denti nel collo, fin dal 2016, e prima ancora che si muovesse la procura di Pavia, sono stati proprio i difensori dell’altro ex ragazzo, Alberto Stasi. Perché, dopo la condanna nel processo d’appello- bis e la conferma in cassazione, i suoi difensori avevano tentato invano il ricorso in corte d’appello a Brescia e in cassazione per la revisione del processo. E avevano anche, con risultato negativo, avanzato per due volte il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu), perché verificasse se erano stati applicati i principi del giusto processo. Dopo tante porte chiuse per dimostrare l’innocenza del proprio assistito, hanno così tentato un’altra via, quella che portasse a trovare un altro colpevole, magari Andrea Sempio.

Era stata così ingaggiata un’agenzia di investigazioni, i cui uomini avevano svolto il proprio mestiere, compreso il frugare nella spazzatura e il “rubare” una tazzina, un cucchiaino e una bottiglietta per impadronirsi del dna della persona scelta come bersaglio.

Dopo le due archiviazioni da parte di due diversi giudici, i ricorsi dei difensori di Stasi hanno infine trovato ascolto da parte del procuratore Napoleone. Ed è nata la seconda inchiesta, a 18 anni dall’omicidio di Chiara Poggi del 13 agosto 2007, sul “caso Garlasco”. Che è diventato di nuovo molto mediatico. Bruno Vespa è andato a recuperare negli archivi della Rai il famoso plastico della villetta in cui fu consumato il delitto, si sono moltiplicati i talk e gli scontri tra innocentisti e colpevolisti. Con due enormi novità. Perché, nonostante Alberto Stasi sia condannato con sentenza passata in giudicato, la nuova inchiesta ha improvvisamente risvegliato sensi di colpa nei suoi confronti. Nonostante che, nei giorni dei suoi cinque processi, quegli indizi sulla bici da donna nera, sulle sue scarpe pulite in mezzo al sangue, l’impronta di una calzatura numero 42 e le due tracce di dna sul dispenser del bagno dove l’assassino si era lavato le mani, non parevano lasciare dubbi.

L’altra novità è che tra i colpevolisti nei confronti di Andrea Sempio ci sono, oltre ai soliti sostenitori della procura, anche proprio i legali di Stasi. Una sorta di due contro uno, insomma. I sospetti sull’ex ragazzino che frequentava casa Poggi in quanto amico di Marco, il fratello minore di Chiara, si stanno concentrando soprattutto nel mondo della genetica. Su due punti. Il primo riguarda il materiale ritrovato sulle dita di Chiara, e non sotto le unghie, dove non c’è il dna di nessuno, anche perché la ragazza non avrebbe subito nessun approccio sessuale né di altro tipo e non si sarebbe difesa. Sarà comunque materia per l’incidente probatorio che la gip ha fissato per il 17 giugno. Con un problema, perché quel dna indica la linea paterna e non il singolo individuo, e perché la traccia non è databile.

L’attribuzione a Sempio potrebbe indicare un rapporto indiretto con Chiara. Come capitò nel processo per l’uccisione di Yara Gambirasio, quando sul suo giubbotto fu ritrovato, a tre mesi dalla morte, quando il corpo della ragazza era rimasto esposto alle intemperie, il dna della sua istruttrice di ginnastica, che non sarà mai indagata. L’altro punto su cui si sta già sviluppando la battaglia tra gli scienziati, è quello dell’ “impronta 33”, come è stata numerata. Si tratta di una fotografia di qualcosa che non c’è più e su cui è già stato stabilito da un esame molto preciso che si chiama Obti test, che non è una traccia di sangue ma forse di sudore.

Anche in questo caso non se ne conosce la data, anche se si sa per certo che l’assassino non è mai sceso dalle scale, e per appoggiare la mano sul muro nella posizione avanzata in cui esisteva quell’impronta avrebbe dovuto sporgersi molto in avanti. Siamo anche qui sul piano indiziario. E rimane il fatto che non esiste movente, così come non è stato trovato nel caso di Alberto Stasi, se non per lo spunto, che non è una prova, di un litigio tra lui e la fidanzata la sera precedente il delitto. Ma non esiste neppure l’arma del delitto, che dovrebbe essere una specie di martello con una parte piatta e l’altra a lama. Un oggetto diverso da quello sparito a casa Poggi che invece aveva un lato a rondine. E lasciamo perdere il dragaggio di corsi d’acqua su ispirazione di una trasmissione tv. Non c’è il movente, dunque, e non c’è l’arma del delitto. Manca proprio la pistola fumante in questa disgraziata sorte che sta intrecciando le due vite che invece dovrebbero correre parallele. E che lasciano aperta una colossale domanda: se la colpevolezza di Stasi, decretata da una sentenza definitiva, non serve a scagionare Sempio, l’incriminazione di questo secondo indagato sarà utile a rivedere le responsabilità nell’omicidio da parte di Stasi?

Tiziana Maiolo su Il Dubbio

 

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