Il debito pubblico e la spesa sociale per l’Istat
L’Istat ha pubblicato il rapporto annuale 2025 che attraverso 240 pagine offre una miniera di dati sui cambiamenti economici, demografici e sociali dell’anno appena trascorso.
In evidenza

Riproduco i capitoli 1.4.1 e 1.4.2 sul debito pubblico e la spesa per il sociale.
«1.4.1 L’andamento dei conti pubblici
Nel 2024, in Italia il saldo del bilancio pubblico in rapporto al Pil segna un miglioramento significativo, con una riduzione del disavanzo di 3,8 punti percentuali, da 7,2 per cento nel 2023 a 3,4 per cento. Tra le altre principali economie dell’UEM, la Spagna registra una riduzione marginale del deficit, dal 3,5 al 3,2 per cento del Pil, e Francia e Germania un lieve peggioramento, rispettivamente dal 5,4 al 5,8 per cento e dal 2,5 al 2,8 per cento.
Il saldo di bilancio al netto della spesa per interessi (saldo primario) in Italia è tornato in positivo dopo quattro anni, con un miglioramento di quattro punti percentuali tra il 2023 e il 2024, dal -3,6 al +0,4 per cento del Pil. Gli altri principali paesi dell’Unione continuano invece a registrare disavanzi primari, anche in questo caso in miglioramento in Spagna (dal -1,1 al -0,7 per cento del Pil) e in leggero peggioramento sia in Francia (dal -3,5 al -3,7) sia in Germania (dal -1,6 al -1,7).
Per quanto riguarda il livello del debito pubblico, nel 2024 questo supera la soglia del 60 per cento del Pil stabilita dai criteri di Maastricht in nove dei 20 paesi dell’UEM, e in cinque di questi il 100 per cento, tra i quali Italia, Francia e Spagna. L’incidenza più elevata si registra in Grecia, con il 153,6 per cento, seguita dall’Italia con un rapporto del 135,3 per cento.
Nei principali paesi dell’Unione il rapporto debito/Pil risulta nel 2024 in aumento di 3,2 punti percentuali in Francia e 0,7 punti in Italia, mentre si riduce marginalmente in Germania (4 decimi di punto) e in misura più accentuata in Spagna (-3,3 punti percentuali) (Tavola 1.4).
Tali dinamiche riflettono gli effetti delle condizioni macroeconomiche (cfr. par. 1.1.2) e dei diversi orientamenti delle politiche fiscali (cfr. approfondimento “Il debito pubblico e la nuova governance europea”).
In Italia, nel 2024 il miglioramento dell’indebitamento netto (oltre 78 miliardi di euro in totale) è dovuto per 37 miliardi alla crescita delle entrate (+3,7 per cento) e per quasi 42 miliardi alla contrazione delle uscite (-3,6 per cento, al 50,6 per cento del Pil), principalmente per il ridimensionamento della spesa per i crediti di imposta del Superbonus, che nel 2023 aveva superato gli 80 miliardi; l’incidenza della spesa per interessi è cresciuta di 0,2 punti percentuali, al 3,9 per cento del Pil.
Nel complesso, l’andamento del gettito tributario e contributivo ha comportato un incremento di oltre un punto percentuale della pressione fiscale, che nel 2024 raggiunge il 42,6 per cento del Pil. L’incremento delle entrate è dovuto all’aumento di 21 miliardi (+6,6 per cento) del gettito delle imposte dirette (Irpef e Ires), di 18 miliardi (+6,1 per cento) delle imposte indirette (in particolare l’Iva), e dei contributi sociali per oltre 11 miliardi. A ciò si aggiungono un buon andamento delle imposte sostitutive sui redditi da capitale e sul risparmio gestito e gli oneri generali del sistema elettrico e del gas, tornati pienamente attivi dopo la sospensione degli anni precedenti. Sono invece diminuite per 18 miliardi (0,8 punti percentuali di Pil) le entrate in conto capitale, in gran parte per la riduzione, rispetto al 2023, dell’imputazione dei contributi agli investimenti dell’Unione europea per il finanziamento del PNRR.
La riduzione delle uscite nel 2024 riflette principalmente il ridimensionamento dei crediti fiscali connessi alle agevolazioni edilizie relative al Superbonus13, ma anche la riduzione delle principali misure di supporto a famiglie e imprese poste in essere durante il periodo della crisi energetica, come il bonus sociale per elettricità e gas, e i crediti di imposta per calmierare i costi dei prodotti energetici e carburanti. In sensibile crescita invece gli investimenti pubblici, da 53 miliardi nel 2022, a 68 nel 2023 e fino a 77 nel 2024 (+14,3 per cento), soprattutto per l’effetto dell’utilizzo delle risorse connesse al PNRR. Si osserva inoltre una crescita del 5,1 per cento della spesa per prestazioni sociali in denaro (fino a oltre 446 miliardi nel 2024), che riflette l’aumento della spesa per pensioni e rendite, in prevalenza per l’indicizzazione ai prezzi, e della spesa per altre prestazioni sociali in denaro (cfr. par. 1.4.2).
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13 I crediti fiscali connessi alle agevolazioni edilizie relative al Superbonus nel conto delle amministrazioni pubbliche sono contabilizzati per l’intero importo maturato nell’anno di formazione del credito invece che negli anni del suo effettivo utilizzo in compensazione fiscale da parte dei beneficiari. Nel complesso, negli anni di operatività del Superbonus (2020-2024) e del Bonus facciate (2020-2022), la spesa complessiva per queste agevolazioni supera i 180 miliardi.
In sintesi, il 2024 ha segnato il ritorno alla normalità nella gestione della finanza pubblica dopo quattro anni di deficit di bilancio estremamente elevati, ma con un impatto sul rapporto debito/Pil che nel periodo 2021-2023 è stato compensato dalla crescita nominale del Pil, pure eccezionale, anche grazie all’inflazione (Figura 1.14).
Per quanto riguarda le prospettive dei conti pubblici nel nostro Paese, il quadro tendenziale del Documento di Finanza Pubblica 2025 (DFP) pubblicato lo scorso aprile delinea, considerando anche la parte finale dell’attuazione degli investimenti e delle riforme previsti dal PNRR, un lieve peggioramento del rapporto debito/Pil sino al 2026, soprattutto per effetto delle compensazioni di imposta relative al Superbonus, seguito da un miglioramento dal 2027, quando gran parte degli effetti di cassa legati a tali agevolazioni verranno meno. Nei prossimi anni il progressivo esaurirsi delle misure straordinarie di contrasto della crisi si rifletterà nel graduale rientro del deficit. Tuttavia, l’esercizio previsionale è soggetto ad ampi margini di incertezza connessi all’evoluzione dello scenario internazionale e delle recenti tensioni commerciali e geopolitiche.
IL DEBITO PUBBLICO E LA NUOVA GOVERNANCE EUROPEA
Il 30 aprile 2024 è entrata in vigore la riforma della governance economica europea (Regolamenti (UE) 2024/1263 e 2024/1264; Direttiva (UE) 2024/1265), con l’obiettivo di rafforzare la sostenibilità del debito, garantendo al tempo stesso maggiori margini per gli interventi anticiclici e le riforme strutturali a sostegno alla crescita. Persegue pertanto un approccio di lungo periodo con l’obiettivo di portare il rapporto tra il debito e il Pil su una traiettoria discendente o mantenerlo su livelli prudenti, con percorsi di aggiustamento fiscale differenziati per tenere conto dei rischi di sostenibilità e delle situazioni economiche e fiscali dei singoli paesi.
La nuova governance si basa su un nuovo indicatore operativo, la spesa primaria netta (cfr. Glossario), la cui crescita diventa il riferimento per la programmazione delle politiche. Questo indicatore è definito come la spesa pubblica al netto della spesa per interessi, dell’effetto delle misure discrezionali sul lato delle entrate, della spesa per i programmi dell’Unione interamente finanziata dai fondi dell’Unione, della spesa nazionale per il cofinanziamento di programmi finanziati dall’Unione, della componente ciclica derivante dai sussidi di disoccupazione, delle misure una tantum e di altre misure temporanee.
I paesi con un livello del debito superiore al 60 per cento o un deficit superiore al 3 per cento del Pil devono definire il proprio percorso di rientro dagli squilibri di finanza pubblica in modo coerente, con una traiettoria di riferimento della spesa primaria netta calcolata dalla Commissione europea sulla base della metodologia concordata per l’analisi di sostenibilità del debito pubblico (Debt Sustainability Analysis – DSA) nell’ipotesi di un percorso di aggiustamento della durata di quattro anni, che può venire esteso a sette a fronte di impegni all’attuazione di riforme e investimenti ambiziosi.
La traiettoria di riferimento, diversa da paese a paese, è stata trasmessa dalla Commissione europea a ciascuno Stato membro il 21 giugno 2024. Per l’Italia, la Francia e la Spagna, che hanno scelto di estendere il periodo di aggiustamento a sette anni, i tassi medi annui di crescita della spesa primaria netta nel periodo 2025-2031 indicati dalla Commissione europea sono pari, rispettivamente, a 1,5, 1,6 e 2,8 per cento.
Il principale documento di programmazione economica nel nuovo quadro normativo europeo è rappresentato dal Piano Strutturale di Bilancio di medio termine (PSB), dove i governi descrivono il percorso di aggiustamento fiscale coerente con la traiettoria di riferimento della spesa primaria netta su un orizzonte corrispondente alla durata della legislatura nazionale.
La revisione del Piano può avvenire solo in presenza di eventi specifici, come la nomina di un nuovo Governo, e sono previste clausole di sospensione in caso di grave recessione economica e del verificarsi di circostanze eccezionali, sia a livello europeo sia a livello nazionale. Dopo la fase della programmazione, il monitoraggio viene effettuato annualmente con la valutazione da parte delle istituzioni europee di una Relazione annuale presentata da ciascuno Stato membro entro il 30 aprile. Lo scostamento della spesa netta rispetto al percorso di aggiustamento previsto nel Piano viene monitorato mediante un conto di controllo, che registra le deviazioni cumulate.
Nel PSB trasmesso alla Commissione europea il 15 ottobre 2024, l’Italia si è impegnata a perseguire l’aggiustamento in 7 anni (fino al 2031), con un percorso di crescita della spesa primaria netta coerente con la traiettoria di riferimento indicata dalla Commissione europea (1,5 per cento medio annuo nel periodo 2025-2031), con impegni precisi fino al 2029. L’estensione a 7 anni del periodo di aggiustamento, al 2031, è giustificata dalla presenza nel Piano di nuovi interventi, ulteriori rispetto alle misure del PNRR, relativi principalmente a cinque aree di riforma (giustizia, pubblica amministrazione, fisco, ambiente imprenditoriale, spesa pubblica) nonché delle misure per rispondere alle Raccomandazioni specifiche per Paese e per affrontare le priorità comuni dell’Unione.
In particolare, dopo una riduzione dell’1,9 per cento stimata per il 2024, il Governo si è impegnato a contenere la crescita della spesa primaria netta al di sotto di quanto indicato nella traiettoria di riferimento della Commissione europea nel 2025 (1,3 per cento contro 1,6 indicato dalla Commissione), consentendo di portare l’indebitamento netto al di sotto del 3 per cento nel 2026 (2,8 per cento del Pil nel 2026 da 3,3 nel 2025) e di uscire dalla Procedura per Deficit Eccessivo nel 2027. Il saldo primario strutturale, corretto cioè per gli effetti del ciclo economico, raggiungerebbe il pareggio nel 2025 e registrerebbe avanzi crescenti negli anni successivi, fino a 3,2 punti percentuali di Pil nel 2031 (Tavola 1).
I dati preliminari indicano che nel 2024 il debito pubblico è risultato pari al 135,3 per cento del Pil, mezzo punto percentuale in meno di quanto stimato nel PSB (135,8 per cento) e 3,3 punti rispetto alle stime di aprile 2024 della Commissione europea (138,6). Questa diminuzione rispetto alle previsioni del livello del debito è dovuta a un saldo primario migliore per circa 3 decimi di punto di Pil (a sua volta spiegato da entrate superiori alle attese per 4 decimi di punto, che hanno più che compensato 2 decimi in più delle spese primarie), a fronte di una sostanziale invarianza rispetto alle previsioni del Pil nominale (il denominatore del rapporto), per la compensazione tra minore crescita reale (lo 0,7 anziché l’1,0 per cento) e inflazione superiore a quella prevista (il 2,1 invece dell’1,9 per cento).
La crescita del rapporto debito/Pil nel 2024, pari a 7 decimi di punto, può essere scomposta in diverse determinanti (cfr. “scomposizione della crescita del debito” nel Glossario): il saldo primario, che riflette gli effetti delle politiche adottate dal Governo insieme all’azione degli stabilizzatori automatici; una componente dovuta a fattori esterni al controllo diretto del Governo, il cosiddetto snowball effect, che dipende dal differenziale tra crescita economica e costo medio del debito e dallo stock di debito accumulato nel tempo; l’aggiustamento stock-flussi che contiene, oltre a effetti di contabilizzazione esogeni, eventuali dismissioni/acquisizioni e l’utilizzo delle disponibilità liquide del Dipartimento del Tesoro (MEF). Distinguendo il contributo di queste determinanti alla dinamica del rapporto debito/Pil nel 2024 in Italia e nelle altre tre maggiori economie UE, si osserva come l’azione del Governo solo nel nostro Paese abbia contribuito alla riduzione del rapporto debito/Pil (per 0,4 punti percentuali) (Figura 1).
La politica fiscale ha invece agito in senso marcatamente espansivo in Francia, fornendo un contributo alla crescita del debito/Pil di ben 4 punti percentuali e, seppure in misura minore, in Germania (+1,1 punti percentuali). Il confronto evidenzia altresì come i fattori esterni (snowball effect) solo nel nostro Paese non abbiano agito nel senso del contenimento della dinamica del rapporto debito/Pil, con un contributo leggermente positivo (+0,15 punti percentuali), che è invece negativo in tutti gli altri paesi considerati, in particolare in Spagna (-3,5 punti percentuali) e Francia (-1,4). Infine, in Italia il contributo più ampio (quasi 1 punto percentuale) alla crescita del rapporto debito/Pil è stato apportato dall’aggiustamento stock-flussi, nonostante l’utilizzo delle disponibilità liquide del Dipartimento del Tesoro per 12,3 miliardi (equivalenti a un contributo negativo per 6 decimi di punto).
1.4.2 La spesa pubblica per le prestazioni sociali
La componente di spesa pubblica destinata all’erogazione di prestazioni sociali (in denaro e in natura), per proteggere le famiglie da rischi, eventi o bisogni inclusi nella sfera della protezione sociale, nel 2024 ha totalizzato 587,5 miliardi, pari al 59,3 per cento di tutta la spesa corrente pubblica sostenuta nell’anno e al 26,8 per cento del Pil. Il sistema di protezione sociale copre tre grandi aree di intervento: previdenza (68,2 per cento del totale della spesa), sanità (22,1 per cento) e assistenza (9,7 per cento).
Le prestazioni di tipo previdenziale, erogate esclusivamente in denaro, nel 2024 hanno comportato una spesa di 400,4 miliardi di euro, di cui 336,0 (l’83,9 per cento) per pensioni e rendite. Le altre voci sono costituite dagli assegni familiari (20,7 miliardi), dalle liquidazioni di fine rapporto di lavoro (18,6 miliardi), dall’indennità di disoccupazione (14,0 miliardi), dalle indennità di malattia, infortuni e maternità (8,3 miliardi) e, infine, da altri assegni e sussidi (1,6 miliardi) e dagli assegni di integrazione salariale (1,3 miliardi).
Le prestazioni sanitarie sono erogate esclusivamente in natura e, nel 2024, hanno comportato una spesa di 130,1 miliardi di euro, di cui 86,3 miliardi per l’erogazione diretta ai cittadini di servizi sanitari da parte di soggetti pubblici (di cui 47,1 miliardi per la fornitura di servizi ospedalieri e 39,2 per altri servizi sanitari), 7,8 miliardi per l’acquisto di farmaci e 7,3 miliardi per assistenza medico-generica.
Le prestazioni di assistenza sociale erogate nel 2024 ammontano a 57,1 miliardi di euro, di cui 45,7 in denaro e 11,4 in natura. Tra le prestazioni in denaro, le principali sono rappresentate dalle prestazioni agli invalidi civili, ai non vedenti e ai non udenti (22,5 miliardi) e dalla voce (in passato residuale) relativa ad altri assegni e sussidi (16,8 miliardi), che comprende anche le prestazioni di sostegno al reddito. Le prestazioni in natura sono per 7,3 miliardi acquistate da soggetti privati e per 4,1 miliardi servizi sociali offerti direttamente dalle strutture pubbliche.
Con riferimento alla tipologia di rischio, evento o bisogno protetto, la vecchiaia assorbe la maggior parte della spesa per prestazioni sociali (51,2 per cento), seguita da salute (22,7 per cento), superstiti (8,9 per cento), invalidità (5,7 per cento), famiglia (5,4 per cento), disoccupazione (3,5 per cento), altra esclusione sociale (2,5 per cento) e alloggio (0,1 per cento).
Tra le prestazioni erogate in natura, i servizi per le famiglie con figli, per gli anziani e per i disabili sono fondamentali per garantire il benessere e l’inclusione sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione. La spesa per tali servizi in Italia è al di sotto della media europea e viene gestita dalle amministrazioni comunali, sia in forma singola sia associata tra comuni limitrofi, fornendo servizi direttamente oppure avvalendosi di imprese private e del settore non profit.
La spesa dei Comuni singoli o associati per gli interventi e i servizi sociali e socio-educativi, calcolata al netto delle quote a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e della spesa rimborsata dalle famiglie sotto forma di contribuzione, nel 2022 ammontava complessivamente a 8,9 miliardi, corrispondenti a una spesa pro capite pari a 150 euro l’anno, con valori molto inferiori in Campania (71), Basilicata (68) e Calabria (38), e sopra i 200 euro pro capite nelle regioni a statuto speciale (tranne la Sicilia) e in Emilia-Romagna (Figura 1.15).
Considerando la spesa sociale media per abitante per il welfare nei diversi Ambiti Territoriali Sociali (ATS), che rappresentano la dimensione di riferimento per la programmazione e la gestione degli interventi, alla sperequazione nella spesa media pro capite nel 2022 tra Mezzogiorno (100 euro), Centro (165 euro) e Nord (181 euro), si accompagnano forti differenze anche all’interno delle regioni.»
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