Aumenta la povertà e il governo si gira dall’altra parte
Le richieste d'aiuto nei centri della Caritas sono aumentate del 68% negli ultimi dieci anni.
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Un fenomeno che non si contrasta rimuovendo tutte le misure, anche economiche, per combattere le diseguaglianze sociali.
Vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così e io non posso farci niente”.
Sono le solenni parole di Papa Francesco che assumono una rilevanza straordinaria di fronte al report annuale sulla povertà realizzato dalla Caritas.
Statistiche drammatiche che segnalano un fortissimo stato di disagio in una fetta importante di popolazione. Per di più un trend che sembra inarrestabile, visto che sempre più persone si rivolgono ai centri di accoglienza della Caritas e delle altre associazioni in tutta Italia. Le richieste d’aiuto nei 3.341 Centri di ascolto e di servizi sono aumentate del 68% negli ultimi dieci anni. Un fenomeno che non può ritenersi più circoscritto visto che ha assunto dimensioni di massa. Un residente nel nostro Paese su dieci vive in condizioni di povertà assoluta. Un dato drammatico che coinvolge 5 milioni e 694mila persone e 2 milioni e 217mila famiglie. Tutte queste persone non riescono a soddisfare esigenze primarie che sono innanzitutto di sopravvivenza oltre che, naturalmente, di dignità visto che si vedono costrette a rifugiarsi ai margini di una società che troppo spesso li considera essere invisibili oppure da non vedere considerato che, singolarmente, come diceva Papa Francesco, è ricorrente ripetere “io non posso farci niente”.
Se fosse però vero questo modo di pensare – e non è vero- allora ci si deve interrogare sul perché sia complessivamente lo Stato e il governo di turno a girarsi dall’altra parte. Uno Stato che si limita ad archiviare i numeri senza intervenire in profondità sulle cause che determinano la crescita esponenziale della povertà. Combattere le diseguaglianze ed affermare la giustizia sociale dovrebbero essere le prerogative in capo ad uno Stato democratico che nella Carta Costituzionale all’art.3 stabilisce che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale”.
E rimuovere gli ostacoli significa molte cose che però oggi non sono garantite a partire dal lavoro, da una casa o dalle cure sanitarie.
La povertà, anche quella transitoria che spesso precede quella assoluta, è direttamente collegata all’assenza di una occupazione stabile o anche di un lavoro povero, cioè non giustamente retribuito. Due fattispecie che non trovano effettivo riscontro anche perché sta crescendo il lavoro precario e sottopagato. Non consentire di definire il salario minimo orario sotto il quale non poter andare sarebbe già un passo significativo e di civiltà che consentirebbe all’Italia di allinearsi ai Paesi più industrializzati dell’Occidente. Sul salario minimo il governo si è opposto alla stregua della diserzione al voto avvenuta con quei referendum che avrebbero rafforzato lavoro e sicurezza nella nostra legislazione.
E quando la Costituzione all’art.2 richiama “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale” per assicurare a ciascuna persona le condizioni per una esistenza libera e dignitosa vuole anche indicare la strada del pieno diritto all’abitare. Secondo Istat nel 2024 il 5,6% degli italiani vive in grave deprivazione abitativa e il 5,1% è in sovraccarico dei costi, non riuscendo a gestire le spese ordinarie di affitto e mantenimento. Il Cardinale Zuppi di recente ha affermato che con un mercato immobiliare fuori controllo il costo dell’affitto non dovrebbe mai superare 1/3 dello stipendio. Tra le persone seguite dalla Caritas la situazione appare molto più grave: di fatto una su tre (il 33%) manifesta almeno una forma di disagio legata all’abitare. In particolare: il 22,7% vive una grave esclusione abitativa e il 10,3% presenta difficoltà legate alla gestione o al mantenimento di un alloggio.
Non va meglio sul fronte della salute. Sei milioni circa di italiani (il 9,9% della popolazione) hanno rinunciato a prestazioni sanitarie essenziali per costi o liste di attese lunghissime. Nel Report Caritas si evidenzia che il 15,7% che chiedono assistenza all’associazione manifesta vulnerabilità sanitarie, molte volte legate a patologie gravi e all’assenza di risposte da parte del sistema sanitario pubblico. Il tutto accompagnato dall’impossibilità di avere i farmaci necessari o di poter accedere a visite mediche specialistiche.
Si potrebbe inoltre aggiungere che lo stato di povertà ha quale conseguenza la privazione di un grado di istruzione adeguato e il rischio che la criminalità organizzata vada a “pescare come manodopera” all’interno del disagio sociale, perché in grado di garantire ciò che lo Stato non fa piu, cioe tutelare i piu deboli.
Un dato però è certo. Non si contrasta la povertà rimuovendo come ha fatto il governo tutte le misure, anche economiche, per combattere le diseguaglianze sociali od anche togliendo le uniche risorse ad esempio per gli affitti e la morosità incolpevole. Così si demolisce soltanto lo Stato sociale e si produce più povertà.
Non servono piu le mezze misure ma affrontare sistematicamente e con determinazione questo grave problema, per ricucire il Paese e ridare speranza nel futuro a chi oggi sembra averla perduta.
di Stefano Vaccari su HuffPost
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