Anno: XXV - Numero 53    
Venerdì 29 Marzo 2024 ore 11:00
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La ricetta Davigo è folle

Il Coa di Roma e le Camere Penali: è inaccettabile ridurre i diritti per abbreviare i processi

La ricetta Davigo è folle

Arriva immediata la reazione dell’avvocatura alla ricetta Davigo per riformare i processi: giunge attraverso un’intervista rilasciata all’Adnkronos da Antonino Galletti, presidente del Consiglio Ordine degli avvocati (Coa) di Roma. “La ricetta di Davigo si risolve in una formula molto semplice ed inaccettabile: ridurre i diritti e le garanzie per abbreviare i processi”. Così commenta l’avvocato Antonino Galletti le proposte del magistrato Pier Camillo Davigo. Galletti aggiunge che: “l’avvocatura si oppone a qualunque visione che individua nell’uomo libero un potenziale colpevole ancora da scoprire”. Galletti boccia punto per punto gli argomenti del magistrato, anche membro togato del Csm, a partire da quello di abolizione del divieto della ‘reformatio in peius’ in Appello: “È un arretramento del diritto alla barbarie. Una perdita delle garanzie giuridiche delle libertà dei cittadini mai esistito neanche nel diritto romano. La proposta di Davigo – prosegue – fa riferimento ad altri sistemi che però andrebbero visti ed eventualmente adottati nel complesso, non a pezzi. Si fa ad esempio riferimento a quello americano in cui i giudici sono elettivi: per questo i processi sono più brevi”. “Le tesi di Davigo – rimarca Galletti – sono note e per fortuna allo stato sono soltanto sue perché anche la magistratura da quello che risulta non è su queste posizioni estreme” al limite del “ridicolo come nel caso della pretesa ‘responsabilità sociale dell’avvocato’ che in nessun paese al mondo esiste come istituto giuridico” ed alla quale allora si dovrebbe rispondere prevedendo paradossalmente che “i pubblici ministeri paghino le spese processuali se l’imputato viene assolto. Ma siccome gli avvocati hanno un livello di argomentazione giuridica un po’ più sofisticato non lo sostengono”. Stesse considerazioni sull’idea di rivedere il patrocinio gratuito a spese dello Stato per i non abbienti: “È evidente che Davigo vuole introdurre una giustizia per censo – afferma il presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma – il gratuito patrocinio è ‘il simbolo’ alla base di uno Stato di diritto. I colleghi che lo fanno sono dei martiri che si dedicano a difendere persone più deboli nonostante lo Stato ti riconosca poco”, mini parcelle in media 429 euro al netto di Iva e Cassa e nel penale compensi fino a 800 euro. Riguardo al giudizio di “prassi insensata” emessa dal magistrato rispetto alla necessità di una rinnovazione di acquisizione delle prove, su richiesta della difesa, nel caso di mutamento del Collegio giudicante (è il caso ad esempio in cui un membro del Collegio va in maternità), il presidente dell’Ordine degli avvocati romano ribatte: “Al cittadino sano di mente farei questa domanda: Vi fareste giudicare da un giudice che non ha partecipato al processo?”. Quindi afferma: “Portando alle estreme conseguenze si da il via al ‘processo cartaceo‘, l’esatto opposto del modello processuale accusatorio che il nostro legislatore ha scelto e di tutte le nostre garanzie costituzionali”. A immediato seguito l’agenzia Adnkronos ci comunica che interviene anche il presidente dell’Unione camere penali (Ucpi) Giandomenico Caiazza, per il quale “Le proposte di Davigo sono la prova che il tema della prescrizione è solo un pretesto per controriformare il processo penale voluto da Giuliano Vassalli 30 anni fa, riducendo grandemente le garanzie processuali dell’imputato”. Ed aggiunge: “Non gli permetteremo di ridurre le garanzie all’imputato. È l’unica cosa di cui può esser certo. Ci auguriamo che le sue idee vengano isolate dalla magistratura” Per Caiazza è “Aberrante” il giudizio di Davigo quando ha definito “prassi insensata” la necessità di riacquisizione delle prove: “Penso che Davigo voglia ritornare al processo inquisitorio. Ma per fortuna a garantirci c’è l’articolo 111 della Costituzione”. “Noi penalisti – spiega il presidente Ucpi – siamo convinti che diritto elementare di ogni cittadino è essere giudicati dallo stesso giudice che ha raccolto la prova, che ha sentito e visto in faccia l’accusatore, che ha potuto rendersi conto della verità, della sincerità, della spontaneità delle sue risposte. Perché il giudizio dibattimentale vive della percezione diretta della testimonianza che viene resa”. Quindi Caiazza sfida: “Chiedo al signor Davigo se vale di più il diritto del giudice a cambiare sede o il diritto dell’imputato ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha acquisito la prova”. Bocciato dagli avvocati penalisti anche l’argomento del magistrato sull’abolizione del divieto della ‘reformatio in peius’ in Appello. Prima questione: “Quando si fa riferimento ad altri sistemi non si adotta quello che ci fa comodo. Il procedimento americano ad esempio richiamato nella proposta troverebbe inconcepibile che un magistrato che ha fatto il pm per 30 anni divenga poi, come Davigo, presidente di Corte di Cassazione”, rileva provocatoriamente Caiazza. Seconda considerazione: “Il divieto di ‘reformatio in peius’ è una lotteria. Noi diciamo: se il pm vuole peggiorare una sentenza, facesse appello. Altrimenti diventa una ritorsione”. Durissima anche la posizione dell’Anf. “Sulla giustizia penale – sbotta il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Luigi Pansini – e segnatamente sull’istituto della prescrizione, no ai pasticci e alle proposte di queste ultime ore per metterci una toppa peggiore del male, no alla pseudo riforma Bonafede e no soprattutto, in nome della garanzia dei diritti dei cittadini, alla dottrina Davigo. Le nuove norme in materia di prescrizione in vigore dall’inizio dell’anno vanno semplicemente abrogate. Se lo ricordino bene i legislatori che in queste ore si stanno affannando a trovare una soluzione allo scempio del ‘fine processo mai’: il processo penale in un contesto di garanzie stabilite dalla nostra Costituzione serve a dimostrare se una persona è colpevole o innocente, non soltanto a condannare, come invece dovrebbe avvenire nell’ipotetico mondo autoritario di quei pochi giudici che, facendo politica dallo scranno della Corte di Cassazione e del Consiglio Superiore della Magistratura, non rispondono mai del loro operato e delle loro affermazioni”.    Pansini fa proprie, condividendole, le considerazioni e le argomentazioni a favore della prevalenza del diritto sul giustizialismo svolte in queste ore e in questi giorni dal Consiglio Nazionale Forense, dall’Organismo Congressuale Forense, Dall’aiga, dalle Camere Penali e da tutte le altre componenti dell’Avvocatura. “È evidente e noto – continua Pansini- che nel dossier che ha supportato i lavori preparatori della riforma, il fulcro delle informazioni statistiche è condensato in dati disordinati e parziali sul fenomeno. Finalmente, anche se timidamente, i mezzi di informazione e l’opinione pubblica cominciano  ad acquisire la consapevolezza che la prescrizione riguarda  per i due terzi del fenomeno, reati minori che, in nome della dell’azione penale obbligatoria, fanno aprire procedimenti penali che la stessa magistratura non vuole portare a termine. E infatti, il 75% delle prescrizioni matura prima della sentenza di primo grado e durante la fase delle indagini preliminari, con buona pace di coloro che additano  gli avvocati come coloro che  con scaltrezza la tirano per le lunghe. In appello, poi, come ha dichiarato  il Presidente della Suprema Corte all’inizio del 2019, «buona parte dei quasi due anni e mezzo» che richiede il secondo grado del processo «è imputabile a “tempi di attraversamento” (attesa degli atti di impugnazione, la collazione degli stessi, la predisposizione dei fascicoli da trasmettere alla Corte d’appello, la trasmissione degli stessi, altre incombenze di carattere procedurale che consumano in buona parte il “tempo” processuale) che nulla hanno a che vedere con la celebrazione del giudizio. Una corretta informazione sul funzionamento del procedimento penale, sul perché esiste l’istituto della prescrizione e su come opera il bilanciamento dei diritti e delle garanzie di tutti i soggetti coinvolti è più che mai essenziale e doverosa e tutti dovrebbero avvertire questa responsabilità. nei confronti della società, delle persone, dei cittadini, dei colpevoli, degli innocenti e delle vittime del reato. Se non ci si ferma subito, la road map tracciata da Bonafede, Davigo e Travaglio e iniziata con la stop alla prescrizione proseguirà poi aggredendo il  diritto di impugnazione, ovvero quello che ad oggi determina la modifica di oltre il 40% delle sentenze di condanna” – conclude Pansini.

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