Anno: XXV - Numero 72    
Venerdì 26 Aprile 2024 ore 13:00
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Conte supera l'ostacolo Mes alla Camera

Ma il vero avvertimento arriva da Pd e Iv sul Recovery plan. Assenze in Forza Italia

Conte supera l'ostacolo Mes alla Camera

Si scrive Mes, ma si legge Recovery Fund. A Montecitorio passa la risoluzione della maggioranza sulla riforma del Mes “bancario” che conferisce mandato pieno al premier Giuseppe Conte in vista del Consiglio Europeo di domani, salvando la faccia dell’Italia in Europa e il futuro (se non altro prossimo) del governo. Con 314 sì, che scendono a 297 sul punto preciso del Mes: votano in dissenso 13 grillini, 3 ex di quel partito, mentre Forza Italia si limita all’uscita dall’aula di Renato Brunetta e Renata Polverini, ma conta ben 14 assenti e tre deputati in missione su 91. Ma gli interventi – da Italia Viva al Pd, da M5S a Fi – sono già proiettati sull’utilizzo dei 209 miliardi di euro l’anno prossimo. Sarà quello il “momento storico” ed è la partita di cui tutti vogliono fare parte e su cui nessuno farà sconti. A partire dai Dem, stufi della gestione protagonista di Conte e consapevoli della posta in gioco, per cui il capogruppo Graziano Delrio lo strattona sulla task force: “Sia umile come Papa Francesco. Ascolti parti sociali ed enti locali, no a commissariare il Parlamento”. Mentre il prossimo punto dell’agenda Pd-M5S sarà la revisione “radicale” del Patto di Stabilità. La risoluzione giallorossa si vota per parti separate: il grosso passa con 314 sì e 239 no, 9 astenuti. Ma sul punto preciso che impegna il governo “a finalizzare l’accordo politico raggiunto all’eurogruppo e all’ordine del giorno dell’eurosummit sulla riforma del trattato del Mes” i consensi scendono a 297 con 256 voti contrari e 7 astenuti. Tra i no ci sono sei Cinquestelle, che parlano in dissenso uno dopo l’altro – Andrea Colletti, Fabio Bernardini, Francesco Forciniti, Pino Cabras, Alvise Maniero, Mara Lapia – per chiarire che non si tratta di una sfiducia a Conte (secondo il richiamo all’ordine usato da Luigi Di Maio e Vito Crimi) ma di un “voto di coerenza”. Colletti, anzi, avverte il premier: “Storicamente i congiurati sono i commensali…”. Mentre Lapia, protagonista tra i banchi di un battibecco con la collega Gilda Sportiello prontamente sedato dal ministro D’Incà, tuona: “Col sì portate in Italia una bomba a orologeria”. Fanno poi sapere di aver votato contro anche Andrea Vallascas e Raphael Raduzzi, che accusa: “E’ stata una Caporetto, Crimi si dimetta”. No anche da parte di tre ex grillini, ora nel Misto: Antonio Zennano, Raffaele Trano, Lorenzo Fioramonti.Lo scontro interno ai Cinquestelle è tutt’altro che placato, alimentato anche dalle parole sferzanti di Giorgia Meloni: “Può essere il più grande Vaffa-day di tutti i tempi”. E nonostante i tentativi di tenere tutto fatti prima da Filippo Scera e poi dal capogruppo Davide Crippa, che per placare l’ala anti-europeista dell’elettorato promette “un nuovo grande obiettivo: la revisione del Patto di Stabilità”. Chiariscono i vertici: “Questo non è un voto per attivare il Mes e nemmeno per ratificare la riforma, su cui si esprimerà l’intero Parlamento”. Insomma, tutto ancora da giocare. Ma parte della fronda interna non si è lasciata convincere.

Forza Italia tiene o, come dice l’ala “governista”, vive la quiete prima della tempesta. Maria Stella Gelmini annuncia il voto contrario voluto da Silvio Berlusconi, ma avvisa Salvini e Meloni: “Bene il centrodestra unito, ma Fi non si fa dettare la linea dal governo o dagli alleati”. E sul Mes sanitario i berlusconiani, a differenza di Lega e FdI, voteranno sì, perché la Sanità ha bisogno di risorse in un modo o nell’altro. Lo hanno già ribadito Antonio Tajani e il fedelissimo del Cavaliere Valentino Valentini. Segno che sui 37 miliardi per la Sanità si giocherà il prossimo round. Ma ce ne saranno altri: il Mes definitivo dovrà tornare in aula, poi ci sarà la legge di Bilancio, il nuovo probabile scostamento di gennaio. Ogni fazione affila le armi. Intanto, però, il dissenso è contenuto. Grazie anche alla mossa di Salvini che ha convinto Giovanni Toti a virare i suoi (tutti fuoriusciti da Fi) per il sì: lo annuncia in aula Maurizio Lupi un po’ acrobaticamente, dopo le aperture al sì di Gaetano Quagliariello e Paolo Romani.

A smarcarsi è Renato Brunetta, che però ha preventivamente ricucito con Berlusconi: “Lo ringrazio per l’onore di parlare in dissenso, un’attestazione di fiducia che penso di aver meritato in 26 anni di militanza leale”. Si duole che abbia “prevalso lo spirito di parte, schieramento e propaganda sullo spirito di unità. Così si indebolisce il Paese, è un gioco a somma negativa. Questo no non sarà in mio nome”. Più laconica Polverini: “Non faccio passi indietro sul sogno europeo, fa parte della storia di Fi”. Il gruppo azzurro fa però record di assenza: 14 deputati, più tre in missione (tra cui Mara Carfagna, ammalata). Non ci sono tra gli altri Michela Brambilla e Antonio Angelucci, che però frequentano pochissimo il palazzo; Marta Fascina, compagna di Berlusconi con lui in Provenza. Alcuni sono in quarantena da covid, altri malati un assente giustificato per funerale. Una nota ufficiale derubrica le assenze a “personali e non politiche”, e per fugare i sospetti uno dopo l’altro gli assenti fanno professione di lealtà. Tranne Marzia Ferraioli che fa sapere che avrebbe fatto la stessa scelta di Brunetta. Defezioni, in ogni caso, non determinanti. E che probabilmente non hanno infastidito troppo il Cavaliere, che dopo aver accontentato gli alleati non intende tirare oltre la corda.

Da qui in avanti non faranno sconti neppure i renziani, che oggi hanno votato “convintamente” la risoluzione. Matteo Renzi (che interverrà stasera in Senato) è bravissimo a tenere la tensione alle stelle fino all’ultimo minuto (minacce di dimissioni delle sue ministre comprese) per poi non consumare lo strappo fino in fondo. Il suo plenipotenziario Ettore Rosato, però, ha rimbeccato il premier che aveva invocato “la massima coesione delle forze di maggioranza per battersi in Europa” e lo “spirito costruttivo” nel confronto “per non disperdere le energie”. Grazie per averci spiegato cos’è la maggioranza, ha detto Rosato, ed ecco cos’è la leadership: “Non la fortunata coincidenza di essere nel posto giusto al momento giusto bensì la capacità di tenere insieme le persone, e in questo momento anche maggioranza e opposizione”. Perché una somma che equivale a 8 leggi di Bilancio “non si può decidere in uno stanzino, approvando veloce veloce 60 progetti, commissariando ministeri e Pubblica Amministrazione”. E’ l’antipasto della partita che giocherà Matteo Renzi per disintegrare il progetto di task force di Palazzo Chigi.

E, un po’ a sorpresa, trova sponda nell’intervento del capogruppo Dem Graziano Delrio che, con toni pacati e contenuti imperativi, invita Conte a prendere esempio dall’”umiltà” di Papa Francesco, in preghiera “perché il Paese soffre molto”. E dunque sul Recovery “vogliamo che lei chiami imprese, sindacati, Regioni, Comuni e che costruisca con loro il grande piano di ripartenza dell’Italia” (l’ex ministro stava per chiamarlo “piano di rinascita” di infausta memoria, ma si accorge del lapsus e si corregge in tempo). Il messaggio del Pd al capo di governo arriva forte e chiaro: non ci impicchiamo alle tecnicalità, ma “non si commissaria il Parlamento”. Ieri (mezzo) scoglio è stato superato, ma il mare rimane agitato.

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