Anno: XXVI - Numero 105    
Martedì 28 Maggio 2025 ore 13:45
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"Suicidio assistito: la legge non ti può aiutare, un amico medico sì"

Colloquio con Ignazio Zullo, incaricato di scrivere la legge sul fine vita, che aspetta da sei anni.

“Se il sistema sanitario nazionale viene impiegato istituzionalmente in questa procedura, si sdogana un diritto. E non può essere un diritto alla morte. Non lo dice nemmeno la sentenza della Consulta”

Ignazio Zullo, senatore di Fratelli d’Italia, uno dei due parlamentari incaricati di scrivere la legge sul fine vita. Non giriamoci troppo intorno: la sensazione è che il centrodestra stia lavorando ad affossare la legge.

Ce la conferma?

Stiamo dimostrando che stiamo lavorando. Si dovrebbe dire, piuttosto, che il centrodestra sta facendo un lavoro certosino, con l’obiettivo di creare una legge che possa essere di equilibrio tra tutte le posizioni, rispettosa del diritto alla vita e delle sentenze della Corte costituzionale, che non dice che c’è un diritto a morire. 

Eppure ieri, 20 maggio, si è creato un caso perché ci si aspettava un passo importante, fondamentale per arrivare a un legge: il testo da cui partire. E non è arrivato.

Non so perché tutti si aspettavano un testo. Il testo deve essere scritto in maniera condivisa, all’interno del comitato chiamato a elaborarlo.

Che, però, come fa notare l’opposizione, in cinque mesi si è visto 5 volte. Un po’ poco per chi dice di voler produrre una legge e approvarla in prima lettura entro luglio.

Dobbiamo distinguere. C’è solo un elemento dell’opposizione che dice questo: è il senatore dem Alfredo Bazoli. Gli altri, invece, concordano con il metodo. Bazoli punta solo a portare il suo ddl in Aula e non all’obiettivo di confezionare un testo che possa essere più condiviso possibile. Affinché non si creino lacerazioni nel tessuto sociale sul quale la legge si riverserà, su un tema di particolare rilevanza etica, morale, politica e ideologica.

Dite che non riuscite a scrivere una legge sul suicidio assistito, come chiede la Consulta da circa 6 anni, perché ci sono dei nodi da sciogliere. Quali sono questi nodi?

Dobbiamo capire una cosa importante: l’aiuto al suicidio ha una differenza sostanziale con l’eutanasia. L’apertura della Corte costituzionale ha riguardato il suicidio assistito, non l’eutanasia. Qual è la differenza tra le due pratiche? Un gesto. Mentre nel suicidio assistito il gesto finale, che porta alla morte, lo compie la persona che lo ha chiesto, nell’eutanasia lo compie una terza persona.

Ma su questo già la Corte costituzionale vi ha dato le indicazioni, dove è il problema?

La Corte ha detto che il suicidio assistito non è punibile, ad alcune condizioni, ma non è entrata nel merito dell’eutanasia. Dobbiamo capire: quando si dice che il suicidio deve essere medicalmente assistito, il medico cosa deve fare? Deve eseguire l’atto estremo? No, perché altrimenti sarebbe eutanasia. Deve aiutare? In che modo? Il medico che ha giurato, in base al codice deontologico, di adoperarsi per la vita, in che condizione si trova?

Se lo ritenete assolutamente indispensabile, potete prevedere l’obiezione di coscienza, come fatto con l’aborto. 

Ma è sufficiente? E poi, io mi chiedo: c’è un diritto alla vita, si può sdoganare il diritto alla morte? Le questioni non sono semplici. 

Da quanto siamo riusciti a ricostruire, alcuni di voi, Fratelli d’Italia in primis, vorrebbe prevedere che il suicidio assistito avvenga al di fuori del sistema sanitario nazionale. In un ospedale pubblico, in altri termini, non si potrebbe fare. Ci può spiegare?

Se il sistema sanitario nazionale viene impiegato istituzionalmente in questa procedura, si sdogana un diritto. E non può essere un diritto alla morte.

Però se si esclude la sanità pubblica dalla procedura, si dà la possibilità di porre fine alle proprie sofferenze solo alle persone che hanno i soldi per rivolgersi a un privato o per andare all’estero. State lavorando a creare delle diseguaglianze?

Assolutamente no. Perché io posso essere una persona non abbiente, che chiede di essere aiutata al suicidio, ma se ho un amico medico, può aiutarmi lui. 

Abbia pazienza, al netto dei problemi costituzionali che si potrebbero porre, non è che tutti hanno un amico medico. C’è sempre il rischio di diseguaglianze: a parità di sofferenza, si impedirebbe ad alcune persone di accedere al diritto al suicidio assistito. Altre, invece, lo potrebbero fare.

Ma non si può prevedere un ruolo per il servizio sanitario nazionale indispensabile per arrivare al suicidio assistito. Non dobbiamo pensare questo, altrimenti sdoganiamo il diritto alla morte.

Qual è, allora, la soluzione?

La troveremo nel dibattito. Ieri abbiamo ribadito di mantenere questo impegno e volerlo portare a termine. I tempi ci sarebbero tutti per dirimere queste questioni.

Glielo richiedo. Finirà che in questo modo la legge non sarà mai approvata, vero? Perché le premesse ci sono tutte. 

Tutti parlano di questa ipotesi, ma è previsto che la legge vada in Aula a luglio, non vedo perché si dovrebbe verificare questa eventualità.

Perché dall’esterno si nota quanto tempo ci state mettendo. 

Con l’esterno ci confrontiamo anche noi. Non ho avvertito, da nessuna parte, una spinta a dover accelerare proprio in questi giorni. Dobbiamo fare una buona legge, senza creare tifoserie per dividere il tessuto sociale. Ne abbiamo viste tante di queste situazioni. Dobbiamo mediare, trovare i punti d’incontro, limare l’estremismo ideologico, per una legge più condivisa possibile. Rispettosa della tutela della vita e del percorso delle cure palliative, perché siamo convinti – e io lo sono profondamente – che una persona gravemente malata, con l’assistenza spirituale e psicologica, inserita in un percorso di cure palliative, non chiederebbe mai di porre fine alla propria vita.

In realtà molte persone malate, anche tra quelle che aspettano di poter accedere al suicidio assistito, considerano le cure palliative un trattamento degradante.

Con un supporto psicologico, probabilmente, quelle stesse persone potrebbero considerarle diversamente.

Ma quindi vorreste inserire l’obbligo di cure palliative? Che significherebbe creare una norma più restrittiva di quella che vi indica la Corte costituzionale?

In questo entra in campo la legge del 2017, sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, che dice che una cura si può rifiutare. C’è, certamente, anche questo aspetto da analizzare. E, mi creda, non è facile. Proprio per questo è giusto perdere qualche giorno in più, ma focalizzare l’attenzione sull’obiettivo che ci siamo dati.

Senatore, altro che giorni, sono passati sei anni dalla sentenza DjFabo/Cappato che ha reso possibile l’accesso al suicidio assistito in Italia e chiesto al Parlamento una legge…

Ma noi stiamo lavorando ora. Vogliamo essere giudicati per quello che stiamo facendo ora.

di  Federica Olivo su HuffPost

 

 

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