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E PER I MEDICI SOLO PROMESSE ?

Il punto sui tagli tra scioperi e annunci di modifiche

E PER I MEDICI SOLO PROMESSE ?

Com’è ora, l’articolo 33 riduce i coefficienti di rendimento della quota di pensione di chi ha da 1 a 15 anni di contributi versati entro il 31 dicembre 1995

Il governo ha annunciato che sulla stretta alle pensioni per medici e infermieri vorrebbe tornare indietro. I partiti dell’opposizione approntano “ritocchi”, e Azione di Carlo Calenda ne avrebbe almeno 92 sulla misura in questione, l’articolo 33 della Manovra. In attesa di sviluppi, i sindacati dei pubblici dipendenti interessati – 732 mila tra professionisti del servizio sanitario, enti locali, insegnanti della scuola primaria e ufficiali giudiziari – hanno indetto scioperi. Nel Servizio sanitario nazionale, malgrado le rassicurazioni del Ministro della Salute, se ne profilano almeno tre. I sindacati confederali, e quindi il comparto, scioperano venerdì 24 novembre. Venerdì 5 tocca ad Anaao Assomed e Cimo Fesmed. Lunedì 18 dicembre scioperano anestesisti Aaroi-Emac,i veterinari FVM e le sigle di Fassid – Aipac, Aupi, Simet, Sinafo, Snr che comprendono i servizi di radiologia. Com’è ora, l’articolo 33 riduce i coefficienti di rendimento della quota di pensione di chi ha da 1 a 15 anni di contributi versati entro il 31 dicembre 1995. In linea di massima, la riduzione riguarda futuri pensionati che attualmente hanno più di 50 anni, in caso di riscatto i nati prima del 1976 e, se pensiamo ai prossimi pensionati, coloro che hanno più di 60 anni.

I tagli ai dipendenti pubblici – Per tutti i lavoratori, fino al 31 dicembre 1995 Inps utilizzava, nell’ambito del “più vantaggioso” sistema di calcolo retributivo, un coefficiente da applicare all’ultima busta per i periodi prima del 1992, alla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni per il 1993 e il 1994 ed il 2% per il 1995. A gennaio 1996, con l’entrata in vigore della riforma Dini, arrivò il calcolo contributivo che basa l’assegno sul montante dei contributi versati dal lavoratore rivalutati secondo l’andamento del PIL. Fino ad oggi, chi aveva maturato periodi di lavoro prima del 1996, per quegli anni sapeva che i suoi contributi avevano generato un castelletto interessante. E sapeva di poter contare su un assegno pensionistico non distante dall’ultima retribuzione. Ora, in piena inflazione, subirà un taglio fino a migliaia di euro all’anno. Un taglio che resta, ma si riduce, quanti più sono gli anni di lavoro (e quindi di contribuzione versata) ante-1996. «Per chi si pensiona a partire dal 1° gennaio 2024 la Manovra cambia e riduce i coefficienti di calcolo», spiega Giorgio Cavallero, presidente della Confederazione Cosmed, che ne giorni scorsi ha inviato in Parlamento una memoria come audizione. «La riduzione dell’assegno avviene in modo retroattivo: si interviene su annualità per le quali il lavoratore sapeva di aver maturato cifre certe». Il governo teme un esodo in massa dei già pochi professionisti sanitari, tra le ipotesi in ballo c’è quella di un rinvio. «Ma perché i medici sì e i maestri di scuola no? Sarebbe costituzionale salvare solo una categoria o non sarebbe peggio, dando adito ancora a più ricorsi? Per dare un’idea di quanto grave sia la misura nell’immaginario degli italiani: moltissimi contribuenti hanno pagato riscatti dei periodi di studio sulla base di un rendimento che adesso si vuole manomettere in riduzione. È come se avessero comprato sul mercato un titolo a rendimento fisso e alla scadenza l’emittente non intendesse onorarlo più».

Chi ci rimette – Per chi a fine ’95 ha maturato un’anzianità di 14 anni il coefficiente è ridotto di un 1,273%. Invece per chi aveva lavorato solo un anno prima dell’arrivo della legge Dini il taglio è circa il 22%. Cioè, a chi aveva maturato un anno di contribuzione calcolata con il sistema retributivo, e da quel periodo si aspettava 20 mila euro ogni anno, ne vengono tolti 18 mila. A chi aveva invece già 14 anni alle spalle, su 31 mila euro annui attesi ne vengono tolti poco più di mille. A chi era partito nel 1990 e si aspettava un gettito da 23 mila euro ne arrivano 10 mila. Si tratta di cifre lorde. Al netto delle tasse i nostri tre contribuenti perdono rispettivamente con un anno di anzianità ante ‘95 10.300 euro, con 15 “appena” 600, con cinque circa 7 mila. La perdita nell’assegno netto, nel caso dei medici che a fine ’95 avevano da 1 a 5 anni di contribuzione, supera inoltre l’ammontare della liquidazione. Se si ipotizza una sopravvivenza di 20 anni dal pensionamento, i tagli sono di entità tale da azzerare o superare l’entità del trattamento di fine servizio. Infatti, considerando la durata della pensione di circa 20 anni e la consistenza del trattamento di fine rapporto, in particolare in relazione ai medici dirigenti ospedalieri, c’è un margine solo per chi avesse maturato almeno 6 anni di contribuzione prima del 1995.

Come uscirne – «Lo Stato dice di temere che la misura provochi pensionamenti di massa entro fine anno nel già carente personale sanitario», dice Cavallero. «Ma il provvedimento parla di pensioni liquidate a partire dal 2024. Per agguantare l’assegno entro quest’anno non dovrebbe fare testo la data della domanda di pensione che il datore di lavoro può o meno recepire, ma il provvedimento dell’INPS rispetto alla domanda già fatta. E il dipendente deve dare 90 giorni di preavviso; se non li dà, corrisponde l’indennità di mancato preavviso, che il datore è tenuto ad esigere per non incorrere nel danno erariale». Al momento, dice Cavallero, «se la misura fosse approvata quale è, sono probabili ricorsi e un approdo della questione in Corte Costituzionale».

Altro articolo nel mirino – Nella Manovra c’è poi una seconda norma molto problematica. «All’articolo 26, per tutti i lavoratori – pubblici e privati– che matureranno la pensione di vecchiaia con la legge Dini (solo calcolo contributivo), se vanno in pensione di vecchiaia prima dei 67 anni si riducono gli assegni pensionistici percepibili. Importo massimo consentito: quattro volte il minimo Inps, circa 2000 euro lordi. Che si ottiene manomettendo il coefficiente di trasformazione per la pensione di vecchiaia dei giovani in regime contributivo. Siamo così sicuri che, vedendo interventi sempre peggiorativi, la gente abbracci la scommessa di restare al lavoro? O non si diffonderà l’idea che sia meglio andarsene prendendo ciò che si può prima possibile?»

 

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