Anno: XXVI - Numero 244    
Venerdì 19 Dicembre 2025 ore 14:00
Resta aggiornato:

Home » Tenere fermi 13,5 miliardi per un Ponte che non si farà mai.

Tenere fermi 13,5 miliardi per un Ponte che non si farà mai.

E dimenticare tutto il resto Senza una nuova gara e senza la riscrittura dell’intero percorso autorizzativo, la realizzazione del Ponte sullo Stretto nella legislatura in corso appare improbabile.

Tenere fermi 13,5 miliardi per un Ponte che non si farà mai.

Nel novembre 2025 la Corte dei conti ha bloccato l’iter di realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, dichiarando illegittima la delibera CIPESS n. 41/2025 che approvava il progetto definitivo e impegnava una spesa pubblica pari a 13,5 miliardi di euro. A questa decisione è seguita una seconda bocciatura, relativa all’atto aggiuntivo al contratto tra i ministeri competenti e la società Stretto di Messina S.p.A., necessario per l’avvio dei lavori.

Le motivazioni della Corte non riguardano l’opportunità politica dell’opera, ma profili di legittimità giuridica e contabile che, allo stato attuale, impediscono l’apertura dei cantieri. Nel complesso, la Corte afferma che l’iter seguito non rispetta le norme europee e nazionali vigenti e individua tre elementi centrali.

Il primo riguarda la mancata istruttoria adeguata sulla Direttiva Habitat 92/43/CEE. In presenza di impatti su habitat protetti, il diritto europeo consente deroghe solo dimostrando l’assenza di alternative e la sussistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Secondo la Corte, tale dimostrazione è carente e non supportata da un’analisi comparativa solida.

Il secondo punto concerne la modifica sostanziale del contratto senza una nuova gara pubblica, in violazione della direttiva appalti 2014/24/UE. Il progetto, inizialmente configurato come project financing con rischio in capo ai privati, è stato trasformato in un’opera interamente finanziata dallo Stato, mantenendo lo stesso contraente. La Corte ritiene che questo passaggio renda necessaria una nuova procedura di gara.

Il terzo elemento riguarda il piano economico-finanziario, giudicato lacunoso e contraddittorio: le stime di traffico non sono sufficientemente motivate, i costi risultano sottostimati e manca il parere obbligatorio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti.

Le risorse destinate al Ponte non sono state cancellate, ma risultano di fatto congelate. La legge di bilancio per il 2026 ancora in discussione ha recepito lo stallo dell’opera spostando, notizia di ieri, 780 milioni di euro, inizialmente previsti per il 2025, al 2033. Questo slittamento segnala di fatto l’impossibilità di avviare i lavori nel breve periodo.

Senza una nuova gara e senza la riscrittura dell’intero percorso autorizzativo, la realizzazione del Ponte nella legislatura in corso appare improbabile. I 13,5 miliardi preventivati come spesa per la realizzazione dell’opera restano dunque una posta rilevante nel bilancio dello Stato, ma attualmente non producono effetti economici né occupazionali. Sono fermi.

Secondo l’Analisi Costi-Benefici della Stretto di Messina S.p.A., il moltiplicatore economico dell’opera è stimato in 1,71. Nei sette anni di cantiere l’impatto complessivo sarebbe di circa 23 miliardi di euro; nei tredici anni successivi, i benefici operativi sono stimati in circa 2 miliardi l’anno. A vent’anni l’impatto complessivo raggiungerebbe 49 miliardi; a quaranta anni, nello scenario più ottimistico, circa 85 miliardi. I posti di lavoro stimati sono 36.700, concentrati prevalentemente nella fase di costruzione. Terminato il cantiere, l’effetto occupazionale si ridurrebbe drasticamente.

Le stime appena elencate sono state giudicate dalla Corte dei conti insufficientemente fondate dal punto di vista tecnico. Dunque, non solo 13,5 miliardi risultano di fatto inutilizzati, ma non è nemmeno possibile stimare con precisione il ritorno economico dell’investimento, poiché i calcoli a supporto del progetto sono stati giudicati dalla Corte dei conti insufficientemente probanti.

E allora, nell’attesa, riprendiamo un confronto di policy (che si era già fatto su questa testata) che riguarda l’uso alternativo di quelle risorse pubbliche. In quel confronto si richiamava come studi OCSE e INAPP mostrano che investimenti in nidi e tempo pieno scolastico hanno moltiplicatori medi più elevati, intorno a 2,5 rispetto all’1,71 stimato per il Ponte, e producono effetti strutturali – cioè, stabili – sul mercato del lavoro, in particolare su quello femminile.

Un piano decennale volto ad aumentare l’offerta dei servizi educativi per la prima infanzia e del tempo pieno scolastico in Sicilia, portandola dall’attuale copertura di circa il 10% a un livello ipotetico del 50%, richiederebbe una spesa stimata tra 8 e 9 miliardi di euro, inferiore al costo complessivo del Ponte sullo Stretto.

Secondo le valutazioni OCSE, l’impatto economico cumulato di investimenti in nidi e tempo pieno scolastico supera quello delle grandi opere infrastrutturali già nel medio periodo, soprattutto per l’effetto diretto sull’occupazione femminile.

Le analisi più recenti sul mercato del lavoro italiano mostrano infatti una crescita solo parziale dell’occupazione delle donne, divari interni molto ampi, e una concentrazione dei posti di lavoro guadagnati nelle fasce d’età più mature, non accompagnata da una riduzione delle diseguaglianze strutturali. Restano in larga misura escluse le madri nella fascia 25–45 anni, in particolare nel Mezzogiorno, dove la carenza di servizi educativi e di conciliazione continua a rappresentare il principale vincolo alla partecipazione femminile.

In questa prospettiva, torna utile osservare il caso spagnolo che mostra un percorso di segno opposto: investimenti mirati nei servizi educativi e nelle politiche di conciliazione hanno inciso negli ultimi anni in modo significativo sull’occupazione femminile nelle fasce d’età centrali, contribuendo in maniera rilevante all’aumento complessivo dell’occupazione e alla dinamica di crescita complessiva registrata negli ultimi anni nel Paese.

In un contesto come quello siciliano, caratterizzato da uno dei più bassi tassi di occupazione femminile d’Europa, l’espansione dei servizi educativi per l’infanzia agirebbe dunque su una leva macroeconomica decisiva, con effetti stabili sul PIL regionale e nazionale e una diffusione territoriale molto più ampia rispetto a quella generata da investimenti concentrati nel settore delle costruzioni.

La decisione della Corte dei conti non chiude definitivamente il progetto del Ponte, ma ne sospende l’attuazione finché non vengano risolte le criticità rilevate. Nel frattempo, una quota rilevante di risorse pubbliche resta inutilizzata. La questione che si apre è di natura politica: mantenere immobilizzati 13,5 miliardi in attesa di un’opera complessa e incerta, oppure riorientare una parte delle risorse verso investimenti con ritorni economici e sociali più elevati, stabili e duraturi, ampiamente documentati, soprattutto nei territori caratterizzati da forti divari educativi e occupazionali.

Capisco che rendere povere ed economicamente dipendenti le donne è un gioco di potere che ha funzionato per millenni e funziona ancora bene nel nostro Sud, ma ci si potrebbe impegnare per un cambiamento necessario. La Corte dei conti ha posto un vincolo giuridico. La scelta sulle priorità di spesa resta, ora, interamente nelle mani della politica.

di  Mila Spicola su Huffpost

© Riproduzione riservata

Iscriviti alla newsletter!Ricevi gli aggiornamenti settimanali delle notizie più importanti tra cui: articoli, video, eventi, corsi di formazione e libri inerenti la tua professione.

ISCRIVITI

Altre Notizie della sezione

Archivio sezione

Commenti


×

Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.