FARE CASSA SULLE CASSE DI PREVIDENZA
La logica è sempre quella della privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite.
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Con la moral suasion, inserita nel decreto investimenti, il Governo vuole sollecitare le Casse di previdenza ad investire nelle PMI italiane.
È di oggi un approfondimento comparso su Money.it dal titolo “Crisi silenziosa, perché sempre più PMI italiane stanno chiudendo”.
Secondo i dati dell’osservatorio di Creditsafe, nel primo semestre del 2025, migliaia di imprese italiane hanno chiuso i battenti.
A parlare sono i numeri: 2876 aziende sono state oggetto di procedure concorsuali nei primi sei mesi dell’anno, tra fallimenti e liquidazioni giudiziali. Un dato in crescita rispetto al 2024 (+ 8%) e ancora più marcato rispetto al 2023 (+ 25%).
La vicenda Coima sgr (“Rigenerazione urbana. Le Casse ci sono”, https://www.adepp.info/2020/07/rigenerazione-urbana-le-casse-ci-sono/) è ancora tutta da decifrare, tanto per stare sul pezzo!
Con la sentenza n. 7/2017 la Corte Costituzionale ha difeso l’autonomia gestionale delle Casse di previdenza affermando, tra il resto, che “i contributi sono gestiti dalla Cassa attraverso criteri di autonomia delineati dal legislatore secondo accantonamenti a basso rischio, cosicché, al momento del pensionamento, ogni lavoratore ritira il proprio montante contributivo, cioè quanto versato sino alla quiescenza, maggiorato dai cd. coefficienti di trasformazione. Questa scelta si contrappone al sistema dell’INPS, nel quale il pagamento delle pensioni viene effettuato utilizzando i contributi correntemente versati dai lavoratori in servizio e dai relativi datori di lavoro, senza che si effettui alcun accantonamento dei contributi stessi”.
“L’autonomia gestionale delle Casse previdenziali è dunque protetta dalla Costituzione. Essa, unita alla personalità giuridica di diritto privato, espressamente prevista dalla legge, conduce dunque a ritenere predicabile una piena capacità negoziale dell’ente previdenziale professionale, fermo restando, ovviamente, il complesso quadro di limiti pubblicistici imposti dalla legge a garanzia della tutela della missione istituzionale dell’ente”. (Fonte: prof. Giuseppe Colavitti in Le Casse professionali tra autonomia e controllo pubblico in Federalismi.it, 21.04.2021, pag. 55).
Investire nelle PMI italiane significa accettare un rischio molto elevato che viene semplicemente trasferito sugli iscritti, obbligati per legge ad esserlo, senza alcuna contropartita, con la conseguenza che, se gli investimenti vanno bene, il ritorno sarà magari a doppia cifra, ma se vanno male, il rischio sarà la perdita del capitale investito, il che significa per l’iscritto la perdita di una quota della pensione.
Un’operazione di tal genere, come ho già scritto più volte, è sicuramente fattibile a condizione però che lo Stato si assuma la garanzia del capitale investito.
L’autonomia finanziaria delle Casse di previdenza, e cioè la preclusione di ogni onere per la finanza pubblica, espressamente ribadita dal Legislatore della riforma, va di pari passo con l’autonomia gestionale ed operativa.
Il capitale accumulato dalle Casse di previdenza non è pubblico, ma appartiene alla categoria degli iscritti che, pur nel loro silenzio assordante di fronte a queste “aggressioni”, non sono certamente d’accordo alla socializzazione, solo su di loro, delle perdite.
“Investire in una PMI è più rischioso rispetto a una grande impresa quotata, ma probabilmente meno di quanto si possa pensare. Per questo motivo, nel valutare il progetto di crescita di una impresa, crediamo sia fondamentale adottare un approccio integrato: dati quantitativi provenienti da diverse fonti, informazioni qualitative, processi standardizzati per contenere i costi e minimizzare le probabilità di errore. L’obiettivo è quello di fornire ai nostri investitori una analisi del rischio di credito esaustiva, tenendo sempre sott’occhio l’efficienza operativa”. (Fonte: www.azimutdirect.com).
“Il reperimento di capitali di rischio costituisce un fattore critico per lo sviluppo delle imprese – specie se innovative – che si trovano nella fase di start-up, dato che proprio in tale fase il ricorso al c.d. capitale di debito risulta particolarmente difficoltoso, oltre che costoso, come sopra accennato. In aggiunta alle modalità più tradizionali, quali business angel e venture capitalist, per la raccolta di capitali di rischio le imprese possono promuovere specifiche campagne mediante portali di c.d. equity crowdfunding. Il successo di tali campagne è fortemente influenzato da alcune peculiarità dell’investimento in c.d. capitale di rischio di una start up, quali: assenza di adeguati track record; notevole incertezza di esito positivo del business che determina elevati rischi di illiquidità e di perdita totale o parziale del capitale investito; problemi di agenzia, di moral hazard e di opacità informativa. Tali fattori sembrano rendere questa tipologia di investimento scarsamente attrattiva per la gran parte dei risparmiatori retail” (Fonte: quaderni giuridici Consob Piccole e medie imprese e finanziamento del progetto imprenditoriale: una ricerca di un nuovo tipo di emittente di Colonnello, Iannaccone, Mollo, Onza , pag. 25).
Non va poi dimenticato che “Un sistema pensionistico che svolge una funzione di protezione contro il rischio di povertà dovrebbe caratterizzarsi per tassi di sostituzione relativamente più elevati per i redditi più bassi. Tale configurazione contribuirebbe, infatti, a ridurre le disuguaglianze nella distribuzione del reddito pensionistico rispetto a quelle presenti nei redditi da lavoro, rafforzando il ruolo redistributivo del sistema, e a contenere fenomeni di povertà”. Lo scrive l’INPS nel suo XXIV Rapporto, luglio 2025, ma vale anche per le Casse di Previdenza.
Se un Governo di centro sinistra avesse fatto questo, il cdx sarebbe insorto…ma oggi non vedo opposizione da chi dovrebbe esercitarla!
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