Il governo cerca le coperture per alcune misure sul lavoro. Ma non sa bene quali
Palazzo Chigi in cerca di 500 milioni, che ancora non ci sono. Così è tutto rimandato a "dopo incontri con sindacati e industriali", e in Consiglio dei ministri entrerà solo un provvedimento sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.
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Il governo cerca le coperture – 400 forse 500 milioni di euro – per il decreto primo maggio. E si affida alla concertazione con sindacati e datori di lavoro prima di varare una misura a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Intanto in maggioranza litigano anche sul “salario equo”, la risposta di centrodestra al salario minimo del campo largo. La Lega si smarca e propone un suo disegno di legge centrato sull’adeguamento all’inflazione. Peccato che soldi non ce ne sono. E dagli alleati arriva lo stop.
Primo Maggio fa rima con decreto. Così è stato nel 2024 e nel 2023. Ma la riunione del Consiglio dei ministri convocata per mercoledì deve risolvere un problema preliminare: reperire le risorse. Al ministero dell’Economia cercano di far quadrare i conti con i ristretti margini di finanza pubblica. La coperta è così corta che il governo ha dovuto riporre intenzioni più ambiziose in fatto di lavoro. Sulle prime aveva ipotizzato con il sottosegretario Claudio Durigon misure che interessassero anche i salari. Il governo interverrà, invece, solo sulla sicurezza. E solo dopo aver sentito sindacati e imprese.
L’annuncio di misure a stretto giro era nell’aria, ma la premier Meloni l’ha ufficializzato con un’intervista al Corriere della Sera. “Pensiamo a interventi concreti per la sicurezza sul lavoro, perché è inaccettabile che ogni giornata sia scandita da morti e infortuni”, ha detto la premier in vista del Primo Maggio.
Sul tema è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita a un’azienda di Latina. “Le morti del lavoro – ha detto – sono una piaga che non accenna ad arrestarsi e che, nel nostro Paese ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione. Non sono tollerabili né indifferenza, né rassegnazione”. Il Capo dello Stato ha poi aggiunto una riflessione a tutto campo: “Tutto attorno a noi cambia velocemente. Ma ciò che non tramonta è il carattere del lavoro espressione della dignità umana”, ha detto, per poi incalzare le forze politiche in tema di stipendi: “Permangono aspetti di preoccupazione sui livelli salariali”, devono crescere anche quelli dei migranti, che risultano inferiori di un quarto rispetto a quelli dei connazionali. Da ultimo il Presidente della Repubblica ha raccomandato di “contrastare con fermezza fenomeni scandalosi come il caporalato”.
Per forza di cose il decreto in gestazione a Palazzo Chigi potrà occuparsi solo di sicurezza sul lavoro, materia su cui FdI ha depositato proposte, come l’aumento degli organici degli ispettori del lavoro e la previsione di ore di insegnamento a scuola e di formazione in azienda. Saranno considerate poi le misure avanzate dalle sigle sindacali e datoriali. Non ci dovrebbero essere, invece, norme in tema di salari.
Su questo terreno si segnala, invece, la fuga in avanti della Lega, che presenta un proprio progetto di legge, firmato da Claudio Durigon e Tiziana Nisini, intitolato al “salario equo”. Di fatto con questa mossa il partito di Salvini si mette in proprio. La proposta leghista prevede “misure concrete per adeguare i salari all’inflazione e stimolare i rinnovi dei contratti nazionali”, dice Durigon, ricordando una mozione approvata al congresso di Firenze. Il sottosegretario vorrebbe sperimentare per i salari un meccanismo di adeguamento all’inflazione che già viene usato per le pensioni. Esso prevede “una percentuale standard” di riferimento “che adegui automaticamente i contratti all’inflazione, da ridiscutere ogni tre anni alla scadenza del contratto”.
Ma la mossa leghista non trova il favore della maggioranza di centrodestra che ha già un testo depositato anche quello dedicato al “salario equo”. Si tratta della delega al governo in materia di retribuzione, ed è stato presentato dal presidente della Commissione lavoro di Montecitorio Walter Rizzetto, che è anche il responsabile di settore per FdI. Il testo prevede, in estrema sintesi, che categoria per categoria si applichi il contratto maggiormente rappresentativo, cioè “quello più applicato in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti”. La norma era stata messa a punto come risposta del centrodestra alla campagna del campo largo sul salario minimo. Il testo è stato già approvato alla Camera ed è in fase di calendarizzazione al Senato. Comprensibile, dunque, che nei partiti alleati, la mossa leghista venga quasi rispedita al mittente.
Nessun commento in chiaro. “La priorità è approvare la legge Rizzetto, poi si può pensare ad altro”, è la posizione di Fratelli d’Italia, dove nutrono più di una riserva che si troveranno le risorse per la scala mobile in salsa leghista. E in Forza Italia sono ancora più freddi: “Il salario non si può imporre per legge. È il frutto della libera contrattazione tra le parti”, dicono. La Lega può attendere.
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