Il voto che muore
L’astensionismo non è apatia ma sfiducia strutturale nella democrazia.
In evidenza
C’è un dettaglio che colpisce più di ogni altro nel discorso di Sergio Mattarella sull’astensionismo: non tanto l’allarme, quanto il silenzio che lo ha seguito. Nessuna reazione vera, nessuna autocritica, nessuna urgenza. Come se il presidente avesse parlato di un fenomeno naturale, una mareggiata inevitabile, e non del progressivo svuotamento della democrazia rappresentativa. Eppure il dato è brutale: meno di un elettore su due va a votare. Non è disaffezione passeggera, è un cambio di fase.
La politica continua a raccontarsela come se l’astensione fosse colpa dei cittadini pigri, distratti, ingrati. Ma la verità è più scomoda: milioni di persone non votano perché non credono più che il voto serva. Non perché siano contro la democrazia, ma perché ne vedono ogni giorno l’impotenza. Hanno interiorizzato l’idea che le decisioni fondamentali si prendano altrove: nei mercati, negli algoritmi, nelle cancellerie internazionali, nei vincoli economici presentati come leggi di natura. Se il risultato non cambia, perché partecipare al rito?
La fine delle ideologie non è stata sostituita da nuove visioni, ma da un vuoto. La politica ha smesso di promettere mondi possibili e si è ridotta a gestione dell’esistente, quando va bene, o a propaganda urlata quando va male. In questo spazio desertificato sono cresciuti leader narcisistici, partiti personali, parlamenti di nominati. Il cittadino non sceglie più rappresentanti, ratifica liste. E quando tutto appare già deciso, l’astensione diventa una scelta razionale.
Mani Pulite ha rappresentato uno spartiacque culturale: la delegittimazione totale della politica come luogo intrinsecamente corrotto. Da allora il sospetto è diventato senso comune, l’impegno pubblico una macchia da evitare. Le élite si sono ritirate, lasciando campo libero a chi aveva meno da perdere. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una classe dirigente debole, continuamente esposta al disprezzo, che a sua volta alimenta la sfiducia in un circolo vizioso.
Il bipolarismo muscolare ha fatto il resto, trasformando la competizione in una guerra identitaria tra tifoserie. Chi non si riconosce negli estremismi resta orfano. Chi ha votato “contro” più che “per”, prima o poi si stanca. Le promesse disattese, giustificate in nome del realismo e dei vincoli, scavano un solco definitivo tra parole e fatti.
In questo contesto, l’idea che la democrazia sia lenta, inefficace, superata trova terreno fertile. Gli autocrati avanzano perché promettono decisione e semplicità, mentre le democrazie appaiono confuse e inconcludenti. Ma il prezzo di questa scorciatoia è altissimo.
L’allarme di Mattarella non è nostalgia istituzionale, è l’ultimo avviso. Se la politica non restituisce senso, potere e dignità al voto, l’astensione diventerà la norma. E allora sì, il vero miracolo non sarà riformare la democrazia, ma convincere ancora qualcuno che valga la pena difenderla con una scheda in mano.
Altre Notizie della sezione
La notte della manovra e il prezzo della tenuta.
19 Dicembre 2025Una notte di telefonate, pressioni e retromarce sulla manovra rivela fragilità politiche che vanno oltre il singolo provvedimento: mentre la premier è all’estero, i conti tengono, ma la coesione della maggioranza mostra crepe che preoccupano.
La violenza non è un centro sociale
18 Dicembre 2025Dalla Stampa ai No Tav, l’alibi politico.
Milioni spesi, anni persi, udienze accumulate
17 Dicembre 2025Alla fine, resta un’assoluzione e il conto salato dei ritardi cronici.
