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Lo “scudo erariale” ovvero l’uso improprio delle parole

Leggiamo con attenzione: lo “scudo” realizza “la protezione per i funzionari dai danni contro lo Stato”.

Lo “scudo erariale” ovvero l’uso improprio delle parole

“L’Aula del Senato approva il decreto sul danno erariale – Si proroga lo ‘scudo’ per i funzionari pubblici fino a fine anno”. È una nota dell’Ansa del 17 giugno, alle ore 18:18, che spiega che “nell’Aula del Senato si approva, per alzata di mano, il disegno di legge di conversione del decreto che proroga fino alla fine dell’anno la protezione per i funzionari pubblici dai danni contro lo Stato, il cosiddetto ‘scudo erariale’. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera”.

Leggiamo con attenzione: lo “scudo” realizza “la protezione per i funzionari dai danni contro lo Stato”. Tradotto: per i cittadini che pagano imposte e tasse che alimentano i bilanci pubblici significa che i funzionari dello Stato che causano undanno allo Stato (quel “contro” è da matita blu) sono protetti dallo “scudo”. In sostanza, una protezione, com’è tradizionalmente uno scudo, protegge chi ha provocato un danno allo Stato, nel senso che, diversamente da ogni altro cittadino che “se sbaglia paga”, il funzionario non paga, nonostante la responsabilità sia prevista dall’ordinamento. Per l’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20), infatti, “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”. E se “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, la “colpa grave” riguarda i casi nei quali l’evento si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia o, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti ordini o discipline. Naturalmente in forma “grave”, quella che i romani chiamavano “culpa lata” che, spiegavano, “dolo aequiparatur”, a sottolineare la gravità della consistenza della condotta illecita. Che, precisava Ulpiano, significava “non intelligere quod omnes intelligunt”. Quindi si vuole difendere con uno scudo chi non capisce ciò che tutti capiscono. Insomma, si vuol difendere un incapace. Perché solo un incapace non capisce. Invece, il disonesto capisce e capisce bene.

Perché, dunque, la classe politica al governo difende chi causa un danno allo Stato con colpa grave, considerato che danno significa, per semplificare, spreco di denaro pubblico? Perché, si legge nei documenti ufficiali, si vuol evitare che il funzionario sia indotto a non impegnarsi a causa dei timore di essere sottoposto a processo per responsabilità e condannato a risarcire il danno. Si chiama “timore della firma”.

Ma perché dovrebbero temere pubblici funzionari la cui professionalità non è dubbia e accertata attraverso severe prove concorsuali? Com’è possibile che temano di essere chiamati a rispondere di un danno provocato con grave negligenza o imprudenza o imperizia o, ovvero con inosservanza di leggi, regolamenti ordini o discipline? Il fatto è che, purtroppo, come è si è ridotto negli ultimi anni il livello degli studi medi e universitari così si è ridotto il livello dei pubblici funzionari, soprattutto degli enti locali, quelli ai quali più spesso capita di incorrere nelle censure della Corte dei conti. E sono andati a chiedere protezione alla politica, quella che spesso li ha nominati con scelta fiduciaria ai sensi dell’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001. Ed ecco lo scudo che non elimina le cause del danno erariale, lo spreco del quale i cittadini sono sempre più consapevoli, ma decidono che non debba essere risarcito, che resti a carico dello Stato e degli enti pubblici. Gravissima iniziativa che, tra l’altro, pone il nostro Paese fuori dalle regole dell’Unione europea che ha ripetutamente richiamato gli stati al recupero delle somme illecitamente spese.

Se la politica immagina che l’indignazione del cittadino, contribuente ed elettore, cada presto nel dimenticatoio sbaglia di grosso. Perché il cattivo uso del pubblico denaro è fatto di episodi gravi e ricorrenti che è facile evocare. E tornano alla mente al più tardi nel percorso da casa al seggio elettorale.

 

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