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Agevolazioni prima casa per i contribuenti trasferiti all’estero

L’articolo 2 del D.L. 13 giugno 2023 n. 69[1], entrato in vigore il 14 giugno 2023[2], ha modificato la disciplina delle agevolazioni “prima casa” invocabili da chi si è trasferito all’estero.

Agevolazioni prima casa per i contribuenti trasferiti all’estero

Prima di tale modifica normativa, le agevolazioni potevano essere invocate in due distinte fattispecie che si giustificavano nell’ottica del particolare valore sociale riconosciuto al lavoro prestato all’estero ed all’emigrazione[3].

In particolare, i benefici fiscali potevano essere invocati dal contribuente trasferito all’estero per motivi di lavoro subordinato[4] nell’acquisto di un’abitazione situata nel comune in cui il proprio datore di lavoro, non necessariamente munito della qualifica di imprenditore, avesse la propria sede o esercitasse la propria attività.

Inoltre, le dette agevolazioni potevano essere richieste anche dal cittadino italiano emigrato all’estero[5] all’atto di acquisto di un immobile abitativo situato in qualunque luogo del territorio italiano.

In entrambi i casi l’accesso alle agevolazioni non era subordinato all’impegno del contribuente a fissare la propria residenza nel comune ove era ubicato l’immobile[6] (e ciò neanche quando fosse rientrato stabilmente in Italia), ma al solo rispetto delle condizioni di cui alle lettere b) e c), comunemente definite della “impossidenza” e della “novità”[7].

Tale normativa è stata giudicata discriminatoria in quanto poneva gli italiani in una posizione privilegiata rispetto a tutti gli altri cittadini dei paesi membri dell’UE, che, oltre agli altri requisiti, avrebbero dovuto rispettare anche quello della residenza. Per tale motivo, l’art. 2 del DL 69/2023 ha inciso sulla disciplina delle due fattispecie agevolative sopra menzionate, sopprimendo la seconda, riguardante il cittadino italiano emigrato all’estero, e modificando sensibilmente la prima.

In particolare, oggi, il requisito della residenza non deve essere rispettato dal contribuente, qualunque sia la sua cittadinanza, che si sia trasferito all’estero per motivi di lavoro, purché lo stesso abbia risieduto in Italia per almeno cinque anni o, per un arco temporale della medesima durata minima, vi abbia svolto la propria attività. Quanto al primo requisito soggettivo, nulla essendo mutato sotto il profilo lessicale, possono ritenersi ancora valide le conclusioni cui era giunta l’Amministrazione finanziaria nell’interpretazione della pregressa fattispecie agevolativa: in altre parole, il contribuente deve essere un lavoratore subordinato alle dipendenze di un soggetto non necessariamente munito della qualifica di imprenditore. E forse potrebbero mutuarsi gli orientamenti interpretativi espressi con riferimento ad analoghe fattispecie anche per il secondo requisito soggettivo richiesto dalla norma in commento. Pertanto, il soggetto trasferito all’estero potrà accedere alle agevolazioni “prima casa” a condizione che, per almeno cinque anni, abbia avuto in Italia la propria residenza anagrafica[8] o vi abbia svolto una qualunque attività, anche non retribuita e, quindi, anche di studio, di volontariato o sportiva[9].

Altra fondamentale differenza rispetto alla precedente disciplina riguarda l’ubicazione dell’immobile agevolato. Non è più possibile che esso si trovi in qualunque luogo dello Stato italiano o nel comune in cui ha sede o esercita l’attività il datore di lavoro del contribuente, ma occorre che vi sia un legame più stretto tra l’acquirente e il territorio in cui si trova l’immobile abitativo. Pertanto, al ricorrere delle citate condizioni, potrà essere acquistato con le agevolazioni “prima casa” solo l’immobile che si trovi nel comune di nascita del contribuente o, alternativamente, nel luogo in cui il medesimo, prima del trasferimento all’estero, avesse la propria residenza o svolgesse la propria attività.

Il DL 69/2023 nulla dispone con riferimento alle dichiarazioni che devono essere rese dal contribuente trasferito all’estero per accedere alle agevolazioni[10], ma è preferibile che la clausola da inserire in atto sia specifica, con indicazione precisa del luogo in cui il contribuente abbia risieduto o abbia svolto la propria attività e l’oggetto di essa[11].

In precedenza si era eccezionalmente ammessa[12] la possibilità di stipulare un atto integrativo-rettificativo col quale il richiedente le agevolazioni, in ragione del perdurare dei propri impegni all’estero, dichiarasse di possedere il requisito di iscrizione all’AIRE, in luogo dell’impegno – assunto nell’atto di acquisto – a trasferire la propria residenza nel comune di ubicazione dell’immobile acquistato. Riterrei che, pur essendo mutato il quadro normativo di riferimento, tale facoltà possa essere riconosciuta anche al soggetto trasferito all’estero per motivi di lavoro che acquisti nel proprio comune di nascita o in quello di residenza o di svolgimento della propria attività prima dell’espatrio.

di Fabrizio De Pasquale

 

[1] Che letteralmente dispone:  “Art. 2

Imposta di registro sulla prima casa. Procedura di infrazione 2014/4075

  1. Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, alla tariffa allegata al medesimo decreto, parte prima, all’articolo 1, nota II-bis), comma 1, lettera a), le parole: «se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano» sono sostituite dalle seguenti: «se l’acquirente si è trasferito all’estero per ragioni di lavoro e abbia risieduto o svolto la propria attività in Italia per almeno cinque anni, nel comune di nascita o in quello in cui aveva la residenza o svolgeva la propria attività prima del trasferimento».

[…]”.

La norma si è resa necessaria per interrompere le procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano per violazione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dal momento che la disciplina preesistente possedeva caratteri discriminatori in quanto, come si dirà più oltre nel testo, riconosceva al cittadino italiano un trattamento preferenziale nell’accesso alle agevolazioni “prima casa” non spettante invece ai cittadini di altri Stati membri.

[2] Giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, come disposto dall’art. 27 del DL 69/2023.

[3] Cfr. Circolare ministeriale del 2 marzo 1994 n. 1, cap. I, par. 2, in cui si legge: “Gli acquisti effettuati da soggetti trasferiti all’estero per motivi di lavoro e dal cittadino italiano emigrato all’estero hanno una diversa regolamentazione, in considerazione del particolare valore sociale riconosciuto al lavoro prestato all’estero ed all’emigrazione.”.

[4] Cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 29 maggio 2013 n. 18/E, par. 3.11.3 e, prima ancora, Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 1° marzo 2001 n. 19/E, par. 2.1.2., in cui si legge: “Al riguardo si  precisa che l’ipotesi in argomento è riferibile al solo rapporto di lavoro subordinato – con esclusione di qualsiasi altra tipologia di rapporto – e  che lo stesso può essere instaurato anche con un soggetto che non necessariamente rivesta la qualifica di imprenditore.”.

[5] Se astrattamente non occorreva che il contribuente fosse iscritto all’AIRE (anagrafe degli italiani residenti all’estero), era comunque necessario provare la residenza all’estero. A tal fine, l’Agenzia delle Entrate (cfr. Circolare del 29 maggio 2013 n. 18/E, par. 3.10, che richiamava la Circolare del 12 agosto 2005 n. 38/E), richiedeva che (in alternativa all’esibizione del certificato di iscrizione all’AIRE) il contribuente rendesse nell’atto di acquisto apposita dichiarazione sostituiva ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000.

[6] In ragione di ciò l’Agenzia delle Entrate (Risposta ad Interpello dell’Agenzia delle Entrate n.751 del 28 ottobre 2021, pubblicata in Cnn Notizie n.201 del 29 ottobre 2021) riteneva che non fosse di ostacolo al godimento delle agevolazioni l’intenzione del contribuente di concedere in comodato l’abitazione acquistata.

[7] Cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 12 agosto 2005 n. 38/E, par. 1, in cui si legge: “In sintesi, per fruire dell’agevolazione, devono ricorrere le condizioni di cui alle lettere b) (assenza di altri diritti reali vantati su immobili ubicati nello stesso comune) e c)  (novità nel godimento dell’agevolazione) della nota II-bis, mentre, considerato lo status di emigrato, non si richiede la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile.”.

Secondo la dottrina notarile il cittadino italiano emigrato all’estero, non avendo l’obbligo di rispettare il requisito di cui alla lettera a) e potendo acquistare su tutto il territorio nazionale, poteva beneficiare delle agevolazioni anche qualora fosse già proprietario di un’abitazione sita in altro comune italiano acquistata senza benefici “prima casa”. In particolare, tale posizione è contenuta nel quesito Cnn 44-2016/T, chiamato a pronunciarsi su un caso in cui l’emigrato aveva la proprietà di due case, di cui la prima acquistata con le agevolazioni, e voleva acquistarne una terza, richiedendo le agevolazioni ed impegnandosi ad alienare la prima entro l’anno successivo.

[8] Non essendo sufficiente la semplice dimora, analogamente a quanto pacificamente affermato in materia di agevolazioni “prima casa” con residenza da acquisire.

Inoltre, può ritenersi che non occorra che il contribuente sia stato “stanziale”, ossia con la residenza fissata in un unico luogo durante tutto il quinquennio richiesto dalla norma in commento, potendo anche averla spostata una o più volte purché nei confini del territorio italiano.

[9] Il tenore letterale della norma, che adopera il termine generico “attività” senza ulteriori specificazioni, potrebbe giustificare un’interpretazione estensiva analoga a quella compiuta dall’Agenzia delle Entrate in materia di agevolazioni “prima casa” invocate per l’acquisto di un immobile situato nel comune ove si svolge l’attività dell’acquirente (cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 29 maggio 2013 n. 18/E, par. 3.11.3).

Possibilista in ordine ad un’interpretazione estensiva del dettato normativo è Annarita Lomonaco in “Novità sulle agevolazioni prima casa per i soggetti trasferiti all’estero”, pubblicato in Cnn Notizie n. 110 del 14 giugno 2023, ancorché la medesima non ometta di segnalare che, nella relazione illustrativa allo schema del decreto legge, si dia rilievo prevalente all’attività lavorativa in senso proprio che fonda il legame tra l’Italia e il “migrante”.

Inoltre, anche in tale caso, può opinarsi che non occorra che il contribuente abbia svolto la medesima attività per tutto l’arco temporale richiesto dalla norma in commento, potendo anche cumularne due o più.

[10] È opinione assolutamente prevalente in giurisprudenza che l’accesso alle agevolazioni sia subordinato all’espressa richiesta in atto del contribuente ed alla sua dichiarazione di possedere i requisiti per usufruirne, anche ai fini di un successivo controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. In materia, cfr., per tutte, la già citata pronuncia della Cassazione del 4 novembre 2020 n. 24542, in cui si legge: “In tema d’imposta di registro, sebbene ciò non sia espressamente richiesto dal D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa, parte prima, art. 1, nota II bis, allegata, l’agevolazione per la prima casa è subordinata alla dichiarazione del contribuente, nell’atto di acquisto, di svolgere la propria attività lavorativa nel comune dove è ubicato l’immobile (requisito alternativo a quello del trasferimento della residenza anagrafica nello stesso entro diciotto mesi), poiché le agevolazioni sono generalmente condizionate ad una dichiarazione di volontà dell’avente diritto di avvalersene e, peraltro, l’Amministrazione finanziaria deve poter verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio provvisoriamente riconosciuto (Cass., Sez. 5, n. 6501 del 16 marzo 2018). Ne consegue che decade dall’agevolazione il contribuente che non abbia indicato, nell’atto notarile, di volere utilizzare l’abitazione in luogo di lavoro diverso dal comune di residenza (Cass., Sez. 6-5, n. 13850 del 31 maggio 2017).”.

[11] Anche in ragione del divieto di esibire certificazioni anagrafiche alla PA di cui all’art. 40 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, è da escludere che all’atto notarile debbano allegarsi documenti o certificati comprovanti il possesso dei requisiti richiesti dalla norma in commento per accedere alle relative agevolazioni. Occorre, però, precisare che l’Amministrazione finanziaria (analogamente al caso del cittadino italiano emigrato all’estero esaminato nella Circolare del 29 maggio 2013 n. 18/E, par. 3.10, in precedenza menzionata), potrebbe ritenere non sufficiente una semplice dichiarazione da parte del contribuente, ma pretendere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi dell’art. 46 DPR 445/2000 attestante il possesso dei detti requisiti.

[12] Cfr. Risposta ad Interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 333 del 10 settembre 2020, pubblicata in Cnn Notizie n.165 dell’11 settembre 2020. Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria aveva richiesto che l’atto rettificativo venisse stipulato entro 18 mesi dall’acquisto e venisse prodotto per la registrazione presso lo stesso ufficio in cui era stato registrato l’atto da rettificare.

 

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