I ministri non parlamentari si alzano gli stipendi.
Chi sono gli 8 fortunati Un emendamento dei relatori alla legge di bilancio in discussione alla Camera propone di equiparare il loro trattamento economico a quello di deputati e senatori. Il costo complessivo per le casse statali? Più o meno 1,3 milioni. Rispunta anche la norma anti-Renzi.
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Ritocco al rialzo per gli stipendi di ministri, vice e sottosegretari che non siedono in Parlamento. Un emendamento dei relatori alla legge di bilancio in discussione alla Camera propone di equiparare il loro trattamento economico a quello di deputati e senatori. La norma, il cui costo dovrebbe aggirarsi attorno a 1,3 milioni di euro, prova a sanare questo gap. Tuttavia, per ricevere la diaria mensile da circa 3.500 euro lordi, i componenti dell’esecutivo non parlamentari, devono dimostrare di essere stati per almeno 15 giorni nella capitale. Solo tra i ministri potrebbe interessare un terzo del governo. Non sono tra i banchi di una delle due Camere Andrea Abodi, titolare dello Sport, Marina Calderone (Lavoro), Guido Crosetto (Difesa), Alessandro Giuli (Cultura), Alessandra Locatelli ( Disabilità), Giuseppe Valditara (Istruzione), Orazio Schillaci (Sanità) e Matteo Piantedosi (Interno).
“Mentre il Paese lotta per arrivare a fine mese, il governo decide di destinare risorse pubbliche all’aumento degli stipendi dei ministri. Una scelta che lascia increduli e appare ancora più grave alla luce di una manovra di bilancio che non investe in sanità, scuola, lavoro e casa”, ha commentato il capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera, Ubaldo Pagano, “Il governo fa finta di non capire: noi chiediamo un miglioramento delle condizioni e degli stipendi degli italiani, non di quelli dei ministri e dei membri del partito della presidente Meloni”. Se confermato “sarebbe vergognoso” aggiunge la vicecapogruppo del M5S alla Camera Vittoria Baldino. Tra i possibili beneficiari della norma è intervenuto il ministro della Sanità, Orazio Schillaci: “. Nella mia vita non ho mai fatto nessuna scelta per motivi economici. Lo dico chiaramente e continuerò a fare scelte non per motivi economici ma per fare ciò che mi piace fare”.
Il testo poi vieta ai componenti del governo di svolgere incarichi retribuiti “in favore di soggetti pubblici o privati non aventi sede legale o operativa nell’Unione europea”. Estesa anche a deputati, senatori e presidente di Regione è di fatto la riproposizione della cosiddetta norma anti-Renzi, inizialmente considerata inammissibile e spinta da Fratelli d’Italia. L’idea di FdI era di mettere un tetto di 50mila euro lordi l’anno a quanto possono guadagnare da “attività di qualsiasi tipo svolte nei confronti di soggetti non aventi sede legale nel territorio italiano”. Una mannaia per il portafoglio dell’ex premier, ricercato conferenziere dai Paesi del Golfo alla Cina passando per gli Stati europei, con compensi che hanno fatto lievitare i redditi su cifre a sei zeri. Le conferenze pagate al leader di Italia Viva in Arabia Saudita e i legami con Mohammed bin Salman hanno messo da tempo l’ex presidente del Consiglio sotto il faro di quanti gli contestano di fare il lobbista per capitali estere. Renzi ovviamente non l’ha presa benissimo. Secondo fonti di Iv “l’emendamento proposto contro Matteo Renzi, dal vago sapore sovietico, dà il segno della aggressione ad personam che addirittura il presidente del Senato consigliava di evitare. Si legifera per la prima volta nella storia fiscale italiana l’esproprio ad personam, con l’obbligo di versare il 100% del fatturato allo Stato, ovviamente a condizione che il fatturato sia quello di Matteo Renzi. Una norma pensata per colpire uno dei leader dell’opposizione dà anche il senso di una deriva sudamericana delle istituzioni. Il primo partito di maggioranza legifera ad personam con un subemendamento contro uno dei leader dell’opposizione e lo fa violando tutte le consuetudini fiscali. Non si era mai vista – sottolineano le fonti del partito guidato da Renzi – norma ad personam della maggioranza contro un singolo esponente dell’opposizione. Stupisce che le forze di maggioranza che si definiscono liberali possano votare il primo esproprio proletario della storia fiscale italiana”.
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