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PREMIO COVID, AI MEDICI E AGLI INFERMIERI SOLO LE BRICIOLE

Lo stato i medici eroi li voleva ricompensare, loro e gli infermieri, con mille euro a testa per i sacrifici sostenuti contro l'epidemia di coronavirus. Invece nulla

PREMIO COVID, AI MEDICI E AGLI INFERMIERI SOLO LE BRICIOLE

Se il sistema sanitario italiano ha retto all’urto della pandemia il merito principale va al personale sanitario, che ha affrontato la situazione di pericolo con ammirevole spirito di sacrificio, nonostante la carenza almeno nella fase iniziale di strumenti di protezione indispensabili. Lo stato i medici eroi li voleva ricompensare, loro e gli infermieri, con mille euro a testa per i sacrifici sostenuti contro l’epidemia di coronavirus. Poi al posto dei mille euro arrivò una somma da versare in busta paga alla voce “disagio” di preferenza al personale in prima linea nei reparti infettivi. Ora si scopre che le Regioni ci hanno aggiunto risorse proprie e la stanno ripartendo a tutti i dipendenti della sanità. Agli “eroi” arrivano le briciole. È la storia del “premio covid”, previsto prima nel decreto legge Cura-Italia e ora nel decreto legge Rilancio appena approvato, 250 milioni di euro da ripartire tra 21 regioni. In Veneto la quota potrebbe finire in gran parte ai dirigenti amministrativi. Ciò è motivo di tensione tra regione e camici, con i sindacati della dirigenza a dire no allineati, e dall’altra parte Cgil Cisl e Uil. «La Regione ha cambiato il dettato nazionale – spiega il presidente Cimo Veneto Giovanni Leoni -e ha firmato con i sindacati del comparto un accordo che dà un po’ di tutto a tutti diviso per teste e non per ruolo e fondi stipendiali». I dirigenti amministrativi si ripartiscono con infermieri e operatori sociosanitari 38,2 milioni di euro; ai dirigenti medici, minoritari nei numeri, resta circa un quinto cioè 7,5 milioni. Ne deriva per ogni camice una quota di circa 300 euro a testa «che, considerata la tassazione media e le trattenute attorno al 43% in busta paga, è una “elemosina”». Piccola somma che tra l’altro andrebbe ripartita in proporzione al rischio corso dal singolo medico. «Sul cambio di indirizzo ci prepariamo a fare un ricorso legale. Fra l’altro, i medici non hanno indennità di rischio biologico gli infermieri sì, sono le differenze del sistema», ricorda Leoni. Il ricorso dei sindacati nazionali sarà sulla parte “nazionale” della “torta”, circa 20 milioni dei 61 totali da distribuire. Forti della possibilità di gestire loro risorse aggiuntive, anche altre regioni si muovono autonome. La Toscana ha assegnato da 20 a 45 euro al giorno. In Piemonte molte Asl, denuncia il sindacato Nursing up, per gli infermieri hanno stanziato un aumento di un euro al giorno. «In Veneto, i sindacati della dirigenza hanno detto no sia a una divisione “a teste”, contestabile sul piano legale, sia ad una proposta più articolata che prevedeva che la quota “nazionale” di circa 20 milioni fosse suddivisa tra comparto e dirigenza in base al valore dello straordinario di ciascuna area», dice Leoni. Amaro il segretario nazionale Anaao Assomed Carlo Palermo: «L’assegnazione delle risorse per la premialità Covid-19 previste nel Dl “Rilancio” (articolo 2, comma 6) ripartita in modo indistinto tra dirigenza medica e sanitaria e comparto fa carta straccia perfino del protocollo sottoscritto dalla Conferenza delle Regioni e dalle Confederazioni sindacali (senza le sigle della dirigenza medica). Non siamo più “eroi”, non siamo più “angeli”». Tra l’altro, «si dimentica che il personale della dirigenza medica e sanitaria ha ritenute Irpef ben più alte del personale del comparto e che i valori economici delle indennità di disagio valgono il doppio secondo i contratti. E si dimentica di riconoscere un’indennità infettivologica anche ai medici e ai biologi». I numeri uno e due nazionali di Cimo-Fesmed Guido Quici e Giuseppe Ettore ammettono che ai tavoli locali non si tiene in alcun conto la rappresentatività dei sindacati autonomi della dirigenza che pure sono il 79% delle deleghe di tutta Italia. Cimo Fesmed propone una suddivisione della quota nazionale fissata dall’allegato A del decreto legge Rilancio fatta in modo da tenere conto del rapporto tra il valore medio pro capite della dirigenza rispetto al valore pro capite del comparto. Intanto sul decreto Rilancio si addensano altre nubi. Tema, medici ed infermieri precari: in Gazzetta, è “scomparso” il comma che estendeva loro al 31 dicembre 2020 la chance per maturare i requisiti utili ai fini della stabilizzazione. In una nota congiunta i segretari generali di Fp-Cgil, Fp-Cisl e Uil-Fp, Serena Sorrentino, Maurizio Petricciol e Michelangelo Librandi chiedono di riproporre il termine nell’iter di conversione in legge. Tra l’altro, il decreto Rilancio di precari ne crea: gli stessi 9600 infermieri di famiglia da impiegare nelle Unità speciali di continuità assistenziale, 8 ogni 50 mila abitanti, avranno un contratto a termine – di lavoro autonomo o cococo – con scadenza il 31 dicembre 2020 in vista di una stabilizzazione che andrà confermata nel 2021. A Torino Infermieri sdraiati a terra, con catene addosso o sacchi dell’immondizia. Mercoledì scorso decine di lavoratori della Sanità hanno inscenato una protesta in piazza Castello, davanti alla sede della Regione Piemonte, per denunciare le condizioni di lavoro di chi combatte contro il coronavirus. Gli infermieri, con le catene ai polsi, si sono stesi per terra ricordando in questo modo i colleghi morti in Italia durante l’emergenza Covid. «A noi è toccato disinfettare i morti, a volte fare i sacerdoti. Siamo stati lontani dalle nostre famiglie, molti di noi sono stati abbandonati, ma nonostante tutto abbiamo continuato a lavorare, in prima linea tirando l’Italia fuori da questo pantano».

 

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