Le piazze per Gaza e l’illusione della pace
Dietro la retorica pacifista, prevale il bisogno di identità e contrapposizione.
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Francesca Albanese e i suoi sostenitori sembrano avere bisogno che la guerra continui. Non per cinismo, ma perché senza il conflitto perderebbero visibilità, voce, identità. È una dinamica antica: certi movimenti esistono solo se hanno un nemico contro cui scagliarsi.
Ecco, ora quale scusa s’inventano? Oppure, possono ammettere che soni manifestazioni puramente contro il governo e per fare casino
Le manifestazioni “per Gaza” erano già discutibili prima della tregua. Ora, che la situazione è mutata e la tensione sembra allentarsi, quelle stesse piazze appaiono fuori tempo, svuotate di senso, quasi fastidiose nella loro insistenza. Perché protestare ancora, quando si dovrebbe sostenere ogni passo verso la fine delle ostilità?
Ciò che emerge con chiarezza è il carattere autoreferenziale di molte di queste mobilitazioni. Non si tratta più di chiedere la pace, ma di ribadire un’identità politica e morale. Il messaggio non è “fermiamo la guerra”, ma “guardate quanto siamo migliori”. L’avversario – vero o presunto – diventa il Governo italiano, che in questo scenario internazionale ha un ruolo marginale ma utile: quello di bersaglio simbolico.
La difesa dei diritti umani, in questo contesto, passa in secondo piano. Se la spinta fosse davvero umanitaria, le piazze dovrebbero riempirsi anche per altre tragedie del mondo: Sudan, Yemen, Afghanistan, Ucraina. Ma non accade. Perché? Perché Gaza non è solo una causa: è un simbolo politico, una bandiera sotto cui si ricompone l’eterno fronte dell’antioccidentalismo.
Da manifestazioni per la pace si è passati a cortei contro “l’Occidente”, in cui Israele e Stati Uniti rappresentano la colpa originaria, e l’Italia diventa colpevole per riflesso. È una narrazione che non serve ai gazawi, né alla pace: serve a chi la alimenta, per continuare a esistere politicamente.
C’è poi un’ulteriore distorsione: il coinvolgimento dei sindacati. Che ruolo hanno, davvero, le sigle italiane negli accordi su Gaza? Quale legame esiste tra un conflitto mediorientale e le condizioni dei lavoratori italiani? Forse nessuno. Ma nel dubbio, anche loro sfilano.
Eppure, sarebbe più utile occuparsi dei problemi concreti dei dipendenti italiani, dei rinnovi contrattuali, dei salari reali, dei tagli nei servizi pubblici. Invece, si preferisce l’arena della protesta simbolica: più visibile, più semplice, più “pura”.
Alla fine, resta la sensazione che queste manifestazioni non cerchino davvero la pace, ma la conferma di sé. E che dietro i cori e gli slogan non ci sia un progetto politico o umanitario, ma solo la necessità di mantenere acceso un fuoco che dà calore a chi lo accende, non a chi ne avrebbe davvero bisogno.
Ciò che emerge con chiarezza è il carattere autoreferenziale di molte di queste mobilitazioni. Le piazze per Gaza e l’illusione della pace Dietro la retorica pacifista, prevale il bisogno di identità e contrapposizione.
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