Anno: XXVI - Numero 211    
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Sanità, la crescita che non c’è

Gimbe: dal 2023 al 2026 persi 17,5 miliardi.

Sanità, la crescita che non c’è

L’apparente aumento delle risorse destinate alla sanità pubblica nella Manovra 2026 nasconde, in realtà, un definanziamento strutturale che dura da anni. È quanto emerge dall’audizione della Fondazione Gimbe davanti alle Commissioni Bilancio riunite di Senato e Camera, in cui il presidente Nino Cartabellotta ha presentato un’analisi approfondita dei numeri del Fondo Sanitario Nazionale (FSN) e delle prospettive del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), accompagnata da proposte di rifinanziamento e riforma.

Secondo i dati illustrati, tra il 2023 e il 2026 la differenza cumulata tra il livello di finanziamento effettivo del FSN e quello che si sarebbe raggiunto mantenendo stabile la quota del 6,3% del PIL del 2022 è di 17,5 miliardi di euro. Tradotto: la sanità pubblica ha perso in quattro anni risorse equivalenti a una legge di bilancio. Nel frattempo, per cittadini e Regioni aumentano le liste d’attesa, cresce la spesa privata e si aggravano le diseguaglianze di accesso ai servizi.

Cartabellotta ha spiegato che “il Disegno di Legge sulla Manovra 2026 è molto lontano dalle necessità della sanità pubblica: le risorse stanziate non bastano a risollevare un SSN in grave affanno, sono insufficienti per coprire tutte le misure previste e mancano all’appello priorità cruciali per la tenuta del sistema”. L’audizione della Fondazione ha sottolineato come l’aumento in valore assoluto del Fondo Sanitario venga spesso sbandierato come segnale positivo, ma in realtà mascheri una riduzione progressiva della quota di PIL destinata alla salute, segno di un disinvestimento costante da oltre un decennio.

La Fondazione ha inoltre evidenziato che il titolo dell’articolo 63 del Disegno di Legge, “Rifinanziamento del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard”, risulta “fuorviante”, poiché non indica gli importi effettivi del FSN aggiornati a seguito dello stanziamento delle nuove risorse. Per trasparenza, GIMBE propone di rinominarlo semplicemente “Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” e di riportare per ciascun anno l’importo rideterminato.

I dati presentati delineano un quadro preciso: il cosiddetto “boom” di risorse si concentra solo nel 2026, quando il Fondo Sanitario Nazionale crescerà di 6,6 miliardi di euro (+4,8%) rispetto al 2025. Di questi, tuttavia, solo 2,4 miliardi derivano dalla nuova manovra, mentre 4,2 miliardi erano già stati stanziati con precedenti leggi di bilancio, in gran parte già destinati ai rinnovi contrattuali del personale sanitario. Negli anni successivi, la crescita è pressoché piatta: 995 milioni (+0,7%) nel 2027 e 867 milioni (+0,6%) nel 2028, un ritmo insufficiente a compensare l’inflazione e l’aumento dei costi del sistema.

Rapportando il FSN al prodotto interno lordo, la tendenza appare ancora più evidente. La quota destinata alla sanità passa dal 6,04% del PIL nel 2025 al 6,16% nel 2026, per poi tornare a scendere al 6,05% nel 2027 e precipitare al 5,93% nel 2028. Un calo costante che segna, secondo GIMBE, “il ritorno ai minimi storici”, dopo il picco raggiunto durante gli anni della pandemia, quando i finanziamenti straordinari e la contrazione del PIL avevano temporaneamente fatto apparire più alta la quota sanitaria. “Se le cifre assolute riescono ad abbagliare l’opinione pubblica – ha commentato Cartabellotta – cambiando prospettiva emergono i tagli invisibili nel quadriennio 2023-2026”.

Nel confronto tra risorse assegnate e fabbisogno reale la distanza si allarga ulteriormente. Il Documento Programmatico di Finanza Pubblica stima una spesa sanitaria tra il 6,4% e il 6,5% del PIL nel periodo 2025-2028, mentre la dotazione effettiva si ferma intorno al 6%. In valore assoluto, il gap tra spesa attesa e risorse disponibili è di 6,8 miliardi nel 2026, 7,6 miliardi nel 2027 e 10,7 miliardi nel 2028. Secondo la Fondazione, si tratta di una forbice che le Regioni non potranno compensare con risorse proprie senza compromettere i servizi o aumentare le imposte locali. “Così facendo – ha osservato Cartabellotta – lo Stato viene meno alla sua competenza esclusiva di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, ignorando i più recenti orientamenti della Corte Costituzionale sulla spesa costituzionalmente necessaria”.

Un altro elemento di criticità riguarda la natura delle risorse stanziate. GIMBE ha evidenziato che oltre 430 milioni di euro destinati a misure per il 2026 provengono da fondi già allocati con la Legge di Bilancio 2025 per obiettivi di interesse nazionale. In sostanza, una parte significativa delle nuove misure è finanziata con risorse già impegnate, un segnale – secondo la Fondazione – che “il rilancio delle politiche del personale resta di fatto sulla carta”.

La frammentazione delle misure e degli investimenti rappresenta, per Gimbe, un altro limite strutturale della Manovra. “Le risorse vengono distribuite in modo da non scontentare nessuno – ha commentato Cartabellotta – ma senza una visione strategica in grado di orientare le scelte di politica sanitaria”. L’assenza di una programmazione di lungo periodo rischia, secondo la Fondazione, di aggravare ulteriormente la crisi del sistema, già messo alla prova da carenza di personale, liste d’attesa e crescente ricorso al settore privato.

Nel suo intervento, la Fondazione ha ribadito che per salvaguardare la sanità pubblica serve un rifinanziamento progressivo del FSN, legato a un percorso di riforme strutturali. “Aggiungere fondi senza riforme riduce il valore della spesa sanitaria – ha spiegato Cartabellotta – mentre introdurre riforme senza risorse aggiuntive genera solo scatole vuote, come accaduto con il Decreto Liste di Attesa e il Decreto Anziani”.

Tra le proposte avanzate figurano una tassa di scopo su prodotti nocivi alla salute (tabacco, alcol, gioco, bevande zuccherate), imposte su extraprofitti e redditi molto elevati, una revisione del perimetro dei Livelli Essenziali di Assistenza accompagnata da una riforma della sanità integrativa per rafforzare la spesa intermediata su prestazioni extra-LEA, e un piano nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze, con riallocazione delle risorse su servizi sottofinanziati o strategici per la prevenzione.

“La sostenibilità della sanità pubblica non è solo un problema di bilancio – ha concluso Cartabellotta – ma una questione di coesione sociale e di tenuta democratica. Oggi alla sanità pubblica non viene destinato ciò che serve, ma ciò che avanza. Senza un vero potenziamento del SSN, sostenuto da adeguate risorse e da riforme coraggiose, l’Italia rischia di assistere al declino irreversibile di un sistema che rappresenta uno dei pilastri fondamentali della Repubblica”.

 

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