Si poteva osare di più!
Ma è un buon inizio.
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Nel week end è stato diffuso il testo del regolamento in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali di diritto privato di cui al d.lgs. 30.06.1994, n. 509, e al d.lgs. 10.02.1995, n. 103, di depositario e di conflitti di interesse, di informazione dei confronti degli iscritti, nonché sugli obblighi relativamente alla governance degli investimenti e alla gestione del rischio.
Non resta ora che attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
La politica, o almeno quella di maggioranza, ha commentato il decreto investimenti affermando: “Si poteva osare di più! Ma è un buon inizio”.
Questo richiama l’art. 7, n. 3, che così recita: “Gli enti investono le proprie risorse in misura prevalente in strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati. L’investimento in attività diverse dagli strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati, ivi inclusi gli investimenti in azioni o quote di OICR alternativi e gli investimenti immobiliari è adeguatamente motivato dall’ente nel documento sulla politica di investimento”.
Con ciò il Governo sollecita le Casse di previdenza ad investire, in misura prevalente, nell’economia reale italiana.
Si poteva fare di più?
Certamente sì, come per esempio prevedere la garanzia da parte dello Stato sul capitale così investito, evitando così di traslare il rischio mercati sull’iscritto!
Ma tant’è!
Per il resto il decreto investimenti colma con enorme ritardo di 15 anni, situazioni di palese conflitto di interessi che noi abbiamo denunciato da molte lune attraverso 14 quaderni di osservazioni.
Milano finanza nella sua news, in questi giorni ha scritto:
“Casse di previdenza, scure del Tesoro sugli incarichi dei vertici che gestiscono oltre 100 miliardi di investimenti
Con una mano il Mef chiede, con l’altra toglie. Gli oltre 124 miliardi di euro di attivi delle casse previdenziali hanno sempre fatto gola ai vari governi e ai ministri dell’Economia che nel tempo si sono succeduti alla scrivania che fu di Quintino Sella. Negli anni dal Tesoro hanno più volte bussato alla porta dei ricchi enti che erogano le pensioni a professionisti, commercianti e altre categorie per impiegare parte dei contributi degli iscritti e dalle loro gestioni negli investimenti a regia statale. Così i patrimoni delle Casse (erano 65 miliardi nel 2013) sono stati a gran voce richiesti, anche ultimamente, per il lancio del Fondo Nazionale Strategico di Cdp e per i fondi di F2i (nel 2024 per la rete Fibercop). Ma in passato hanno finanziato la raccolta del Fondo Italiano d’Investimento, sono serviti per la privatizzazione di Fincantieri (Inarcassa) e tanto altro ancora. Ora il Mef vuole che gli enti si mobilitino in via prioritaria per le infrastrutture italiane. Lo scorso anno c’era addirittura il progetto di far entrare le Casse in Cdp Equity, la cabina di regia degli investimenti miliardari di sistema di Via Goito. E giustamente sul tavolo gli enti hanno sempre messo la richiesta di maggiore coinvolgimento nella governance dei veicoli che impiegano i loro denari, per controllarne il rendimento. Si tratta pur sempre di risorse che servono a garantire le pensioni future dei propri associati. Ora se da una parte chiama e chiede, dall’altra il Tesoro, d’intesa con il Ministero del Lavoro, toglie. Con il nuovo decreto sulle politiche di investimento delle casse previdenziali che, bollinato dal Consiglio di Stato, sta per sbarcare dopo 14 anni in Gazzetta Ufficiale, il Mef e il ministero di Marina Elvira Calderone stanno per lanciare una bomba sulla governance delle società oggetto degli investimenti degli enti. Ai due dicasteri compete in tandem la vigilanza sulle Casse. L’articolo 10 sulle incompatibilità spiega che «lo svolgimento di funzioni di amministrazione e controllo dell’ente è incompatibile con lo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo» di una serie di soggetti. Quali? Ecco l’elenco: la sgr convenzionata che ha l’incarico di effettuare gli investimenti dei singoli patrimoni, le sgr dei fondi che investono i denari delle casse o della banca in cui è depositato il patrimonio degli enti, altre società o partecipate dei gruppi a cui appartengono i gestori sopra citati, ma soprattutto «altre società nelle quali l’ente investa in forma diretta o indiretta», a eccezione di quelle immobiliari. Insomma, se non si tratta di mattone, presidenti, consiglieri di amministrazione, sindaci e – secondo alcune interpretazioni restrittive – anche i direttori generali degli enti dovrebbero fare un passo indietro dai board delle società oggetto dei loro investimenti. Così anche dai board delle società in cui investono in forma indiretta, dunque magari attraverso fondi alla cui raccolta le Casse hanno partecipato. È una scure non da poco, perché in questi anni la prassi ha voluto che, proprio per controllare da vicino la riuscita dei propri investimenti, il presidente o il dg dell’ente prendessero parte alla governance delle società target. A un primo screening il dispositivo riguarderà Alberto Oliveti, appena rieletto con maggioranza bulgara alla presidenza dell’Enpam (medici), che siede nei cda delle quotate Banco Bpm e Garofalo Healthcare. Oltretutto, proprio per «svolgere un ruolo attivo e responsabile nel mercato finanziario, a tutela dei propri iscritti» Oliveti, che è anche numero uno dell’Adepp (la confidustria di settore), ha dato vita all’associazione Assodire, – con Inarcassa e Cassa Forense. Sempre per l’Enpam, ma nella gestione separata dell’Emapi, Bernardino Lattarulo fa parte del board di Banca del Fucino, dove l’ente ha il 7,7% del capitale e dove fino a qualche mese fa indicava Domenico Pimpinella, ex dg Enpam. L’Enpaia, l’ente che invece eroga le pensioni ai lavoratori dell’agricoltura, esprime il proprio presidente, Giorgio Piazza, nel board del Fondo Italiano, oppure il consigliere Massimo Fiorio e il vicepresidente del comitato amministratore della gestione separata degli agrotecnici, Sergio Retini nel cda di Granarolo, colosso alimentare di cui l’Enpaia possiede il 4,5%. Il dg Roberto Diacetti rappresenta poi sempre l’Enpaia nel board della quotata Masi Agricola, campione nazionale del vino di cui l’ente ha oltre il 9%. Ancora: fino a qualche mese fa le Casse hanno battagliato per essere maggiormente rappresentate nel cda di F2i, fondo infrastrutturale nel cui azionariato ci sono anche Cdp, le fondazioni, Intesa, Unicredit e investitori internazionali. Partecipando copiosamente alla raccolta, hanno chiesto e ottenuto la vicepresidenza della sgr andata all’ex numero uno di Cassa Forense, Valter Militi. Solo a fine aprile Militi ha passato il testimone alla presidenza dell’ente alla collega Maria Annunziata: se avesse mantenuto il doppio ruolo, in base alle regole entranti, sarebbe stato interessato dal nuovo regolamento. Inarcassa è grande azionista di Italgas e Fincantieri, ma al momento nei loro board esprime consiglieri indipendenti, non soggetti ai vincoli di incompatibilità. Chi invece probabilmente sarà interessato dall’articolo 10 sono i consiglieri dell’Enasarco che siedono in Miria Group, la sgr in house che per la cassa degli agenti di commercio effettua gli investimenti finanziari. Del board fa parte anche il dg Antonio Buonfiglio che in caso di interpretazione restrittiva del decreto sarà costretto al passo indietro.” (Fonte: Milanofinanza.it).
All’art. 3, n. 3, si legge che “Nel caso di gestione indiretta, gli enti selezionano i gestori nel rispetto della disciplina recata dal d.lgs. 31.03.2023, n. 36”.
Come abbiamo già scritto, già lo avrebbero dovuto fare e, per chi non lo avesse fatto, si porranno problemi di responsabilità civile, penale e contabile.
All’art. 9 è certificato poi che “gli amministratori degli enti, nell’adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge dallo Statuto, perseguono esclusivamente l’interesse collettivo degli iscritti e dei beneficiari delle prestazioni istituzionali con le incompatibilità evidenziate al successivo art. 10.”
L’applicazione di tutte queste regole avrebbe da tempo stoppato il fenomeno che io ho definitivo “poltronesofà”.
Invito tutti gli iscritti alle Casse di previdenza a leggere attentamente il decreto.
“C’è un convitato di pietra nei salotti buoni della finanza, un tema di cui si parla poco e male, perché troppo scivoloso e troppo centrale per il businnes dei grandi gestori: il diritto di voto incorporato nelle azioni detenute dai fondi di investimento. Un potere enorme, esercitato in nome degli investitori, ma dal quale gli stessi investitori sono di fatto esclusi. Un poter che vale, eccome, anche in termini economici”. (Fonte: Alfoso Scarano, in “La rendita invisibile parassitaria” in appunti di Stefano Folli, appunti@substack.com del 21 luglio 2025).
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