Anno: XXVI - Numero 198    
Mercoledì 15 Ottobre 2025 ore 13:30
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La disfatta del “campo largo”.

Schlein e Conte affondano tra illusioni ideologiche e personalismi, mentre solo i “cacicchi” salvano il centrosinistra dal naufragio politico e dall’irrilevanza territoriale.

La disfatta del “campo largo”.

Giani e De Luca dimostrano che senza radicamento e pragmatismo il centrosinistra non esiste. Il duo Schlein–Conte si agita, ma non governa né convince.

Il centrosinistra italiano continua a camminare come un sonnambulo sull’orlo del precipizio, convinto di poter sopravvivere di slogan, selfie e post ideologici. Ma la realtà elettorale, impietosa, lo riporta ogni volta sulla terra: senza i “cacicchi”, i governatori di lungo corso radicati sul territorio, il Partito Democratico e i suoi alleati non vincerebbero neppure una gara di condominio.

L’ultimo turno elettorale è la cartina di tornasole di un inganno politico durato troppo. Elly Schlein e Giuseppe Conte, teorici di un “campo largo” che largo non è mai stato, hanno perso la loro scommessa. La prima perché crede che il consenso si costruisca con la purezza ideologica e la grammatica dei diritti, il secondo perché scambia l’opposizione per un talk show permanente. Il risultato è una coalizione sfilacciata, senza progetto né leadership, dove ognuno tira la corda finché non si spezza.

In Toscana, il “vecchio” Eugenio Giani — che Schlein e Conte avrebbero voluto archiviare — ha umiliato i due strateghi della sconfitta. Ha vinto migliorando il suo stesso risultato, nonostante gli ostacoli di una dirigenza nazionale convinta che l’esperienza amministrativa sia un difetto. Il paradosso è che il Pd si vergogna dei pochi che ancora sanno fare politica.

Sul fronte opposto, la Lega di Salvini affonda al 4,3%, ma è Giorgia Meloni a dettare la linea e a tenere saldo il governo. Nel centrodestra le differenze restano, ma il potere funziona da collante: sanno che divisi non si governa. Nel centrosinistra, invece, il potere è visto come un fastidio, una contaminazione, qualcosa da purificare con le dichiarazioni di principio.

Il Movimento 5 Stelle resta impantanato nella sua eterna adolescenza politica: Conte ha ripulito il partito da ogni dissenso, ma non ha conquistato nemmeno i suoi elettori. Alle regionali il M5S si conferma evanescente, senza radici, incapace di portare voti e di esprimere una classe dirigente. Quando non si riconoscono nel candidato, i “movimentisti” semplicemente restano a casa o, peggio, votano a destra. Un suicidio politico travestito da purezza morale.

Eppure, Schlein continua a inseguire l’alleanza impossibile. Il suo “campo largo” è diventato un campo minato, dove ogni passo produce uno scoppio interno: veti, distinguo, purismi e identitarismi da laboratorio. A forza di inseguire un’unità finta, la segretaria ha perso la bussola e la fiducia dei territori.

La lezione che arriva da Giani e, più ancora, da Vincenzo De Luca, è brutale: senza radicamento, senza amministratori capaci e senza una rete di potere reale, il centrosinistra è condannato alla marginalità. Lo “sceriffo di Salerno” lo ha capito da tempo e ha imposto la sua linea a un partito che lo aveva disprezzato. Schlein, dopo averlo commissariato, si è ritrovata costretta a firmare la resa, affidando la segreteria regionale al figlio del governatore pur di non perdere la Campania. Altro che rinnovamento: sopravvivenza.

De Luca e Giani, come un tempo i vecchi baroni di partito, rappresentano oggi l’unica forma di resilienza politica di un centrosinistra in decomposizione. Sono loro a garantire voti, consenso e continuità. Schlein può anche riempire i teatri e parlare di Palestina e clima, ma se non ha qualcuno che riempie le urne, la musica non cambia.

Intanto Renzi e Calenda giocano la loro partita personale, più interessati alla prossima intervista che a costruire un progetto. A sinistra di Schlein, AvS raccoglie consensi simbolici ma erode il PD dove più fa male: nei quartieri urbani e istruiti, un tempo roccaforti del riformismo.

Il centrosinistra non perde perché gli italiani siano tutti di destra: perde perché non ha più un centro, né una direzione. Ha abbandonato la concretezza del governo locale per inseguire battaglie planetarie. E mentre parla di “Europa sociale” e “resistenze globali”, nelle regioni e nei comuni la destra costruisce consenso, gestisce fondi, nomina dirigenti e plasma l’amministrazione.

L’Italia è piena di cacicchi, certo. Ma finché il Pd non tornerà a essere un partito capace di esprimerli e guidarli, resterà ostaggio dei tweet e dei veti incrociati. Schlein e Conte hanno perso la sfida non perché non abbiano idee, ma perché hanno scambiato la politica per un esercizio di identità. La destra governa perché vuole vincere. La sinistra discute perché ha paura di farlo.

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