Anno: XXVI - Numero 138    
Martedì 15 Luglio 2025 ore 13:45
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L'Ue metta la pistola sul tavolo con Trump, usiamo contro-dazi mirati

Intervista con Lorenzo Bini Smaghi ex consigliere della Bce, oggi presidente di SocGen.

L'Ue metta la pistola sul tavolo con Trump, usiamo contro-dazi mirati

“I dazi di Trump non sono credibili, non dobbiamo cercare di accontentarlo, tanto poi cambia idea. Il punto dolente è la tassa sulle big tech”. E poi l’Europa deve aprirsi ad altri mercati, “cominciamo col Mercosur e poi c’è l’Asia, ma con Pechino dobbiamo essere aggressivi, anche loro hanno messo barriere” “I dazi di Trump non sono credibili e noi non siamo stupidi. Mettiamo la pistola sul tavolo”. Lorenzo Bini Smaghi, economista, ex membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea e presidente di Société Generale, guarda alla “minaccia” delle tariffe commerciali e chiede all’Europa “chiarezza”: “Il punto dolente per Trump è la tassa sulle big tech, i nostri contro-dazi sono selettivi. Faranno male a loro, meno a noi”.

Presidente, la lettera di Trump parla chiaro: dazi al 30% per l’Europa. Qual è l’impatto sul mercato europeo?

Si tratta di una minaccia. I dazi al 30% sull’interscambio tra le due principali economie al mondo produrrebbero un effetto fortemente recessivo non solo per le due sponde dell’Atlantico, ma anche per l’economia globale. Non sono dunque credibili. Il mercato per ora non ci crede. È una tattica negoziale per farci credere che il risultato finale, del 10% o giù di lì, in fin dei conti non è così male.

Non lo sarebbe? Dovremmo opporci anche a un eventuale 10%?

Anche il 10% è una penalizzazione delle nostre esportazioni. L’impatto non sarebbe comunque positivo. Poi certo, se qualcuno vuole accettarlo faccia pure. Però, non credo che Trump si fermerà lì. Domani chiederà di più. Il grosso errore è pensare che il tycoon non abbia una strategia.

Sembra una trattativa infinita. Le chiedo come e se si può accontentare il presidente americano.

Il nostro obiettivo non dovrebbe essere quello di accontentare Trump, ma di fare i nostri interessi. Trump cerca di separare i tavoli negoziali, sul commercio, sulla tassazione e sulla difesa per ottenere accordi vantaggiosi su ciascuno di essi. Abbiamo accettato le richieste di aumentare le spese per la difesa, di escludere le multinazionali americane dall’accordo sulla tassazione minima globale, nella speranza che si sarebbe accontentato e in cambio abbiamo ricevuto la lettera sui dazi al 30%. La conclusione ragionevole è che non dobbiamo cercare di accontentarlo, tanto poi cambia idea. Anche perché è chiaro, come scritto nella lettera, che ci saranno altre richieste dopo i dazi.

Quali? Intende dire che questa non è solo una trattativa sui dazi?

Certo, ora parla di dazi, poi di barriere non tariffarie. Come i fertilizzanti, i prodotti geneticamente modificati, insomma il settore agricolo che è una parte del suo elettorato. Ma in generale, l’obiettivo finale è disporre il predominio americano nella tecnologia, che è l’unico modo per far fronte alla Cina. Per questo, Trump ha bisogno di entrate fiscali e pensa di farlo fare agli stranieri, ma in realtà saranno gli americani a pagare. 

L’Europa dovrebbe usare le maniere forti? La prudenza non sembra aver funzionato.

Più che le maniere forti, ci vuole un po’ di fermezza, dando indicazioni chiare su cosa vogliamo. Non si può dire un giorno che vogliamo i dazi zero e poi dare l’impressione di accettare il 10%. È chiaro che questo crea un incentivo a Trump a rilanciare e rincarare la dose. La Cina non ha negoziato così e Trump la tratta con ben altri guanti.

Bruxelles deve rispondere con dei contro-dazi? La lista è già sul tavolo.

Bruxelles deve essere credibile e dare indicazioni a Trump su cosa succederà nel caso in cui metterà dei dazi, ossia che ci saranno contromisure che faranno male a certi settori dell’economia americana. 

La nostra sarà una risposta uguale ma contraria a quella di Washington?

No. Le nostre contromosse saranno diverse dalle misure americane, perché non metteremo i dazi su tutti i prodotti, ma solo su quelli per i quali il mercato europeo è rilevante per le aziende americane e per i quali esistono prodotti alternativi, sia sul mercato interno sia importato da altri paesi. In altre parole, faranno molto male all’economia americana e poco male a quella europea, per parafrasare il primo ministro canadese Carney. È già stato fatto in passato. Ci sono gli esempi delle motociclette Harley Davidson, dei jeans di lusso, della soia, eccetera.

Ma i contro-dazi non rischiano di aggiungere uno svantaggio a un altro svantaggio?

No, parliamo di contro-dazi mirati. Li abbiamo applicati in passato, durante la prima amministrazione Trump. Sono misure selettive, asimmetriche. Se metto il 30% sulle Harley, che ha due fabbriche in due Stati repubblicani, facciamo fallire la Harley e gli europei si compreranno la moto Guzzi o la Bmw. Pace. Questo intendo con dazi selettivi. Non siamo così stupidi, abbiamo gli strumenti. Usiamoli. 

L’Ue è stata troppo accomodante finora?

Più che altro è stato troppo poco chiaro il nostro obiettivo. Trump deve sapere cosa vogliamo. Altrimenti, chiederà sempre di più. Se ci mostriamo accomodanti, lo sfrutterà. Trump è abituato a chiedere 100 per ottenere 10. Nei negoziati bisogna essere pronti a mostrare le carte, a mettere la pistola sul tavolo.

Dovremmo tassare le big tech?

Questo è il punto più dolente, che sta a cuore a Trump. Vuole che si rafforzi il predominio dei monopoli americani nel settore della tecnologia. Per questo motivo ha ridotto le tasse sulle imprese, il che ha fatto rimbalzare le valorizzazioni azionarie. Abbiamo accettato di escludere le grandi aziende tech dalla tassazione minima del 15%. Perché? Cosa abbiamo avuto in cambio? Non è nemmeno giusto dal punto di vista dell’equità fiscale. 

Cosa dovremmo fare?

Bisogna tornare su quella decisione, almeno fin quando non si è definito un accordo generale. Come si dice in America: “Nothing is agreed until everything is agreed”.

L’Europa dovrebbe aprirsi ad altri mercati? Quali?

Certo, è fondamentale. Cominciamo col ratificare e mettere in atto il Mercosur. C’è poi l’Asia con la quale dobbiamo fare accordi rapidamente, per aprire mercati alle aziende europee. Dobbiamo avviare un de-risking anche nei confronti degli Stati Uniti, non solo della Cina. Perché entrambe le potenze vogliono usare lo strumento commerciale, fatto di dazi, sussidi e minacce, a fini politici. Se l’Europa non vuole subire questi ricatti deve darsi più opzionalità, al suo interno e interagendo con altri partner.

Anche verso la Cina?

La Cina ha un surplus commerciale notevole con l’Europa. Con Pechino dobbiamo essere aggressivi, anche loro hanno messo barriere alle nostre esportazioni. Insieme agli Usa, sono i due Paesi che usano di più il commercio come uno strumento economico e politico di coercizione per ottenere vantaggi. 

Alcuni esponenti della maggioranza spingono per il deal singolo con la Casa Bianca. Converrebbe all’Italia?

Trump ha scritto a tutti i Paesi europei che devono contribuire alla prosperità dell’America. Se qualcuno pensa di avere più chances in un confronto bilaterale, con la nostra economia che è meno del 10% di quella americana, significa che non ha mai fatto un negoziato. Il nostro avanzo commerciale con gli Usa è tra i più elevati. Trattando da soli verremmo bastonati.

Che ruolo potrebbe avere la Bce? Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, propone un quantitative easing 2.0, come ai tempi del Covid, per le imprese. Potrebbe funzionare?

La Bce ha come obiettivo la stabilità dei prezzi e l’ha raggiunto, portando i tassi d’interesse su un livello che è la metà di quelli americani. Il quantitative easing si fa quando c’è la deflazione. E non mi sembra sia il caso ora.

di Giulio Ucciero su HuffPost

 

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