Anno: XXV - Numero 66    
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La scelta lungimirante per le Casse di previdenza

Oltre che iniqua, la ripartizione tradizionale è anche accusata di essere “strutturalmente insostenibile”

La scelta lungimirante per le Casse di previdenza

La causa ultima dell’insostenibilità risiederebbe nel fatto che ogni generazione è chiamata a provvedere non già alla propria vecchiaia, bensì a quella della generazione precedente. In altre parole, i contributi si configurano come reddito prelevato per essere consumato da altri, cioè trasferito nello spazio, anziché risparmiato per essere consumato più tardi, cioè trasferito nel tempo. Perciò i contributi stessi sono percepiti come ‘imposte’ e le pensioni come ‘spesa pubblica’. In tali condizioni, diventa labile il confine fra il bilancio del sistema pensionistico e quello dello Stato. Si fa allora strada il convincimento che alla ‘forma pura’ della ripartizione è possibile rinunciare lasciando che al finanziamento del sistema pensionistico concorra la fiscalità generale. Tanto più che l’intervento di imposte a carattere progressivo avvantaggia l’equità mitigando la rigida proporzionalità dei contributi (Fulvio Gismondi e Sandro Gronchi, Il ‘sistema contributivo’: questo sconosciuto, in M. Maré (a cura di), La previdenza complementare: quale futuro?, Bologna, Il Mulino, 2011). Oggi il rapporto contribuzione media/pensione media è molto sfavorevole per le Casse previdenziali, va da 1 a oltre 4 il che significa che oggi le Casse erogano in prestazioni più di quanto ricevono sotto forma di contribuzione. Infatti Il rapporto pensione media/contributo medio presenta valori che vanno da 1 (Enpam) a 4,24 (Cassa Forense): la pensione media, quindi, è uguale o più alta del contributo medio; gli avvocati percepiscono una pensione media pari a 4,24 volte (in lievissima diminuzione dal 4,26 del 2016) il contributo medio, ingegneri e architetti, commercialisti 3 volte; ragionieri e geometri sono riusciti a ridurre i 2,5 volte il contributo medio del 2016 a poco più del 2,3, mentre le altre Casse mantengono un rapporto più basso (Rapporto n.6 anno 2019, di Itinerari Previdenziali). Questo ha generato l’aumento, con progressione geometrica, del debito latente più del doppio, sono prudenziale, del patrimonio accumulato. Di fronte alla impossibilità di aumentare la contribuzione obbligatoria, oggi si punta sull’aumento del rendimento del patrimonio ma, più rendimento significa più rischio e più rischio significa anche possibilità di perdere tutto il capitale , si può fare ma bisogna spiegarlo bene agli iscritti, trattandosi di previdenza obbligatoria di primo pilastro. Oggi sarebbe il momento di fare con lo Stato un ragionamento molto semplice: tu Stato hai bisogno di miliardi freschi per far ripartire la economia? Si, eccoti il nostro patrimonio circa 85 miliardi e noi rientriamo in Inps salvaguardando lo status quo perchè tu Stato ti assumi anche il debito latente. Ma è un tema complicatissimo che richiede conoscenze previdenziali che in pochissimi abbiamo. Quindi non se ne farà nulla ma i professionisti avranno perso il momento favorevole che potrebbe non realizzarsi più e sappiamo bene che per legge le Casse non possono giovarsi, in caso di difficoltà, di interventi pubblici. Ne sa qualche cosa proprio la Cassa dei giornalisti che ha pochi mesi di tempo per evitare il commissariamento. Il d.l. crescita è legge. Il Senato ha dato il via libera definitivo ponendo il voto di fiducia. Tra le norme quella definita “Salva INPGI” che per la Presidente dell’INPGI, Marina Macelloni crea «incertezza e confusione». «Infatti, se da una parte si dice che l’Istituto ha 12 mesi di tempo per approntare interventi che siano efficaci per la stabilità di medio-lungo periodo, dall’altra si sospende il possibile ricorso al commissariamento solo fino al 31 ottobre 2019. Come se fosse possibile per il CdA dell’Istituto, che non si è mai sottratto alle proprie responsabilità e continuerà a farlo, fare un lavoro serio in poco più di tre mesi». Non ho preso un colpo di sole , facile di questi tempi, ma analizzo i numeri. Ai posteri l’ardua sentenza.

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