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L’invecchiamento demografico non giova alle Casse di previdenza.

Casse di previdenza, spesa sanitaria e invecchiamento demografico

L’invecchiamento demografico non giova alle Casse di previdenza.

«Molti Paesi con economie mature attualmente sono segnati da evoluzioni demografiche che stanno incidendo sulla struttura per età della popolazione. Dato l’incremento continuo della speranza di vita ad ogni età dopo i 60 anni, a livello globale, la quota degli ultra 60enni sul totale della popolazione è salita dall’8% (200 milioni di persone) nel 1950, a circa l’11% (760 milioni) nel 2010, e si prevede un drastico aumento fino al 21,2% (2 miliardi) entro il 2050 (UN, 2013). Tutto ciò va comunque congiunto al declino costante del tasso di fertilità totale (il TFT nel mondo da circa 5 figli per donna nel 1950 è sceso ad oggi a 2,5 ed è previsto che scenda fino 2,24 entro il 2050). Come conseguenza di tale fenomeno si riscontra un possibile indebolimento progressivo dei sistemi di welfare state. La maggior parte dei sistemi pensionistici “bismarckiani” che si poggia oggi sul meccanismo di finanziamento a ripartizione (il sistema previdenziale Cileno dalla capitalizzazione sta tornando alla ripartizione, nota di Paolo Rosa) è soggetta infatti ad un rischio demografico che consiste nella possibilità che il numero dei beneficiari aumenti più che proporzionalmente rispetto al numero dei contribuenti; pertanto, il perdurare dell’attuale declino demografico insieme al baby boom retirement, contribuirà a rendere insostenibile il peso degli anziani sugli attivi a parità di reddito nazionale prodotto. Nonostante le importanti correzioni attuariali attuate nel tempo, quali la ri-parametrizzazione dei sistemi a prestazione definita e infine l’adozione di nuovi criteri di calcolo (Notional Defined Contribution – NDC o Points-Based – PB, quest’ultimo in uso in Francia e Germania), sistemi pensionistici semi-chiusi come quelli dei liberi professionisti, potrebbero non riuscire a mantenere in piedi quel patto intergenerazionale che lega individui appartenenti a popolazioni quantitativamente modeste» (Il rischio demografico e non solo: quali soluzioni per le casse di previdenza dei professionisti?, Alfonso Salzano, 28 luglio 2015).

«Il termine italiano rischio demografico è completamente declinabile nell’ambito della locuzione inglese longevity risk. In senso stretto il longevity risk si riferisce al rischio connesso all’incapacità di un annuity provider (ad esempio, un fondo pensione o una Cassa di previdenza) nel far fronte agli impegni contrattuali di pagamento di una rendita vitalizia a favore dell’iscritto che, raggiunti i requisiti di età e anzianità per il godimento del trattamento pensionistico, inizia a percepire un trattamento periodico a condizione che il pensionato diretto, ovvero altro avente diritto (trattamento di reversibilità), sia in vita a ciascuno degli anniversari successivi al momento dell’inizio godimento. È evidente, dunque, che la sostenibilità di medio/lungo termine dell’ente erogatore la rendita, ovvero della sua solvibilità, è affidata alla disponibilità di risorse finanziarie accumulate (o in corso di accumulazione) e tali da ridurre al minimo il rischio di una situazione di default tecnico o, meglio, una situazione in cui il valore degli attivi a copertura degli impegni pensionistici risulti inferiore al valore delle passività immediate e/o latenti: tale situazione si manifesta se il numero delle rate di pensione in godimento supera il numero delle rate stimate ex ante sul piano teorico in sede di programmazione delle risorse finanziarie da accumulare (principio della capitalizzazione vs. principio della ripartizione)» (L’aumento della vita media influisce inevitabilmente sulla sostenibilità di enti pensionistici e forme di assistenza sanitaria integrativa, oltre che su altre voci di spesa del welfare integrato: cos’è e come gestire il longevity risk?, Itinerari Previdenziali 2022 Paolo De Angelis).

Per contro l’invecchiamento demografico non desta eccessiva preoccupazione al SSN per i motivi che si ritrovano alle pagine 154 e seguenti del Rapporto n. 9 del MEF, ottobre 2022, che trascrivo:

«4.7 – Spesa sanitaria e invecchiamento demografico. Le dinamiche demografiche attese nei prossimi decenni (Istat (2022b)) determineranno un’espansione della domanda di prodotti e servizi sanitari, in quanto aumenterà il peso della popolazione nelle fasce di età più elevate, in cui i bisogni sanitari sono maggiori. L’aumento della quota di popolazione anziana dipende sia dal costante incremento della speranza di vita, in linea con le tendenze dei decenni passati, sia dalla transizione demografica, cioè il processo di invecchiamento delle generazioni del baby boom che progressivamente raggiungeranno le età più anziane. L’elevato livello della speranza di vita e la significativa dinamica attesa per i prossimi decenni, se da un lato confermano la buona performance del nostro sistema sanitario, dall’altra potrebbero generare, in futuro, situazioni di frizione rispetto al vincolo delle risorse disponibili. Ci sono, tuttavia, alcuni fattori, riconducibili alle stesse dinamiche demografiche, che potrebbero limitare significativamente la crescita della spesa sanitaria rispetto a quanto emergerebbe da un’ipotesi di estrapolazione meccanica degli attuali comportamenti di consumo per età e sesso. In primo luogo, si è dimostrato che una percentuale molto elevata del totale dei consumi sanitari nell’arco della vita di un soggetto si concentra nell’anno antecedente la sua morte. Ciò significa che la componente di spesa sanitaria relativa ai costi sostenuti nella fase terminale della vita (c.d. death-related costs) non risulterà significativamente condizionata dall’aumento degli anni di vita guadagnati (Aprile R., Palombi M., 2006). In secondo luogo, come è avvenuto costantemente in passato, l’aumento della speranza di vita sarà verosimilmente accompagnato da un miglioramento delle condizioni di salute ed una riduzione dell’incidenza della disabilità a parità di età. Se gli aumenti della speranza di vita si tradurranno in tutto o in parte in anni guadagnati in buona salute (c.d. dynamic equilibrium) (Economic Policy Committee – European Commission, 2014) una parte importante dell’incremento dei costi, calcolato nell’ipotesi di invarianza della struttura per età e sesso dei bisogni sanitari, non si realizzerebbe. È evidente che per fronteggiare le tendenze espansive della domanda di prestazioni sanitarie indotte dalle dinamiche demografiche, senza compromettere il livello di benessere sanitario raggiunto, sarà necessario recuperare maggiori livelli di efficienza ed efficacia nell’azione di governance del sistema sanitario. Ciò potrebbe apparire una prospettiva ambiziosa per un settore in cui la produzione e l’erogazione delle prestazioni incide direttamente sulla salute dei cittadini. Tuttavia, l’esperienza maturata nell’ambito dell’attività di monitoraggio della spesa sanitaria che include, fra l’altro, i criteri di riparto del finanziamento, il controllo dei programmi di spesa regionali, la verifica delle performance in termini di produzione ed erogazione di servizi nonché la correzione degli andamenti rispetto a valori di benchmark, ha mostrato che esistono margini di razionalizzazione, senza compromettere la qualità e l’universalità dei servizi. Per completezza, occorre segnalare che sono stati identificati anche altri fattori esplicativi della dinamica della spesa sanitaria, di natura non demografica, che potrebbero operare in senso espansivo. Fra questi, particolare attenzione è stata rivolta in letteratura al progresso tecnologico, per l’introduzione di apparecchiature sanitarie e principi terapeutici sempre più sofisticati e costosi. Tuttavia, nonostante gli sforzi compiuti in termini di analisi e stima, non si è arrivati a conclusioni definitive, non solo per quanto riguarda la dimensione dell’effetto, ma neppure in relazione al segno, atteso che il progresso tecnologico porta con sé una maggiore efficienza produttiva. Tuttavia, l’eventuale effetto espansivo del progresso tecnologico, operando dal lato dell’offerta, necessita di un sistema di finanziamento della domanda che sia, in qualche modo, “accomodante” rispetto alle dinamiche dell’offerta. Tale circostanza dipende essenzialmente dall’assetto istituzionale ed organizzativo del sistema sanitario. In un contesto come quello italiano, in cui è stato istituito un efficiente ed efficace sistema di governance, il controllo della domanda di prodotti e servizi sanitari risulta pienamente operante, nel rispetto degli obiettivi di equilibrio finanziario e di sostenibilità della spesa pubblica».

«Le previsioni sul futuro demografico in Italia restituiscono un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 mln nel 2030, a 54,1 mln nel 2050 e a 47,6 mln nel 2070. Il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3 nel 2050 mentre la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale. La crisi demografica sul territorio: entro 10 anni l’81% dei Comuni avrà subito un calo di popolazione, l’87% nel caso di Comuni di zone rurali. Previsto in crescita il numero di famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non avrà figli Rispetto a gennaio 2020, l’indice di vecchiaia continua a crescere con un aumento di 3,2 punti percentuali, raggiungendo al 1° gennaio 2021 quota 182,6 anziani ogni cento giovani. Si conferma la crescita costante dell’indice, in atto oramai da un ventennio. Nonostante il decremento dell’indice di dipendenza nell’area del Nord Italia, tra il 1° gennaio del 2020 e del 2021, gli incrementi registrati nel Centro e nel Mezzogiorno portano l’indice ad una crescita a livello nazionale (da 56,7 a 57,3), confermando la presenza di uno squilibrio fra le generazioni» (Report Istat base 1.1.2020).

Anche secondo il recente report di Meridiano Sanità se le 5 leve (pressione fiscale, politiche a sostegno della natalità, interventi sulla occupazione, sulla forza lavoro e sull’immigrazione) a disposizione per promuovere la sostenibilità del SSN sono messe insieme, renderebbero accettabile il modello di previsione.

Tratto da  Diritto e Giustizia

 

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