Anno: XXV - Numero 72    
Venerdì 26 Aprile 2024 ore 13:00
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Durata ragionevole, quel principio ignoto a Bonafede

Intervento pronunciato nell’ambito della maratona oratoria organizzata a Roma dall’Unione camere Penali per la verità sulla prescrizione.

Durata ragionevole, quel principio ignoto a Bonafede

Caro ministro Alfonso Bonafede, le dò del lei poiché sono abituato a dare del tu ai colleghi e non ai coiscritti, noi stiamo cercando di farle capire qualcosa di molto semplice. Ad esempio il concetto di durata. Non è un concetto difficile. Forse è un pochino più difficoltoso per lei quello di durata ragionevole però è un’aggettivazione che ricorre nella Costituzione, nella Carta de diritti fondamentali, che ricorre nella Convenzione dei diritti dell’Uomo. Qualcosa, quindi, significa se questo termine, ragionevole, viene specificato in tanti casi e in tante carte “non proprio fondamentali” come la Costituzione, la carte dei diritti fondamentali ecc., che vuole che sia. La durata è un concetto semplice, indica un termine di carattere temporale ed immediatamente le dovrebbe venire in mente che se questa durata non è ragionevole, non va bene, se è eterna non può essere ragionevole. Concetti molto semplici, signor ministro. Ragionevole, attenzione, non stiamo parlando né di breve né di lungo. Ragionevole ha un significato diverso, è stato scritto nella nostra Costituzione perché si è tenuto conto, quando si è pensato all’articolo 111 della Costituzione, che occorreva non dire processo breve in tempi rapidi, come sarebbe comunque auspicabile che avvenisse, ma di processo ragionevole in ragione di quelle che sono le necessità di un accertamento all’interno di un processo. Che, per essere giusto, deve avere le sue regole, i suoi tempi che non devono mai essere tali da sforare quel concetto di carattere generale. Ma perché il processo non può essere eterno? Perché non è una conquista di civiltà un’affermazione come quella da lei fatta giorni fa pubblicamente? Perché arriva un momento oltre il quale non si può andare. Questo vale per le vittime e vale per gli imputati, perché entrambi non sono oggetti contrapposti sul punto della ragionevole durata del processo. Entrambi hanno interessi da punti di vista diversi a che il processo venga celebrato in tempi ragionevoli. Vale per lo scopo del processo penale. Perché si fa un processo penale? Lai ha detto qualche giorno fa che il processo penale si fa per condannare. Il processo penale si fa per accertare se esiste o non esiste una responsabilità in ragione di una determinata imputazione. Però è vero che se nel processo vi è una condanna, a questa condanna deve seguire una sanzione, altrimenti non avrebbe senso processare senza sanzione. E allora, signor ministro, c’è un altro articolo, il 27 della Costituzione, che stabilisce che la pena non è un mezzo di semplice afflizione ma un mezzo per tentare di recuperare il reo, una volta affermata la sua responsabilità con una sentenza passata in giudicato. E allora la durata irragionevole del processo, o peggio la durata eterna del processo che lei vuole introdurre, che ha introdotto e che noi vorremmo impedire che entrasse in funzione, è in contrasto anche con questo principio elementare. Vale per le modalità del processo nel quale, quando ci sono le prove dichiarative, quando si sentono i testimoni, quando si sentono gli imputati, quando si sentono le persone offese, la ricostruzione dei fatti è già un qualcosa di difficilissimo. Non è mai il fatto, ma la ricostruzione del fatto. Ebbene, più passa il tempo più quella ricostruzione è difficile, se non impossibile, perché magari scompaiono i protagonisti di quel processo che sono in grado di dire qualcosa in merito a questo. E allora concludo rivolgendomi non più a lei ma ai giuristi, agli avvocati ed alle persone che in questi giorni hanno modo di ascoltarci nell’ambito di questa bella iniziativa creata per tentare di ostacolare un passo indietro nella civiltà del diritto. Noi avvocati penalisti siamo nati intorno ai principi dello stato di diritto, ci siamo battuti, eccome se ci siamo battuti, affinché i principi del giusto processo entrassero anche nella nostra Costituzione, non bastandoci l’equo processo della Convenzione. Qualche giorno fa ho avuto modo di ascoltare un autorevole collega e professore, Vittorio Manes, dire amaramente che lo stato di diritto sta morendo. Avrei voluto dire “No, non è vero”, ma purtroppo il mio pensiero è uguale a quello del professor Manes. Ebbene, noi dobbiamo impedire che lo stato di diritto muoia, che il giusto processo muoia, quindi non soltanto noi ma tutti quanti si devono mobilitare affinché questo evento dannoso non si verifichi. Auguriamoci tutti che il 1 gennaio del 2020 si possa festeggiare l’entrata del nuovo anno non appendendo un fiocco nero di lutto alle nostre toghe, ma tornando a sperare nell’affermazione dei principi dello stato di diritto.

Fonte. L’opinione

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